Home / Newsletter / Newsletter n.294 - 14 gennaio 2014 / Un decalogo per il Piano del Lavoro

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Occupazione

Un decalogo per il Piano del Lavoro

14/01/2014

La disoccupazione giovanile non è altro che un aspetto particolare della disoccupazione tout court. E maggiore occupazione si giustifica solo se vi è maggiore produzione di merci o servizi e maggiore attività, pubblica o privata che sia. Aspettando il “Job Act” di Renzi, un decalogo di principi da tenere ben presenti

In questi giorni il Pd sta cercando di definire le proprie proposte per l’occupazione, sotto varie etichette, da Job Act a Piano per il lavoro. Le proposte a tutto campo sono benvenute, anche se è impossibile evitare del tutto di incorrere in equivoci. Mi contenterei che, quali che siano i dettagli, essi fossero coerenti con le considerazioni di principio che seguono, cui darei l’etichetta “Decalogo per il Piano del Lavoro”.

1- Una società che è incapace di connettere la presenza di risorse inutilizzate, come il lavoro disoccupato, e di bisogni insoddisfatti, attivando le prime per saturare tali bisogni, è una società che presenta profonde disfunzioni, che vanno corrette, superando o integrando i meccanismi distorti, di mercato e pubblici, che impediscono la saldatura bisogni/risorse.
2- La disoccupazione giovanile non è altro che un aspetto particolare della disoccupazione (senza aggettivi). Maggiore occupazione si giustifica solo se vi è maggiore produzione di merci o servizi, maggiore attività (sia essa pubblica o privata).
3- La possibilità di avere attività aggiuntive passa per la creazione di maggiore domanda. Se questa non può essere ottenuta – dati i vincoli europei – da una espansione generalizzata a livello europeo, non resta che operare sul piano microeconomico, attraverso una maggiore offerta da far assorbire da soggetti esteri (esportazioni, turismo), dai soggetti italiani più ricchi, dallo Stato attraverso rimodulazioni della spesa. Sarebbe anche possibile e certo preferibile ottenere una maggiore domanda interna da parte dei più poveri, attraverso una redistribuzione dei redditi e della ricchezza (ma questo è forse troppo di sinistra per passare in regime di alleanze).
4- È possibile espandere l’occupazione giovanile redistribuendo le opzioni di lavoro dai più anziani ai più giovani. Nel concepire e realizzare politiche di tal genere occorre identificare con chiarezza le azioni discriminatorie, preoccuparsi certo di minimizzare i danni che comportano, ma anche avere il coraggio di attuarle quando ne esistono buone motivazioni e quando si possono attuare provvedimenti che leniscono le sofferenze che possono derivarne per i soggetti più deboli, come indicato qualche settimana fa da Fabrizio e Stefano Patriarca (qui).
5- Il resto è politica sociale (cosa degnissima ma diversa). Occasionalmente si possono prendere due piccioni con una fava (ma conservando chiarezza). Sarebbe una politica al contempo economica e sociale una politica che riuscisse a rendere complementari, in produzioni innovative o aggiuntive, il lavoro dei giovani con l’esperienza e la capacità formativa che hanno lavoratori più anziani che vanno in pensione.
6- Maggiore attività implica creazione preventiva di nuclei organizzativi, imprese nel campo privato, task forces strutturate intorno a piani e progetti nel campo pubblico. Tale creazione può assumere la forma di estensione di attività da parte di nuclei organizzativi già esistenti, ma la presenza di produzione aggiuntiva ne deve sempre essere il presupposto.
7- Nella rimodulazione della spesa pubblica per la promozione di attività aggiuntiva è bene (politicamente) avere (e comunicare) la consapevolezza che il costo reale delle attività aggiuntive è sostanzialmente nullo (in presenza di disoccupazione non si perde produzione, privata o pubblica che sia, mentre laddove la produttività pubblica è prossima allo zero una riorganizzazione rivolta a creare il coordinamento necessario non sacrifica produzione).
8- Per la creazione di produzione aggiuntiva per domanda aggiuntiva occorre innovazione. L’innovazione è resa possibile da una politica della conoscenza – cioè politiche diffuse di formazione ulteriore e di uso della risorsa umana e promozione diffusa della ricerca – che dà frutti tanto più rilevanti quanto più presto tali politiche vengono attivate. Si tenga presente che dal taglio del cuneo fiscale non ci si possono attendere risultati occupazionali rilevanti (le imprese non assumono se non pensano di vendere anche se il lavoro costa meno, né si può pretendere di competere sul costo del lavoro con paesi che hanno costi del lavoro che pesano meno della metà dei nostri). Tali effetti si possono ottenere dalle innovazioni.
9- Per avere innovazioni nel campo privato è fondamentale promuovere assunzioni e uso di manodopera a più elevato livello di conoscenza (l’uso di personale ad alta qualificazione nell’industria è in Italia tra i più bassi d’Europa). Imprese che hanno solo manodopera di qualità appena sufficiente a produrre quanto già stanno producendo sono imprese cieche, incapaci di percepire le opzioni di innovazioni e di svilupparle. Non è detto che solo le grandi imprese possano fare ricerca; la stessa possibilità è aperta alle piccole imprese se agiscono in forma consortile.
10- È molto importante che i giovani che non lavorano e che non studiano vengano coinvolti e motivati ad agire in attività che restituiscano loro motivazioni positive. Mentre dal punto di vista strettamente economico è noto come il capitale umano che non viene usato si deteriora e non acquisisce i necessari completamenti professionali, dando così luogo ad uno spreco immenso, gli psicologi sperimentali pongono in evidenza rischi ancora più gravi che hanno a che fare con la perdita di motivazioni, scetticismo e frustrazione, peggioramento delle loro abilità cognitive. Per coloro che non lavorano e non studiano deve restare aperta la strada del servizio civile, da espandere e potenziare sia sul piano dei finanziamenti sia su quello degli strumenti giuridico-contrattuali, sia infine trovando nuovi piani di cooperazione tra le iniziative di servizio civile e altri soggetti, non solo di terzo settore ma anche pubblici, ad esempio con il Genio militare, che dispongono di macchinari e professionalità utilizzati solo in condizioni particolari.

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