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Poco e tardi. Il governo e i pagamenti alle imprese
La prima azione di governo decisa alla Camera – lo sblocco dei pagamenti alle imprese – è un piccolo passo dovuto, ma il problema è rovesciare le politiche di austerità
Il provvedimento del governo di sblocco di una parte del pagamento dei crediti da parte della Pubblica Amministrazione giunge con estremo ritardo e dopo il fallimento delle precedenti iniziative come quelle della certificazione cartacea ed elettronica dei crediti e il pagamento con titoli di stato delle imprese creditrici. Questi ultimi provvedimenti hanno prodotto risultati modesti: poco più di 330 milioni di pagamento dei crediti a fronte di oltre 90 miliardi di crediti presso la Pubblica amministrazione. Addirittura l’operazione di pagamento dei crediti con titoli di stato ha avuto risultati pari allo zero. A suo tempo si è detto che queste iniziative avrebbero prodotto una soluzione di parte di questo annoso problema. Ma sono state solo un pannicello caldo: un’operazione di marketing più che una soluzione tecnica efficace e funzionante, tra l’altro avversata anche dall’ABI.
Ricordiamo che il ritardo con cui si è proceduto con questo provvedimento (e che avrà effetti solo nella seconda metà dell’anno) è stato la causa della chiusura di moltissime imprese e della perdita di migliaia di posti di lavoro negli ultimi tre anni. La mancata assunzione di questo provvedimento fino ad oggi – come per molti altri che potevano avere un impatto anticiclico ed espansivo, di sostegno alla domanda e agli investimenti – è il frutto di una politica sbagliata – quella dell’austerity – che ha portato non solo alla depressione economica in gran parte dei paesi dell’aurea euro, ma anche all’accentuazione dell’indebitamento dei bilanci pubblici. Solo chi è accecato dalla ideologia liberista e rigorista può rifiutarsi di vedere gli effetti nefasti di queste politiche.
Si tratta di un provvedimento reso possibile dopo la tardiva presa di coscienza da parte delle istituzioni europee di allentare un po’ la morsa del Patto di Stabilità, attraverso una maggiore flessibilità dei vincoli di bilancio. Si dice che il nostro paese non poteva prendere prima questo provvedimento perchè dovevamo compiere l’opera di risanamento dei conti pubblici. È certamente vero che lo spread è diminuito in questi 17 mesi, ma è anche vero che nel frattempo il rapporto deficit-pil è aumentato – anche in virtù di questo provvedimento – fino alla soglia del 2.9% nel 2013, il debito è aumentato di 7 punti, il Pil è diminuto del 2,2% nel 2012 e diminirà dell’1,3% nel 2013. Le entrate fiscali – come ci dice la relazione del governo che accompagna questo provvedimento – dimuniranno nel 2013 di oltre 15 miliardi di euro.
È un risanamento economico sulla carta, perchè l’amara realtà è che siamo ancora in emergenza finanziaria e soprattutto siamo in una emergenza sociale ed economica. Delle tre parole con cui il primo ministro Monti si è presentato alle Camere 17 mesi fa all’atto del suo insediamento – rigore, equità e crescita – solo la prima è stata declinata e a senso unico, a danno della gran parte della popolazione, mentre equità e crescita sono rimaste parole vacue e lettera morta.
E non essendoci stata crescita – anzi c’è stato una diminuizione ulteriore del Pil – la situazione di emergenza finanziaria non è stata debellata, ma si è incancrenita e diventata sempre più complessa e difficile.
Con questo provvedimento – oggi sempre di più urgente – si può ridare un po’ di fiato alle imprese, salvandole dal baratro. È un provvedimento che risponde all’esigenza espressa dalla Commissione europea con la sua direttiva che impone termini brevi e certi di pagamento della Pubblica Amministrazione alle imprese. È un varco importante che si apre – contro la logica delle politiche di pareggio di bilancio e di restrizione della spesa pubblica – per far ripartire una politica economica a sostegno della domanda e degli investimenti. Nella risoluzione si chiede una svolta della politica europea in questa direzione e ne prendiamo atto positivamente. Inoltre questo varco non può che essere utilizzato anche per la rinegoziazione a livello europeo delle politiche di pareggio di bilancio e in Italia per la radicale revisione del Patto di Stabilità interno in modo da ridare la possibilità agli enti locali di fare rinvestimenti, sostenere la realizzazione di piccole opere e di finanziamento del welfare locale, dalle scuole alla tutela del territorio.
Siamo preoccupati che si arrivi – con questo provvedimento – a sfiorare con il 2,9% (quasi il 3%) del rapporto deficit-pil, soglia che se superata produrrebbe procedimenti e sanzioni per lo sforamento del deficit. Poichè negli ultimi anni le previsioni sono sempre state ottimistiche, lo sforamento del 3% è una possibilità reale. Da una parte questo pone interrogativi sulle possibilità di finanziamento di provvedimenti sociali urgenti come il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga ed i provvedimenti per gli esodati e siamo soddisfatti che nella risoluzione questo tema venga evidenziato. Dall’altra parte temiamo che lo sforamento del 3% potrebbe portare l’Italia alla richiesta degli aiuti europei con l’imposizione di condizionalità che toglierebbero margini di manovra alla politica economica del nostro paese, vincolandola ad un programma massiccio di tagli alla spesa pubblica. Non vorremmo che che questo esito fosse sottovalutato o in qualche modo evocato e ricercato.
Il provvedimento oggi in discussione è necessario, ma va accompagnato da una radicale revisione della politica economica del nostro paese, passando dall’austerity ad una politica per la crescita ed il sostegno della domanda e dei redditi. Il provvedimento deve giustamente tenere conto di alcune priorità: che vengano pagate prima le imprese e poi le banche, che vengano pagati i crediti più antichi, che si tenga conto di un meccanismo di riparto equilibrato a livello regionale. Dobbiamo evitare che i pagamenti siano concentrati in pochissime regioni. Dobbiamo prevedere – con una convenzione con l’ABI – che l’estinzione dei debiti delle imprese con le banche non ci sia poi anche l’estinzione dell’apertura di credito delle banche con le imprese stesse. Chiediamo inoltre alle imprese che saranno beneficiare di questo provvedimento di fare questo come prima cosa: pagare gli stipendi ed i TFR arretrati alle decine di migliaia di lavoratori che si trovano in questa condizione.
SEL sostiene questo provvedimento, ma chiede contemporanemante (vista l’entità della spesa prevista) che questo non vada a danno degli altri provvedimenti – come quelli per gli esodati e la cassa integrazione in deroga – che saranno in discussione nei prossimi giorni e chiede che questa “mini golden rule” che è stata varata con l’obiettivo di sbloccare il pagamento dei crediti alle imprese sia ampliata al Patto di Stabilità interno per gli enti locali, consentendo da subito un piano di investimenti e di interventi per piccole opere pubbliche che hanno il pregio di partire subito,mettere subito le imprese nella condizione di lavorare e di creare nuova occupazione.
Speriamo che questo provvedimento possa essere – dentro il quadro della discussione a livello europeo sulla necessità di allentare i vincoli delle politiche di risanamento a favore di politiche per la crescita – il primo passo per il superamento di politiche di austerity – politiche spesso dai tratti isterici ed ideologici – a favore di politiche espansive di sostegno alla domanda, agli investimenti, ai redditi. Il fallimento delle politiche di austerity è sotto gli occhi di tutti: tutti gli indicatori macroeconomici sono peggiorati, ma soprattutto è peggiorata la condizione sociale del paese: una cura da cavallo che ha ammazzato anche il cavallo.
Si tratta di cambiare rotta: questo provvedimento può andare nella giusta direzione. Ma per essere veramente giusta questa direzione deve avere come obiettivo più generale il rilancio dell’economia, la risposta alle emergenze sociali, la ricostruzione di una politica industriale di cui il paese manca da molto tempo. Ora si tratta di dare ossigeno – dopo averlo dato alle imprese – anche al lavoro, ai giovani, ai pensionati, ai precari. E’ questo il cambiamento che il nostro paese si aspetta.
Questo è il testo dell’intervento di Giulio Marcon alla Camera il 2 aprile 2013.
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