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Habermas, Balibar e la democrazia che evapora

05/10/2012

Per essere un veterano della critica all'Europa dei Trattati e dei mercati spero che l'intervento di Habermas, Bofinger e Nida-Ruemelin (la Repubblica del 4 agosto) così come la presa di posizione di Balibar e Kaldor (su questo sito) assieme alla crisi di rigetto che si estende nella varie nazioni del Continente ridestino la coscienza europea dal sonno delle ragioni della democrazia.

Per essere un veterano della critica all'Europa dei Trattati e dei mercati spero che l'intervento di Habermas, Bofinger e Nida-Ruemelin (la Repubblica del 4 agosto) così come la presa di posizione di Balibar e Kaldor (su questo sito) assieme alla crisi di rigetto che si estende nella varie nazioni del Continente ridestino la coscienza europea dal sonno delle ragioni della democrazia.
Quelle ragioni che il neoliberismo dei Trattati ha sottratto ai popoli europei istituzionalizzando della democrazia una autentica mistificazione, quella dell'Ue. La cui legittimazione sarebbe derivata dalla democraticità degli stati di appartenenza. Come se la rappresentanza politica dei Parlamenti di questi stati potesse essere trasferita ai rispettivi governi, usati come tramite per una successiva investitura di rappresentatività operata a favore delle istituzioni intergovernative dell'Unione. L'evaporazione della rappresentanza parlamentare si sarebbe poi estesa oltre le istituzioni intergovernative (Consiglio, Consiglio dei capi di stato e di governo).
Perché tali istituzioni, come del resto lo stesso Parlamento europeo, pur se rappresentativo di tutti i popoli dell'Unione, sono a potestà dimezzata. Possono esercitare le rispettive funzioni soltanto per deliberare su proposte di una diversa istituzione, la Commissione europea, disegnata in modo da farla risultare svincolata dagli stati, dai governi, dai parlamenti nazionali e da quello europeo e finalizzata a «promuovere l'interesse generale dell'Unione» (art. 17, Tue). Interesse che fu identificato nella realizzazione di una «... economia di mercato aperta ed in libera concorrenza» (art. 119 del Tfue). Che la rappresentanza acquisita all'origine dai parlamenti nazionali, una volta ridotto quello europeo ad esecutivo dei trattati, possa librarsi nei cieli d'Europa per poi poggiarsi sulla Commissione di Bruxelles e pervaderla col flusso della legittimazione offertale dalla base sociale dei singoli stati è credenza risibile, affermazione mendace, teorizzazione infondata. Con conseguenze tragiche, quelle della crisi che stiamo vivendo.
Che si tratti del fallimento del neoliberismo con l'autoregolazione dei mercati, suo immediato corollario, non possono esserci dubbi. Tanto più che, via via che l'andamento del sistema costruito su quei principi smentiva una ad una le promesse declamate, si è fatto ricorso a misure che, mirando a conservarlo, lo contrddicono radicalmente trasfigurandolo in neoliberismo coatto. Non potevano che essere altrettanto catastrofiche le conseguenze sul tipo di edificazione scelto per fornire a questa Europa le istituzioni necessarie a farla nascere e ad integrarne la configurazione.
Perciò se ne vanno proponendo nuove architetture istituzionali. Ma da sedicenti costituenti quali Bce, Commissione europea, Consiglio europeo. Quindi da soggetti di legittimazione democratica nulla. Ma il problema si pone e drammaticamente. Non credo però che l'enorme ed esaltante questione dell'unità europea si possa affrontare senza ripudi irreversibili e senza assumere come compito inderogabile la costruzione di quella che Balibar chiama democrazia sostanziale. Non credo che lo si possa senza sbarrare gli effetti della rivoluzione passiva che il capitalismo ha condotto contro lo stato sociale e le conquiste di civiltà arrise al movimento operaio e democratico nel secondo dopoguerra. Non credo che lo si possa senza partire dal fattore originario della crisi mondiale - l'abbandono negli anni 70 del sistema dei cambi fissi - senza cioè riconoscere che la liberalizzazione dei capitali dagli stati comportò e comporta la liberazione dei capitali dalla democrazia negli stati, per quanto in essi si fosse realizzata o si potesse sviluppare. L'Unione europea, per il suo principio fondante e il corollario dell'autoregolazione del mercato, è stata ed è la specificazione europea della sottrazione del mercato alla democrazia, e, più ancora, cancellazione della politica, contraffazione e asservimento del diritto a funzione servente dell'economia liberista.
So bene che queste mie convinzioni mi pongono in posizione opposta a quella di Habermas quanto a concezione del mercato (v. la Repubblica del 23 settembre). Credo che possano però convergere sulla necessità di una unità europea legittimamente fondata, da qui la proposta di «un legislatore eletto da tutti i cittadini europei che possa decidere sulla base di interessi generalizzati a livello europeo». Riemerge però il mio dissenso ed ha ad oggetto il ruolo di tale legislatore. Attiene al diverso grado di legislazione che si pensa debba essere esercitata. Habermas la concepisce come interna o almeno compatibile con l'ordinamento vigente, con lo spirito e la logica dei Trattati. Il legislatore sarebbe compartecipe (la Repubblica, cit.) del Consiglio europeo. La mia opinione invece è che, perché eletto da tutti i cittadini europei, non possa che essere titolare di potere costituente. Uso questa qualificazione per una ragione che credo evidente. Il superamento di questa Europa fallimentare implica il superamento delle sovranità nazionali dimezzate dai Trattati ma ancora vincolanti o anche solo condizionanti. A simboleggiarle ma soprattutto ad esercitare, congiuntamente, poteri derivanti dalle sovranità nazionali è proprio il Consiglio europeo. Confermarlo in tale ruolo incrementandogli i poteri con l'aggiunta di quelli di grado costituente contraddice proprio tale grado di regolazione che si pone come necessaria e che è quella costituente.
Ma c'è un motivo in più a favore della discontinuità con la storia dell'integrazione europea finora perseguita. Gli stati, non solo europei in verità, sono responsabili di un'abdicazione concertata insieme per delegare al mercato la regolazione del mercato. Una delega senza limiti, senza criteri direttivi che, quindi ha privilegiato tra masse di esseri umani e contro masse di esseri umani, gli attori del mercato, quello finanziario e non solo. Questi attori si sono rivelati per quelli che erano e non potevano che essere: responsabili dello spostamento più consistente della ricchezza prodotta dai salari ai profitti e della più estesa e massiccia compressione dei bisogni delle donne e degli uomini. Hanno, questi stati, tradito la loro stessa storia, la più recente, quella che li vide accogliere le domande della democrazia di assumere la qualificazione "sociale" rendendola credibile col riconoscimento del principio dell'eguaglianza sostanziale e quello dei diritti sociali. Questi stati a fronte del fallimento del neoliberismo non reagiscono, non revocano l'abdicazione compiuta a favore del mercato autoregolato, non provano a riacquisire ed esercitare i poteri per i quali emersero nella storia e pretesero di legittimarsi, i poteri di garantire la sicurezza di vita dei sottoposti – a questo stadio di regressione si è giunti – sicurezza abbandonata alla devastazione neoliberista.
Perciò questi stati, non possono essere soggetti costituenti della democrazia sostanziale (Balibar) da costruire in Europa assumendo come suo compito l'eguaglianza sostanziale e a suo fondamento i diritti sociali con tutti gli altri che il costituzionalismo ha definito, munendoli di garanzie inderogabili. Certo, attuando il principio no taxation without representation. A condizione che sia una rappresentanza autentica, non distorta, non limitata, controllabile. Perciò aggiungendo: no representation without partecipation. Ma che sia una partecipazione credibile, cioè regolata, non disponibile per oligarchie irresponsabili. Una democrazia che sia insieme rappresentativa e partecipata. Con la disponibilità per il demos di ambedue le forme di esercizio del potere, distinte solo quanto alla adeguatezza di una delle due alle deliberazioni da compiere.
Una democrazia che apra orizzonti alla prospettiva del libero sviluppo di ciascuno come condizione del libero sviluppo di tutti. Un compito enorme ma ineludibile.
Post scriptum. Con tutto quello che comporta di analisi, di riflessione, di approfondimenti, di elaborazione, di invenzione la democrazia sostanziale non potrebbe essere adottata come ragion d'essere di questo giornale? Da qualche parte bisognerebbe pure ricominciare.

Sulla discussione anche gli articoli di Mezzadra e Martiny

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