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Oltre la crisi. Nei cerchi del potere
La finanza sta distruggendo la società, cancellando il problema del riscaldamento climatico. La studiosa statunitense sarà ospite al salone dell'editoria sociale a Roma (28 ottobre-1° novembre)
In Europa la crisi finanziaria è quella che preoccupa la maggior parte della gente e che gode della copertura più ampia sulla stampa, ma non è l’unica. La gente fa bene a preoccuparsi della finanza, visto che nella vita reale l’attuale caos finanziario si traduce in alta disoccupazione giovanile, pesanti tagli ai servizi pubblici e in tutte quelle misure di austerità che sono destinate ad aggravare la crisi. Ci troviamo inoltre in una grave crisi di disuguaglianza. In Europa, ma soprattutto negli Stati Uniti, dagli anni Venti o Trenta del Novecento il benessere non è mai stato così mal distribuito. Gli “indignados”, gli “indignati” hanno completamente ragione a identificarsi con il “99 per cento”: hanno compreso che l’uno per cento al top ha aumentato enormemente il proprio reddito mentre tutti gli altri lo stanno perdendo. Tuttavia, ritengo che la crisi più drammatica sia quella di cui meno parliamo, il global warming e il cambiamento climatico. La crisi climatica avrà infatti gli effetti più profondi sulla stessa civiltà, e in paragone renderà irrilevanti le nostre preoccupazioni finanziarie. Provo a spiegare con un’immagine ciò che intendo.
Immaginiamo che il mondo sia governato da cerchi concentrici o sfere di potere, in cui il più potente sia collocato nella sezione più esterna. Oggi, il cerchio più potente, quello che più influenza le nostre vite, è la finanza. La finanza globalizzata manda letteralmente avanti il mondo, basta osservare la quantità di soldi che le banche hanno ricevuto dai governi (il che significa dai contribuenti, in altri termini da me e da voi). Un recente rapporto stilato dalla Federal Reserve (Fed) americana stima in sedici trilioni di dollari (16.000.000.000.000) la somma di soldi spesi dalla Fed per salvare le banche. Una cifra che non tiene conto di quel che gli inglesi, i tedeschi, i francesi, gli italiani e via dicendo hanno speso per le loro banche. Una cifra di cui non conosco l’esatto ammontare. Immaginiamo comunque che ogni dollaro speso dalla Fed per salvare le banche corrisponda a un secondo sul nostro orologio. Sedici trilioni di dollari, tradotto in secondi, corrisponde a cinquecentomila (500.000) anni.
La voracità della finanza
Le banche, da parte loro, hanno speso grandi somme di denaro per fare lobbying sui governi, affinché rimuovessero tutte le restrizioni ai loro movimenti. Questo tipo di deregulation ha contribuito in modo significativo alla crisi: le banche hanno assunto grandi rischi con i soldi miei e vostri. Dal loro punto di vista, erano nel giusto, dal momento che erano “too big to fail” e sapevano che i governi sarebbero dovuti intervenire per salvarle, in caso di crollo. Allo stesso tempo, hanno fatto ampio ricorso ai prestiti, spesso assumendo rischi di 30 o 40 dollari per ogni dollaro proprio. Ma nonostante questo sono state salvate senza alcuna condizione. Non hanno dovuto cambiare alcunché nel loro operato e rimangono “too big to fail”. In questo senso, la finanza è senz’altro il cerchio più ampio, quello collocato all’esterno. Il successivo cerchio di potere è l’economia reale, dove la gente investe, produce, distribuisce e consuma. Negli Stati Uniti, quest’economia reale riceve soltanto il 20 per cento dell’investimento disponibile, mentre il resto finisce direttamente al settore finanziario. Marx ha fondato la sua analisi sull’economia reale: gli industriali ottengono profitti producendo beni e servizi reali, sfruttando i lavoratori nel processo di produzione e tenendo per se stessi il surplus di valore. Oggi, non c’è più bisogno che l’economia reale faccia soldi. Negli ultimi venti anni circa, si è potuto ottenere molto di più scommettendo direttamente sui prodotti finanziari e vendendo sempre di nuovo lo stesso prodotto finanziario.
Il terzo circolo di potere è la società, che include il governo, il quale deve obbedire alle regole della finanza e dell’economia. I governi obbediscono a tali regole, anziché fare in modo che siano la finanza e l’economia ad obbedire loro, cosa che porterebbe benefici alla gente. I sistemi di protezione sociale e perfino la salute e l’educazione sono sotto attacco ovunque, anche in quell’Europa che si ritiene sia il continente più ricco. Negli scorsi 3 o 4 anni i governi sono diventati sempre più indebitati, soprattutto a causa delle somme che hanno dovuto impiegare per salvare le banche. E oggi ci si aspetta che la gente paghi di nuovo: dopo aver già pagato il salvataggio delle banche, ora deve pagare nuovamente perché i debiti governativi sono troppo alti. L’ultimo cerchio è quello ambientale, la biosfera, un cerchio molto limitato a paragone degli altri tre.
Per la maggior parte dei governi, prendersene cura rappresenta una sorta di lusso, che oggi non ci si può permettere di affrontare. Si tratta di un atteggiamento miope, e tragico. Ora, non sarete certo sorpresi nel sentire che la soluzione a tutti i problemi è semplice da affermare ma estremamente difficile da realizzare. È la prima volta nella storia umana che la gente è sollecitata a compiere un simile cambiamento fondamentale: dobbiamo capovolgere l’ordine dei cerchi che ho appena descritto. La biosfera deve venire per prima e divenire il più potente dei cerchi, perché è il più potente. Non possiamo contraddire le leggi della fisica e della chimica, e se lo facciamo siamo sicuri di perdere. Non ho mai parlato di “salvare il pianeta” perché il pianeta si prenderà cura di sé come ha fatto per 4 miliardi e mezzo di anni. La vera questione non è tanto se il pianeta sopravviverà, quanto se gli esseri umani in quanto specie sopravviveranno sul pianeta. La conferenza sul cambiamento climatico che si terrà a Durban alla fine del prossimo mese sembra sia destinata a un altro colossale fallimento, alla stregua delle precedenti conferenze di Copenhagen o Cancun. Presto, sarà troppo tardi, se non lo è già. Scienziati molto rispettabili ci suggeriscono che l’aumento della temperatura potrebbe raggiungere i 4 o 5 gradi Celsius e che ciò decimerebbe letteralmente la popolazione umana. […] Il secondo cerchio sarebbe la società, una società democraticamente organizzata in cui i governi rispondano alla gente e la gente sia la base della loro autorità.
Una democrazia reale non è possibile fino a quando i governi governano per conto del sistema finanziario. Il cerchio successivo, il terzo, sarebbe la vera economia, con genuini investimenti nel lavoro, nell’educazione e nella salute, e con un alto livello di spesa pubblica e più equi sistemi di tassazione e distribuzione delle rimesse. Preferisco evitare di parlare di società “socialista” o “comunista”, così come di qualsiasi altro tipo di società che si presume perfetta, perché sono estremamente diffidente della gente e dei partiti che già credono di sapere esattamente come dovrebbero essere organizzate le future società libere. Spero ci possa essere una varietà di forme organizzative, adeguate alle diverse culture, storie e preferenze. Desidero conservare la biodiversità, e ritengo la sociodiversità un valore positivo. Per ultimo, ci sarebbe la finanza, il più piccolo e fragile dei quattro cerchi: semplicemente uno strumento, tra molti altri, al servizio dell’economia reale, della società e della biosfera. Questo non è – ripeto non è – un progetto utopico. È del tutto realizzabile se noi, il popolo, riusciamo a strappare il controllo dalle mani del sistema finanziario.
Quando la crisi finanziaria è divenuta più grave, nel 2007-2008, ho cominciato a occuparmi dei modi in cui avremmo dovuto usare la crisi finanziaria per risolvere le altre due gravi crisi della disuguaglianza economica e sociale e del clima. Ciò significherebbe prendere il controllo della finanza e investire immediatamente in una transizione verde, creatrice di posti di lavoro, cercando i soldi là dove ci sono, tra la persone e le corporations che ora si trovano al top. […]. Una transizione sociale e verde significa anche che dobbiamo socializzare le banche, e scrivo socializzare e non nazionalizzare perché, insieme al governo, parte dell’autorità spetterebbe ai cittadini, agli impiegati di banca e ai clienti. A quel punto le banche dovrebbero concedere prestiti alle imprese di piccole e medie dimensioni, in particolare a quelle con un progetto ambientalmente innovativo e alle famiglie che intendano comprare o costruire case a risparmio energetico o energeticamente neutrali. Molti studi hanno dimostrato che un’economia ecologica è anche un’economia che crea posti di lavoro, e a tutti i livelli della società, dai lavoratori edili agli scienziati della classe media.
Il clima al primo posto
Per le banche socializzate, l’altra priorità sarebbe di estendere il credito alle imprese sociali, le compagnie con qualche forma di controllo da parte del lavoratore. Nessuna legge sostiene che la democrazia debba fermarsi là dove comincia l’economia, e l’economia ha bisogno di essere democratizzata. Le banche dovrebbero essere viste come parte del network del servizio pubblico. Le attività economiche di piccole e medie dimensioni hanno un gran bisogno di credito. Piuttosto che salvare le aziende in via di fallimento per fare esattamente ciò che finora hanno fatto – per esempio produrre automobili – si paghi il personale, dai lavoratori agli ingegneri e così via, per inventare nuovi prodotti che siano i più socialmente utili e che possano essere prodotti negli attuali luoghi di lavoro. Abbiamo speso centinaia di anni trascurando la creatività di metà della razza umana – vale a dire le donne – e ancora oggi trascuriamo la creatività, quasi tutta, della gente che lavora. Ci sono molte altre misure da adottare, che richiederebbero una descrizione troppo dettagliata. Mi limito a elencarle: cambiare gli statuti e i mandati della Banca centrale europea, in modo tale che conceda prestiti direttamente ai governi, non alle banche, che a loro volta li concedono ai governi a interessi più alti.
La Banca centrale europea non dovrebbe limitarsi a “controllare l’inflazione” (unico suo compito oggi), ma favorire la creazione di lavoro. Emettere Eurobond e impiegare gli investimenti per network intra-europei di trasporto ed energia puliti. Creare una tassa europea su tutte le transazioni finanziarie, incluse valute, stock, bond e derivati a 1 punto base (1/1000); chiudere i paradisi fiscali; cancellare l’intero debito africano nei confronti dell’Europa, in cambio di progetti di riforestazione localmente orientati e partecipati, che possano essere monitorati (uno “scambio debito per clima”); rivedere tutti gli accordi di libero commercio e scegliere gli elementi che favoriscono i diritti umani, del lavoro e dell’ambiente, scartando gli altri; accordare preferenza ai prodotti del commercio equo (monitorato). Soprattutto, mai dimenticare che le banche sono nostre, in un senso piuttosto letterale.
In quanto contribuenti, infatti, abbiamo pagato per loro con i nostri soldi e se non l’avessimo fatto non esisterebbero più. Dunque, non preoccupiamoci di dirlo! Altrimenti, continueremo a vivere in una crisi morale, in una crisi finanziaria, sociale ed ecologica. Finora, abbiamo ricompensato i colpevoli e punito gli innocenti. È arrivato il momento di capovolgere le cose.
Traduzione di Giuliano Battiston (articolo apparso su il manifesto del 27 ottobre 2011)
Il Salone dell’editoria sociale si tiene a Roma, a Via Galvani 106 (Testaccio), da venerdì 28 ottobre a martedì 1° novembre. È promosso dalla rivista Lo Straniero, dalle Edizioni dell’Asino, Redattore sociale, Lunaria, Comunità di Capodarco. Tra gli ospiti internazionali, oltre a Susan George, anche il sociologo Zygmunt Bauman, che sabato mattina terrà una conferenza dal titolo “Quali sono i problemi sociali oggi?”. Molte le tavole rotonde, tra cui quella su “Dopo la crisi, quale modello di sviluppo?”, con Gianfranco Bettin, Anna Donati, Maurizio Landini, Giulio Marcon, Tonino Perna, Guglielmo Ragozzino e Guido Viale. Delle vie per uscire dalla crisi si tornerà a discutere con Stefano Fassina, Massimiliano Smeriglio, Mario Pianta e Roberta Carlini. È dedicato alla crisi dei partiti politici, e al declino della democrazia, l’incontro con Carlo Donolo, Pino Ferraris, Alfio Mastropaolo, Alessandro Pizzorno e Nello Preterossi. Luigi Ferrajoli, Ugo Mattei e l’economista premio Nobel Elinor Ostrom (in collegamento video), discuteranno di “beni comuni”. Le mafie, nazionali e internazionali, saranno al centro del dibattito con Federico Varese, Diego Gambetta e Ugo Pipitone tra gli altri. Diverse le iniziative su teatro, cinema e illustrazione: oltre alla mostra per i dieci anni della casa editrice Orecchio Acerbo, un incontro con l’illustratore Fabian Negrin; un dialogo tra Goffredo Fofi e Carlo Verdone; un omaggio a Ermanno Olmi; Moni Ovadia leggerà un testo del pedagogista polacco Korczak; Ascanio Celestini, con il suo intervento “Dalla parte dei perdenti”; la tavola rotonda sul documentario con Marco Bechis, Francesco Munzi, Pietro Marcello e Andrea Segre. La mattina di domenica 30 è invece il “giorno degli Asini”: l’occasione per incontrare redattori e collaboratori della rivista di educazione e intervento sociale “Gli Asini”.
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