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Soluzione argentina per i Pigs europei?
Lo stato dei paesi della periferia europea in un'analisi dell'Rmf: gli interventi degli stati hanno placato i mercati ma non hanno certo risolto la crisi del debito
Le misure di austerità promosse in Europa provocheranno una peggiore distribuzione delle risorse e un ulteriore indebolimento dei lavoratori. Dall'altra parte, queste stesse misure non permetteranno in nessun modo di risolvere i problemi strutturali dei Paesi coinvolti. Questa completa bocciatura della linea di politica economica attualmente perseguita dai governi europei riassume le principali conclusioni di una ricerca pubblicata negli scorsi giorni dal Research on Money and Finance – Rmf – una rete internazionale di economisti.
Lo studio si basa sull'analisi della situazione economica e del debito di alcuni Stati europei, e in particolare di quelli più a rischio, i cosiddetti Pigs: Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna.
Se le difficoltà finanziarie sono esplose con la crisi del 2007, sostengono i ricercatori, le cause di lungo periodo vanno ricercate nella struttura stessa dell'Unione monetaria europea. Una pressione sistematica sul lavoro ha intensificato le differenze di competitività interne all'Ue, dividendo di fatto l'eurozona in un centro e in una periferia.
La periferia, che include Grecia, Spagna e Portogallo, non è riuscita a competere contro il centro, ma ha dovuto ugualmente adeguarsi all'unione monetaria e alla rigida disciplina fiscale. Questo ha provocato dei deficit nelle partite correnti, e specularmente degli avanzi in tali poste nei paesi del centro, e principalmente in Germania.
I limiti agli interventi pubblici imposti dal patto di stabilità hanno di fatto riversato il peso di questi deficit sul settore privato. In primo luogo le banche degli stati della periferia si sono indebitate nei confronti degli istituti dei paesi del centro. In secondo luogo sono aumentati i debiti dei cittadini nei confronti delle banche. Questi flussi finanziari sono stati impiegati per sostenere artificialmente i consumi – la bolla immobiliare in Spagna è probabilmente l'esempio più evidente.
A sostegno di queste tesi, i ricercatori segnalano un aumento del debito, dall'introduzione dell'Unione monetaria ad oggi, dal 200 al 300% in Grecia, Spagna e Portogallo. Tale debito, sommando quello pubblico e quello privato, è oggi arrivato rispettivamente al 296%, 506% e 479% del Pil dei tre Paesi. Una parte sostanziale è detenuta all'estero, e la ricerca sottolinea come le istituzioni europee abbiano sistematicamente sovrastimato la capacità di restituire i prestiti da parte di quegli stati.
Se la creazione del debito è stata storicamente di natura privata, inoltre, con lo scoppio della crisi e nel biennio 2008-2009 la componente pubblica è esplosa, in maniera particolare in Grecia.
Questa situazione rappresenta una minaccia incombente per le banche europee. Negli ultimi anni gli istituti di maggiori dimensioni, in primo luogo in Germania e Francia, hanno aumentato sensibilmente le loro esposizioni nelle nazioni periferiche, attratti dagli alti rendimenti. In un momento di generale difficoltà come l’attuale, le stesse banche si trovano con notevoli problemi di finanziamento legati anche all'andamento del dollaro.
Gli aiuti elargiti nella prima metà del 2010 erano offerti ai paesi della periferia, ma erano in pratica mirati per tali banche. La Banca centrale europea ha fornito liquidità alle banche e ha iniziato ad acquistare il debito pubblico dei Pigs per alleviare la pressione sulle stesse banche. Gli interventi degli stati hanno temporaneamente placato i mercati ma non hanno certo risolto la crisi, dato che le banche europee continuano ad avere enormi volumi di debito dei paesi periferici in una fase di difficoltà finanziaria.
A questi interventi pubblici sono seguite le misure di austerità, con impatti negativi per le economie e le società europee. L'austerità comprimerà la spesa pubblica e indebolirà i consumi privati, ovvero gli elementi della domanda aggregata che avevano mostrato qualche segno di vitalità nel biennio passato. Sommata al calo degli investimenti e alla diminuzione del credito, ci si trova in presenza di una situazione che rischia di comportare una recessione.
Vista la debolezza della domanda globale, non è nemmeno plausibile che le esportazioni possano sostenere la crescita in Europa. Inoltre, le misure di austerità provocheranno probabilmente una contrazione dei salari, esasperando in questo modo il vantaggio competitivo del centro, e della Germania in particolare, e aumentando ulteriormente lo squilibrio tra i surplus in questa nazione e i deficit dei Pigs.
Il peso del debito e gli impatti negativi delle misure di austerità hanno sollevato la possibilità di default dei paesi della periferia. La ricerca sottolinea come un default possa essere guidato dal creditore o dal debitore. Questa seconda eventualità potrebbe ridurre sensibilmente il debito complessivo. Il rischio è quello di essere esclusi dal mercato dei capitali, almeno temporaneamente. Gli esempi di Argentina e Russia hanno però mostrato come i risultati possano essere positivi per il paese che decidesse di seguire questa strada. Una strada che potrebbe significare l'uscita dall'eurozona, la svalutazione della propria moneta per aumentare la competitività e la possibilità di rimuovere i vincoli monetari e fiscali del patto di stabilità. Una soluzione che rischia di avere forti ripercussioni sul sistema bancario e monetario. Con ogni probabilità sarebbe necessario come minimo introdurre un forte monitoraggio delle banche e di altre aree dell'economia, un controllo sui flussi di capitali, nuove politiche industriali, una riforma del sistema fiscale in direzione di una maggiore progressività. In poche parole, la ricerca propone esplicitamente un totale cambiamento di rotta rispetto alle politiche neoliberiste.
Si tratta di scelte dalle implicazioni enormi. E' necessario, conclude lo studio, pesare bene i diversi fattori in gioco e valutare i costi, i benefici e gli impatti sociali di un'azione abbastanza radicale da spezzare la spirale dell'indebitamento, o, all'opposto, quelli di una recessione e di una stagnazione di lungo termine in diversi Paesi europei.
La ricerca completa è disponibile sul sito:
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