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L'investimento di Stato nelle prigioni

22/10/2009

Ventiquattro nuove carceri da costruire, con procedura d'urgenza e superpoteri a un commissario che gestirà 1,3 miliardi. Una notizia sottovalutata dai più

Si chiama “Piano per l’emergenza carceri” il progetto del governo che fa sapere che verranno costruite 24 nuove strutture penitenziarie. Un miliardo e trecento milioni è la stima, al momento attuale, di quanto si spenderà per costruzioni ed ampliamenti.

Sono 217 le prigioni in Italia e i reclusi quasi 65.000, cifra drammaticamente aldisopra della “capienza” regolamentare. Il problema del sovraffollamento e delle pesantissime condizioni nelle prigioni è ricorrente (alcuni anni fa, ricordiamolo, dibattiti e scontri sull’indulto).

La notizia relativa alla proposta di intervento e alle modalità che verranno adottate ha circolato nei giorni scorsi, ma ha suscitato scarsa attenzione. Invece su diversi aspetti sarebbe bene riflettere, e comincio facendo riferimento all’analogo - e già sperimentato - meccanismo che negli Stati Uniti è stato definito come il prison industrial complex: il sistema carcerario funziona con logiche di mercato. Si costruiscono e si fanno funzionare strutture che sono di proprietà di imprese private, e da loro gestite. Ma anche nel sistema pubblico (istituti statali o federali o di contea) il carcere costituisce un pezzo dell’economia e funziona secondo le normali leggi del profitto. Il fatto che ci sia un elevato numero di detenuti – coinvolgendo, per beni e servizi necessari ai “consumatori carcerari” (cibi, attrezzature per il sistema di reclusione, medicinali, ecc.) - genera evidenti vantaggi per i settori interessati. Ed è stato in più occasioni denunciato che operano potenti lobbies. Si fanno pressioni sui politici per “orientare” la spesa per investimenti carcerari.

Nel caso italiano la situazione che si delinea non può non preoccupare per le possibili ricadute in certi ambiti economici e a livello politico. Un aspetto è questo: vengono attribuiti, data la obiettiva urgenza del problema, pieni poteri per la realizzazione del piano (appalti, consulenze, ecc.) a un “commissario straordinario”. E’ la procedura di emergenza. In queste condizioni non opererà alcun meccanismo di controllo rispetto a scelte e modalità di intervento.

In un sistema come il nostro, fortemente segnato da intrecci di interessi e meccanismi di illegalità, questi aspetti della proposta di intervento non sono da sottovalutare. Sarebbe bene tener viva l’attenzione.

C’è un seconda parte della proposta, quella che prevede come soluzione un più ampio ricorso agli arresti domiciliari.

Il piano prevede che sarà possibile scontare condanne inferiori a 12 mesi "nella propria abitazione o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza, e accoglienza”. Appare non del tutto improbabile che si possa sviluppare un altro settore di business: “imprenditori” di vario genere potrebbero essere interessati a costruire e gestire i “luoghi” pubblici o privati di cui si parla. L’impossibilità di attivare controlli è ancora una volta un elemento molto preoccupante.

Un’ultima considerazione. E già in passato su questo si sarebbe dovuto riflettere.

La soluzione “arresti domiciliari” dovrebbe tener conto delle condizioni concrete di vita delle persone per le quali il provvedimento è previsto. Ci sono casi in cui il provvedimento riguarda persone di classe media in situazioni abitative del tutto adeguate. Provvedimenti che talvolta sentiamo menzionare alla televisione o dai giornali per personaggi noti, o comunque di un certo rilievo.

Ma dovremmo cercare di immaginare cosa possa significare, anche per familiari e conviventi del “condannato”, una presenza “a tempo pieno” (o quasi) in condizioni non facili da gestire.

Colpevoli di reati che prevedono appunto punizioni di questa entità (piccoli furti, o truffe da poco, traffici legati alla tossicodipendenza) sono molti giovani. Immaginiamola, la vita ai “domiciliari”: un’esperienza comunque difficile, in abitazioni con spazi limitati, casi in cui i rapporti quotidiani con la famiglia sono problematici. E pensiamo quali possano essere le possibili soluzioni, appunto nel vivere di ogni giorno, se si tratta di immigrati con le difficoltà che sappiamo moltissimi affrontano (alloggi sovraffollati, risorse economiche insufficienti, ecc.).

Una volta di più, di fronte a un problema che certo è di estrema urgenza, meccanismi economici e politici e interventi attinenti al sistema giustizia vengono affrontati senza che ne siano messe in luce le possibili, complesse implicazioni, sociali e anche semplicemente umane.

 

 

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