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Sanatoria, tutti i motivi del flop
Poche domande per la regolarizzazione di colf e assistenti familiari. Colpa dei troppi paletti e pericoli disseminati sulla strada della sanatoria
La regolarizzazione “selettiva” sta per volgere al termine. Chi non lo avesse ancora fatto, ed è titolare dei requisiti necessari, ha tempo fino al 30 settembre per regolarizzare la posizione lavorativa di una collaboratrice domestica o di un massimo di due assistenti familiari. Benché il provvedimento riguardi formalmente tutti i lavoratori del settore, nei fatti sta interessando prevalentemente donne di origine straniera. Sinora le domande presentate risultano molto inferiori alle 500-600.000 attese dal ministero degli Interni: sono 151.703 secondo i dati ufficiali aggiornati al 22 settembre, in maggioranza relative a collaboratrici domestiche (88.008). Sebbene i dati degli ultimi giorni registrino un aumento, difficilmente il dato definitivo confermerà le previsioni e raggiungerà le 341.121 domande di regolarizzazione presentate nel 2002 solo per il lavoro domestico.
I motivi che possono spiegare questo risultato sono molteplici. In primo luogo la tipologia dei requisiti richiesti.
1) Il versamento di un contributo forfettario di 500 euro da parte del datore di lavoro è in realtà pagato nella quasi totalità dei casi dagli stessi lavoratori e in caso di mancato accoglimento della domanda non sarà restituito. Non tutti sono disponibili a rischiare.
2) Per l’assunzione di una collaboratrice domestica il reddito imponibile minimo richiesto (20.000 euro) sale a 25.000 euro se il datore di lavoro non lo raggiunge autonomamente e deve integrarlo con quello di un altro familiare convivente.
3) Il tetto minimo di 20 ore di lavoro settimanali. La forma di collaborazione domestica più diffusa è quella “a ore”, in media tra le quattro e le sei ore settimanali: per raggiungere il minimo di 20 ore la lavoratrice deve avere in corso almeno 3-4 rapporti di lavoro. La regolarizzazione in corso, a differenza di quella del 2002, non consente di cumulare diversi rapporti di lavoro: la domanda deve essere presentata da un unico datore di lavoro per un minimo di 20 ore settimanali.
4) La necessità di indicare il domicilio (che dovrà risultare “idoneo” al momento della stipula del contratto di soggiorno) costituisce un altro ostacolo rilevante: per legge il cittadino straniero non può stipulare un contratto di locazione se non è titolare del permesso di soggiorno. Se non convive con il proprio datore di lavoro, è “ospite” di proprietari che affittano al nero oppure vive in alloggi il cui contratto di locazione è intestato a qualcun altro. In entrambi i casi, spesso si tratta di abitazioni precarie e/o sovraffollate: chi “ospita” può avere una certa reticenza a dichiarare alle autorità di pubblica sicurezza, entro 48 ore dalla presentazione della domanda, di ospitare un cittadino straniero privo di permesso di soggiorno.
Ma forse la ragione principale è un’altra. La retorica sicuritaria e esplicitamente xenofoba che ha accompagnato l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale e il complesso delle norme che inaspriscono la disciplina sull’immigrazione, ultima la legge 94/2009, ha contribuito da un lato a diffondere nelle famiglie la paura di “esporsi” (“se la domanda di regolarizzazione non viene accettata che cosa succede?” è una delle domande più ricorrenti) dall’altro ad alimentare il razzismo diffuso. E il razzismo certo non favorisce la tutela dei diritti.
Si dirà: si tratta comunque di un provvedimento positivo che consente a migliaia di persone straniere di uscire dall’invisibilità. E’ vero, ma c’è un piccolo “dettaglio”: esclude le migliaia di lavoratori stranieri che lavorano al nero nel settore agricolo, in quello edile, turistico e della ristorazione nonché in molte piccole imprese manifatturiere. Secondo il ministro Sacconi, sponsor della “regolarizzazione selettiva”, “Il nostro mercato del lavoro non sarebbe in grado di recepire in questo momento in modo sostenibile altre professionalità anzi, nell’interesse degli stessi immigrati che già sono qui e che spesso sono costretti all’inattività o alla disoccupazione dalla grande recessione globale noi dobbiamo contenere gli ingressi con riferimento proprio a queste professioni”.
I provvedimenti di regolarizzazione riguardano però per definizione persone che sono già presenti in Italia e che già lavorano, seppure al nero: si tratta di persone già inserite nel mercato del lavoro ma “invisibili” perché prive di contratto di lavoro, non certo per loro scelta.
E’ stata ventilata la possibilità, da parte di alcuni membri del governo, di un prossimo provvedimento specificamente rivolto a sanare questi lavoratori. E’ augurabile che arrivi al più presto: nell’attuale contesto l’introduzione di quel meccanismo di regolarizzazione ordinaria (non legato cioè a provvedimenti una tantum), richiesto da tempo da giuristi democratici e associazioni antirazziste, è purtroppo destinata a rimanere un’utopia. Non c’è, infatti, nessuna ragione che possa spiegare perché due lavoratori debbano essere trattati in modo diverso a seconda del settore in cui operano. Di certo non costituisce un motivo convincente il modello di welfare familistico che ha in mente il ministro Sacconi che tende a scaricare sulle famiglie e sulle assistenti familiari i costi del progressivo smantellamento delle politiche sociali.
Uno schieramento ampio di migranti, associazioni antirazziste, sindacati e movimenti tornerà in piazza il 17 ottobre con una manifestazione nazionale contro il razzismo per denunciare l’ingiustizia di questo provvedimento discriminatorio e delle altre norme che compongono il pacchetto sicurezza. E’ importante esserci e far partecipare. Per informazioni: http://www.17ottobreantirazzista.org.
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