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All'Europa non basta rattoppare il mercato

15/05/2009

Cosa dovrebbe fare una politica economica europea di sinistra? Non limitarsi alla redistribuzione, ma recuperare l'azione pubblica. Cominciando con un bilancio autonomo di entrate e spese

Spesso la politica economica europea è criticata per la sua linea di intransigenza nell’attuazione dei vincoli di Maastricht legati al deficit di bilancio, al debito pubblico e all’inflazione. Questi vincoli delineano o prefigurano una politica economica deflattiva nei confronti del mondo del lavoro, unitamente ad una precarizzazione-flessibilizzazione del lavoro dipendente che determina un progressivo impoverimento dei redditi da lavoro dipendente. La soluzione delineata dalla sinistra italiana ed europea è quella di una politica fiscale a favore dei redditi più bassi e del lavoro dipendente in particolare.
Sostanzialmente, per la sinistra, la politica fiscale-tributaria è lo strumento “pubblico” per dare delle risposte all’impoverimento-polarizzazione dei redditi intervenuto nel corso di questi ultimi 15 anni. Senza una diversa distribuzione del reddito sarebbe impossibile uscire dalla crisi. Infatti, la contrazione dei consumi dei redditi più bassi concorre al rallentamento della crescita economica in generale. Quindi lo stato, da intendersi come soggetto pubblico, dovrebbe adottare delle politiche redistributive per rispondere alla crisi. Alcuni si spingono un po’ oltre sostenendo anche la necessità di spese pubbliche per ri-avviare la crescita economica.
In qualche misura la sinistra ri-propone parte della lezione del ‘44 di Einaudi circa la circostanza che un regime di libertà può e deve includere tra i suoi obiettivi la realizzazione della giustizia sociale, cioè dei diritti presi sul serio. Non solo, ma la “sinistra” prefigura una società molto einaudiana. Infatti, per Einaudi, tra l’individuo e lo stato trova posto una fitta trama di corpi economici intermedi, basati sull’azione e la partecipazione volontaria, che qualificano in modo essenziale l’impostazione dell’economia politica e la stessa concezione della democrazia. Ma le lezioni di Einaudi sembrano molto più avanzate “della sinistra”. Infatti, per Einaudi il problema della garanzia e della sicurezza è un problema molto più generale che della sola attività di intrapresa. L’approccio liberalista, non sempre produce cose negative, presuppone una formula molto “cara”, cioè l’eguaglianza dei punti di partenza (Einaudi, 1949).
Ma l’attuale crisi internazionale dovrebbe suggerire una proposta “liberale” cara a Keynes ed Enaudi, riassumibile nella massima che il mercato non può esistere senza altre istituzioni di Einaudi, oppure nella “socializzazione degli investimenti” di Keynes.
Andando oltre la cattiva interpretazione di Keynes di molta sinistra, scavare buche è proprio la peggiore tra le cose dette, si tratta di capire chi e a quale livello si deve costruire l’equilibrio tra mercato e pubblico. Nella distribuzione del reddito?
Non penso che una diversa distribuzione del reddito possa risolvere il problema della crisi, ma dovrebbe essere perseguita per ragioni di giustizia sociale che già Einaudi aveva sollevato. Penso ad un progetto europeo adeguato, capace, anche nel solco liberale e del diritto positivo, di sfidare la società proprio sul terreno delle prospettive di chi deve fare che cosa e in che modo a quel livello. La giustizia sociale è importante, ma la crisi dovrebbe impegnarci a qualcosa di più dell’accettazione del ruolo distributivo dello stato. Accettare questo terreno significa lasciare mano libera al “capitale” di decidere che cosa, come e per chi produrre. Continuo a non capire la rinuncia a questo terreno quando alle spalle ci sono “maestri” di grande spessore, in realtà tutti liberal con poche eccezioni a sinistra.
Il problema rimosso a sinistra è proprio quello della politica economica, piegandosi sulla distribuzione del reddito come se questa fosse la politica economica della sinistra. Neanche Einaudi si era spinto così a destra. Il dramma europeo è proprio quello di non avere una politica economica europea.
Non si tratta di alleggerire i vincoli, che si traducono in multipli d’azione della politica economica degli stati, piuttosto di assegnare un ruolo economico all’UE. La sinistra è così “pressata” dalla distribuzione del reddito che ha perso l’orizzonte socialista dell’azione pubblica come contropotere del mercato. Si tratta di recuperare l’orizzonte della teoria generale di Keynes, cioè i grandi vantaggi di efficienza del capitalismo, ma ritenendolo sempre “intrinsecamente molto criticabile”. Keynes ha sostenuto la necessità dell’intervento pubblico, soprattutto a scopo macroeconomico. Keynes non ha mai condiviso l’impostazione “classista” della politica socialista e la proprietà pubblica dei mezzi di produzione, per non parlare della prospettiva rivoluzionaria.
Senza essere radicali come Keynes, ma assumendone i principi, occorre dare forza macroeconomica all’UE, tentando di delineare almeno l’orizzonte socialista. Più che un’azione dal lato fiscale, capacità contributiva, occorre delineare un’azione liberale di bilancio pubblico europeo adeguato alla sfida che sottende il progetto stesso, senza la quale il mercato non trova nessun soggetto istituzionale adeguato per far funzionare lo stesso “mercato” europeo. Il rischio è quello di “rincorrere” le direttive europee, cioè accettare l’idea degli indirizzi come se questi indirizzi possono essere “la politica economica”.
Una proposta adeguata anche per affrontare la crisi economica, con tratti progettuali e molto attuali se restiamo dentro il solco liberale, è quello di fornire all’UE un bilancio autonomo nelle entrate e nelle spese (5% del pil). Muoversi dentro il solco marginale della fiscalità generale significa, giustappunto, rimanere marginali se non residuali nella società.

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