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Argentina

Argentina, la “nuova” era di Macri

27/11/2015

In Argentina, con la vittoria di Macri, si chiude un’era. Ma le scosse telluriche causate da queste elezioni presidenziali si protrarranno per un lungo tempo e viaggiano ben oltre i confini del paese

In Argentina, con la vittoria di Macri, si chiude un’era. Ma le scosse telluriche causate da queste elezioni presidenziali si protrarranno per un lungo tempo e viaggiano ben oltre i confini del paese. Un paese che il voto fotografa diviso a metà dopo dodici anni di governi peronisti di sinistra. La crisi economica degli ultimi due anni e gli indiscutibili errori commessi hanno spianato la strada al populismo e al liberismo di una destra che ha tante probabilità di infeudarsi e fondare una lunga stagione conservatrice. Una destra liberista. Non liberale, come molti osservatori europei e soprattutto italiani l’hanno definita commentando superficialmente la novità storica del voto di domenica 22 novembre.

Macri vince la sua partita nella popolosa e decisiva provincia di Buenos Aires. Le divisioni e i veti contrapposti dei peronisti in questa parte del paese hanno facilitato la sua impresa. Vince in settori ampi della middle class e conquista il consenso plebiscitario delle aree più ricche mentre i peronisti presidiano ancora saldamente le classi meno agiate. Con questo blocco elettorale di riferimento le politiche economiche e sociali sembrano delinearsi con una certa precisione. Tuttavia hanno una difficoltà di attuazione per i numeri precari di una possibile maggioranza parlamentare. Ogni provvedimento dovrà essere oggetto di una defatigante contrattazione con gli eletti del terzo incomodo, i peronisti antikirchneristi di Sergio Massa. Questo spiega la relativa prudenza del nuovo Presidente, ma non ne muta la chiara direzione di marcia. In campagna elettorale Macri aveva lungamente parlato di una svalutazione del peso, una classica svalutazione competitiva, in grado di favorire le esportazioni di materie prime nelle mani di ricchi proprietari terrieri a lui molto vicini. La svalutazione probabilmente avrà tempi più lunghi di attuazione, dicono i ben informati del mondo finanziario. Ma sarà preceduta, a mo’ di compenso, da un’importante riduzione della tassazione in grado di spingere questi proprietari alla mobilitazione delle merci temporaneamente stoccate in attesa del cambio favorevole. Si cerca così di far affluire valuta americana famelicamente attesa dalla borghesia argentina e garantire comunque, in questo modo, consistenti profitti alla proprietà terriera. E’ il contrario della politica dei Kirchner che proprio dalla riduzione di questi privilegi hanno recuperato le risorse per finanziare lo stato sociale.

Macri si ritrova un’Argentina ben diversa da quella ereditata da Nestor Kirchner dopo il default. Un’Argentina che, pur in difficoltà per la crisi generale che perdurava da un paio d’anni, conosce un alto livello dei consumi ed una bassa disoccupazione. La svalutazione prevista, e comunque annunciata, aumenterà il disagio delle lavoratrici e dei lavoratori perché inciderà significativamente sul potere d’acquisto delle loro retribuzioni. Al contrario la proprietà potrà beneficiare di una minore tassazione. L’autunno (che lì comincia a marzo) si preannuncia caldissimo con uno scontro sociale che avrà al centro il tema del reddito. Le idee di Macri per superare la crisi determinata dalla difficoltà di collocazione delle materie prime per la ridotta capacità d’acquisto del Brasile, per la convalescenza cronica dell’Europa e per la perdita di velocità delle performances della Cina sembrano profilarsi con un crescente grado di approssimazione. D’altronde sono in totale sintonia con le voci che circolano in queste ore sull’identikit dei ministri che formeranno il nuovo governo. Tutti nomi che provengono dal mondo della finanza e dell’impresa privata. Una specie di spoils system che toccherà l’impresa pubblica il cui management sarà sostituito da chi, in questi anni, ha garantito gli interessi dei poteri forti ridimensionati dagli ultimi esecutivi. Si parla, ovviamente, anche di una sostituzione anticipata del governatore della Banca Centrale. La prima mossa dichiarata del vincitore delle elezioni è un accordo con quei fondi che non avevano accettato la mediazione da parte dello Stato argentino nella ristrutturazione del debito, intervenuta dopo il default. Sono quei fondi più comunemente definiti “fondi avvoltoio” con i quali i governi dei Kirchner avevano ingaggiato una dura disputa non solo economica ma persino culturale in difesa dell’autonomia e della dignità del paese. Questa mossa è propedeutica ad un più disteso rapporto se non una vera e propria riconciliazione con il Fondo Monetario Internazionale. Macri si appresta, per avere maggiore liquidità a breve, a chiedere nuovi finanziamenti al FMI determinando così un maggior indebitamento. Ma come oramai è prassi queste risorse hanno un costo sociale altissimo visto che il FMI non si è distinto in questi anni per un’elevata disponibilità alla beneficienza. Le contromisure richieste sono già scritte: il taglio drastico del welfare, che in Argentina significa soprattutto sussidi alle fasce più deboli e gratuità per gli indigenti di servizi sociali essenziali, e una riduzione altrettanto drastica del pubblico impiego. Tutto il mondo è paese. Ma questo paese ha conosciuto ferite sociali drammatiche poco più di un decennio fa la cui memoria labile può dolorosamente riaffiorare alle prime avvisaglie di questi provvedimenti. Esplicita ed apertamente rivendicata la nuova collocazione internazionale che naturalmente si alimenta di interessi economici che scompagineranno l’intero assetto dell’America Latina.

Per un lungo e positivo periodo la geopolitica di questa regione e la sua economia si sono fondate su di un rapporto stringente tra Brasile, Venezuela e Argentina. Questo asse consolidato è stato il perno su cui si è costruito il Mercosur, una esperienza vitale di cooperazione che ha sottratto quest’area del mondo all’egemonia americana ed ha sperimentato modelli sociali alternativi. L’affondo di Macri punta a scardinare questo equilibrio per riportare l’Argentina, attraverso il blocco dell’Alleanza del Pacifico che comprende Messico, Colombia, Perù e Cile, nell’orbita statunitense. Gli Usa sono il primo partner commerciale della Colombia e del Messico ed il secondo del Perù e del Cile. Si formerebbe così un canale naturale per veicolare merci americane in Argentina e di converso permettere alle grandi multinazionali Usa, in collaborazione con i soci europei e con la sponsorizzazione dei fondi avvoltoio, di garantire la lucrosa estrazione del petrolio e del gas naturale presenti nel vasto territorio di questo paese. E’ evidente che il Mercosur è un intralcio per la nuova prospettiva e il primo siluro in previsione della riunione del 21 dicembre in Paraguay Macri l’ha già lanciato: chiede l’estromissione del Venezuela per incompatibilità democratica. E’ l’avvio di un conflitto il cui esito sembra già lucidamente tracciato.

Ma il piano di avvicinamento agli Usa è corroborato da altri tasselli, il più importante dei quali sembra essere la cosiddetta lotta al narcotraffico di cui il nuovo Presidente ha lungamente parlato in campagna elettorale. Vale a dire un piano d’aiuti con cui la Casa Bianca, in Messico, ha costruito una collaborazione militare più protesa a fermare le ondate migratorie e a determinare una sfera di controllo territoriale che a contrastare effettivamente i grandi traffici di droga. Resta il mistero di come queste politiche possano avere un reale successo economico. Non l’hanno avuto quando gli americani erano padroni incontrastati e non subivano la concorrenza di paesi emergenti come sta accadendo attualmente con la Cina, l’India, la Russia. Figurarsi oggi. Il voto argentino destabilizzerà inevitabilmente l’intera area. Le stesse forze progressiste in Brasile sembrano travolte dalla crisi di credibilità, dalla corruzione e dalla crisi economica. L’effetto domino può mettere la parola fine ad un ciclo storico importante anche da un punto di vista democratico. C’è un diffuso spirito di rivincita, di rancori accumulati dopo anni di conquiste civili e democratiche che riemergono senza pudore e che utilizzano tribune autorevoli. Si respira una nauseabonda aria di restaurazione. Il giorno dopo le elezioni uno dei più importanti giornali argentini “La Nacion”, con un editoriale raggelante propone un colpo di spugna per i responsabili che si sono macchiati di crimini orrendi nell’ultima dittatura militare. “Non più vendetta… L’elezione di un nuovo governo è il momento propizio per cancellare le bugie sugli anni ’70… Le ansie di vendetta devono essere sepolte per sempre”. I giovani che sono stati arrestati, torturati ed uccisi dal regime (30.000 desaparecidos) vengono definiti “terroristi che hanno ammazzato con armi e bombe” e paragonati ai jihadisti che hanno ucciso e provocato il terrore a Parigi il 13 novembre. I giornalisti dello stesso quotidiano si sono dissociati. Ma le forze del passato che hanno contribuito decisivamente alla vittoria di Macri ora presentano il conto. Si riaffacciano sulla scena pubblica e pretendono di essere rilegittimati. L’Associazione delle Nonne e delle Madri di Plaza de Mayo sono dileggiate ed oltraggiate. Profeticamente poco prima del voto avevano alzato la guardia affermando che il partito di Macri ha sempre osteggiato le leggi che cercavano di far luce sui fatti e di punire i criminali protagonisti del periodo più buio della storia argentina. Si riapre così un capitolo che si sperava chiuso. Il buco nero del passato getta le sue ombre sul presente ed incupisce il futuro. Per questo sono inspiegabili ogni tipo di superficialità e di sottovalutazione nei commenti a questo voto. Cancellare anche la memoria, dopo i diritti sociali, significa produrre una frattura profonda, una crisi di senso, una rottura di ogni legame di riconoscibilità della società argentina. Senza il dolore collettivo di quella memoria la dimensione falsata ed effimera del tempo presente non potrà mai definirsi democratica.

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