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Colombia, il difficile accordo verso la pace
Dall’inizio di marzo le Forze militari colombiane hanno iniziato a partecipare a Cuba ai lavori per il cessate il fuoco bilaterale con le Farc. Per la prima volta si sta negoziando la fine di una guerra civile
Dall’inizio di marzo cinque alti ufficiali delle Forze Militari Colombiane hanno iniziato a partecipare a Cuba ai lavori della Sotto-Commissione tecnica per il cessate il fuoco bilaterale con le Farc. Formalmente non si siedono al tavolo dei negoziati di pace in corso (si tratta di una commissione parallela), ma si tratta di una svolta fondamentale che allinea l’Esercito (mina vagante della democrazia colombiana) alla volontà di arrivare un accordo per mettere fine al più lungo conflitto interno del continente americano. Segnali positivi sono già emersi attraverso la collaborazione all’accordo per la rimozione delle mine anti-persona.
Per capire la dinamica di questo negoziato è necessario ricordarne la struttura essenziale: si sta discutendo nel mezzo del conflitto, per evitare i precedenti storici disastrosi (che hanno avuto eco in Europa per la vicenda di Ingrid Betancourt) e si sta negoziando su un’agenda di sei punti (riforma agraria, partecipazione politica, coltivi illeciti, riparazione integrale alle vittime, fine del conflitto e refrendación dell’accordo) con una formula un po’ peculiare che recita “nada está acordado hasta que todo esté acordado” (cioè deve esserci una convergenza integrale). Un accordo esiste sui primi tre punti e si sta siglando sul quarto.
L’opinione pubblica, tradizionalmente sfiduciata verso la politica e l’atteggiamento ambivalente delle Farc, ha concesso un’apertura di credito importante al negoziato attraverso la rielezione del Presidente Santos, in un evento elettorale che è stato de facto un referendum sull’accordo di pace. Tuttavia, l’estrema destra dell’ex presidente Uribe continua la sua guerra personale contro la pace e a parere dei principali commentatori politici, per evitare la fine della luna di miele l’accordo deve arrivare entro la fine dell’anno. Non a caso, recentemente lo stesso Uribe ha scritto una lettera pubblica chiedendo l’estensione del negoziato, sapendo che il dilazionarsi degli eventi lo beneficia elettoralmente.
In questo momento le minacce all’accordo sono tre e i contraccolpi geopolitici saranno in ogni caso globali, o direttamente per la questione trattata o indirettamente per via dell’impatto sul narcotraffico.
Per la prima volta nella storia si sta negoziando la fine di una guerra civile sotto lo Statuto di Roma del Tribunale Penale Internazionale, che prevede in caso di crimini contro l’umanità un intervento diretto qualora lo Stato firmatario non agisca. Naturalmente è chiaro a tutte le parti in gioco che le Farc non accetteranno mai di firmare la pace per andare in carcere, soprattutto in un paese dove i precedenti tentativi di accordo hanno aperto le porte allo sterminio degli ex militanti della guerrilla. Quando nel 1984 si firmò l’accordo de la Uribe sotto il Presidente Betancourt, la Unión Patriotica che era il “contenitore” politico per la transizione alla vita civile degli alzati in arma fu massacrata con una sistematicità genocidaria. Per questo motivo si sta decidendo un regime transitorio (justicia transicional) che permetta verità e riparazione ma che eccepisce all’obbligatorietà dell’azione penale (peraltro tecnicamente impossibile su di un conflitto di mezzo secolo). Il presidente Santos è in visita a Madrid dove ha chiesto e ottenuto che la Spagna presenti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU una risoluzione che blindi l’accordo dall’intervento del TPI. Senza questa protezione il tavolo salta, ma se si dovesse ottenere un compromesso accettabile, il precedente che si crea è ovviamente cruciale per la giurisprudenza penale internazionale.
Altro punto tecnico è la chiamata refrendación: formalmente la formula è sufficientemente vaga da permettere sia un referendum che una commissione legislativa che un altro cavillo giuridico. Sostanzialmente, tuttavia, si tratta di un vicolo cieco: Santos ha promesso un referendum che le Farc non vogliono, che rischia di essere un regalo all’estrema destra uribista e che in ogni caso non ha molto senso su di un probabile testo di un centinaio di pagine. Una commissione legislativa d’altra parte modificherebbe l’accordo, o sarebbe una commissione afasica, o prolungherebbe l’accordo in altra sede, risultando impraticabile. L’unica possibilità concreta è che si interpretino le elezioni (e un passaggio in Parlamento) come punto finale dell’accordo, ma la destra griderebbe al colpo di Stato. L’altro caso di consegna delle armi, quello dell’M19 nel 1991, aprì la porta a una Riforma Costituzionale in cui gli ex guerriglieri ottennero conquiste importante sul piano dei diritti sociali, ma al momento non sembrano esserci le condizioni politiche, in un Paese che è soprattutto alle prese di uno scontro tra destra neoliberista e destra radicale.
Infine rimane il punto principale che è quello dell’implementazione. Perché non rimangano lettera morta, la riforma agraria e l’accordo sulle vittime richiedono margini di manovra enormi. La popolazione vittimizzata che dovrebbe essere riparata si avvicina al 14%. Come ricordava un recente rapporto dell’Harvard Kennedy School per il Governo, non si conoscono casi comparabili: i tre conflitti più simili per tipo di politica di riparazione sono Guatemala, Perù e Indonesia, in cui a mala pena si parlava dell’1% della popolazione effettivamente risarcita. Anche ammettendo che si riesca a implementare un concreto esercizio di riforma agraria, con la parcellizzazione dei latifondi e la definizione di piani di economia comunitaria, il Governo sta facendo terra bruciata attorno all’economía campesina. La Colombia si è imbottita di trattati di libero commercio, che hanno drasticamente ridotto la diversificazione produttiva, “disciplinato” le possibilità di deficit fiscale e fatto aumentare paradossalmente le importazioni di beni agricoli, che i Paesi Occidentali sovvenzionano in modo dissennato. L’unica alternativa macroeconomicamente compatibile è quella di un finanziamento esterno, ma la Colombia naviga con un deficit esterno (saldo corrente della bilancia dei pagamenti) ormai da quattordici anni e i segnali di una bolla immobiliare sono eclatanti: dal 2004 il ritmo di crescita dei prezzi delle nuove case è raddoppiato, e viaggia sul 10% annuo. Inoltre senza prospettive economiche stabili ci potrebbe essere una transizione di molti militanti alla delinquenza comune, con un potenziale picco dei tassi di violenza. La smobilitazione dei paramilitari sotto il Governo Uribe è stata un colossale fallimento che ha prodotto la nascita delle nuove Bande Criminali (Bacrim), attualmente la principale minaccia alla sicurezza. Un epilogo che tutti vogliono evitare.
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