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Europa, quando perseverare è ideologico

27/05/2014

Urge che il demos si riprenda il potere, uscendo dall’incubo della biopolitica/tanatopolitica neoliberale. Cercando, fuori dall’ideologia, un’idea virtuosa e umana di Europa

Un po’ di filosofia e di psicanalisi; spunti dalla riflessione di Hannah Arendt sul totalitarismo, ma applicandola al capitalismo; e Michel Foucault. Sono alcuni degli strumenti utili per capire la crisi di questa Europa.

Dal 2008 gli europei vivono un incubo che coniuga ideologia (il neoliberismo), autoritarismo (lo stato d’eccezione, i governi di larghe intese, il non poter votare e decidere), volontà di potenza (il capitalismo totalitario), moralismo religioso (protestante), inquisizione (cattolica), nichilismo (ancora il capitalismo), pulsioni libidiche e aggressive (l’austerità e il pareggio di bilancio). Secondo una colossale menzogna (sempre l’ideologia neoliberista), che ha prodotto (come ogni ideologia) altrettanto colossali meccanismi di falsificazione della verità e della stessa razionalità economica (l’austerità come via virtuosa per la crescita, mentre è una politica pro-ciclica che peggiora la crisi, non correggendone le cause). Il tutto emarginando ogni tentativo di fare parresia. Di dire il vero contro la menzogna.

L’Europa (gli europei): in questo incubo l’hanno portata le sue classi dirigenti (sic!) e le oligarchie economico-finanziarie. Non per un incidente della storia, ma perché la loro azione era ieri ed è ancora oggi finalizzata ad una trasformazione politica in senso antidemocratico e totalitario del potere; ed economica in senso definitivamente neoliberista. Suda, soffre, si impoverisce ma l’Europa subisce in silenzio questa ideologia neoliberista e questo collegato sadismo economico del capitalismo. Capitalismo che prima ha mescolato abilmente il piacere al consumare (secondo il principio sadiano per cui il vizio è superiore alla virtù, e bastava indebitarsi) - producendo il discorso capitalista secondo Lacan; e poi la colpa al debito. Conseguentemente, tutti coloro che non appartengono all’oligarchia del capitale (e i super-ricchi sempre più ricchi) sono stati obbligati a sog-giacere ad un gioco sado-masochistico, tra dominio-sottomissione da un lato e autopunizione dall’altro. Perché si compisse e fosse accettata e condivisa (perché questo doveva accadere) la liquefazione della società voluta con determinazione e consenso crescente (da destra e da sinistra) dal neoliberismo in questi ultimi maledetti trent’anni. Ciascuno dovendo accettare anche le pratiche sadiche dei mercati e della finanza (i delitti gratuiti, progettati a tavolino dagli egoismi del capitale che ovviamente escludono ogni interesse collettivo) - e i governi lasciando fare o facendosi pro-motori essi stessi della perversione - così come le donne del marchese de Sade dovevano subire il piacere dei loro padroni. Un’Europa dove appunto il piacere (sadismo - azione attiva) di chi produce sofferenza (banche, borse, agenzie di rating, governi, troike), si è combinata con la perversione opposta (masochismo – reazione passiva) degli europei che devono provare piacere (infatti non reagiscono) alle sofferenze inflitte loro dal neoliberismo.

Un incubo, il neoliberismo. Eppure questo incubo è ancora saldamente al potere. Perché il neoliberismo (meglio: il capitalismo) è un’ideologia (la più nichilistica ma l’unica che è riuscita a diventare globale, internazionalista). Perché il neoliberismo aveva promesso la libertà dell’individuo e ha invece prodotto (inevitabilmente, date le premesse che negavano ab inizio la promessa), l’assoggettamento di tutti al mercato, la mobilitazione di tutti al lavoro via rete, l’indebitamento come legame proprietario tra debitore e creditore. Dalla soggettivazione promessa all’assoggettamento realizzato.

Per capire cosa sia una ideologia vale la definizione di Hannah Arendt: è «la logica di un’idea». Ma integrandola così: è la logica di un’idea chiusa in se stessa. Perché se è vero che l’idea è ciò che fa guardare avanti, l’ideologia, pur promettendo il futuro chiude nella propria autoreferenzialità che uccide il futuro. La sua materia è la storia, scrive Hannah Arendt. E le ideologie sono «ismi che possono spiegare ogni cosa e ogni avvenimento, facendoli derivare da una singola premessa». Per l’Europa la premessa è appunto il neoliberismo. E sono le Tavole dei numeri (il rapporto pil/debito-deficit pubblico, il pareggio di bilancio), diventate le Tavole della Legge. E ancora: l’ideologia diviene indipendente da ogni esperienza, che non può comunicare nulla di nuovo al potere ideologico, per il quale sbagliata non è l’ideologia – l’austerità europea, i tagli alla spesa pubblica, l’impoverimento e la disoccupazione di massa, la precarizzazione di lavoro e di vita – ma la realtà che con vuole corrispondere, come invece dovrebbe, alla verità ideologica. L’ideologia nega la realtà, insediando sulla realtà «una realtà più vera», che sarebbe nascosta dietro alle cose percepibili; una realtà più vera che si avverte (ma solo pochi eletti la possono avvertire: oggi i tecnici), disponendo di una sorta di «sesto senso». Che «è fornito appunto dall’ideologia, da quel particolare indottrinamento che viene impartito negli istituti appositamente creati per l’educazione di ‘soldati politici’. (…) Una volta giunto al potere, il movimento procede a mutare la realtà secondo i suoi postulati ideologici». Scuole e università hanno così indottrinato generazioni di studenti al capitalismo e al neoliberismo; i mass media hanno amplificato e validato l’ideologia; mentre Fmi e Bce, ma soprattutto borse e agenzie di rating hanno modificato l’immaginario collettivo: alla fine, ecco prodotta l’educazione dei soldati economici (di tutti e di ciascuno). Perché obiettivo del capitalismo – e del suo estremismo neoliberista – non era tanto quello di produrre beni o denaro, ma soggetti-solo-economici e relazioni-solo-di-mercato.

Ideologia. E totalitarismo. Oggi appunto quello del capitalismo (e della rete) globale. Che mira cioè (Foucault parlerebbe di biopolitica e di governamentalità) alla «trasformazione della natura umana che, così com’è, si oppone invece al processo totalitario» (Arendt). Natura che doveva diventare capitalistica, per cui «al di sopra dell’insensatezza della società totalitaria è insediato, come su un trono, il ridicolo supersenso della sua superstizione ideologica». Ovvero (andando oltre Foucault), il potere pastorale del mercato e della rete e i suoi meccanismi di sapere e di potere e di connessione/legame che hanno ormai trasformato ogni individuo in lavoratore o imprenditore o merce, la cultura in bene culturale o in evento, la società in capitale sociale, gli stati in impresa, gli individui in capitale umano, la propaganda in pubblicità, Dio nella mano invisibile - con contorno di controllo capillare per il governo eteronomo (la governamentalità) della vita di tutti e di ciascuno. Meccanismi di produzione di una verità (i foucaultiani meccanismi di veridizione) non vera ma utile (perché fatta credere come vera) al potere. Reiterata inducendo in ciascuno reazioni pavloviane (Arendt) ai segnali (ancora Foucault) che il potere diffonde perché sia obbedito da ciascuno anche senza minacciare e senza obbligare. Il totalitarismo capitalistico non si è negato neppure il potere/diritto di usare il terrore politico (impedendo ai greci un referendum sulle misure di austerità); e di attuare persino laboratori dove sperimentare la sua pretesa di dominio assoluto sull’uomo, procedendo alla sua cancellazione non solo esistenziale ma anche fisica (come in Grecia dove, a causa della malnutrizione e della riduzione dei redditi le morti bianche dei lattanti sono aumentate del 43% tra il 2008 e il 2010 e quello dei nati morti del 20%; dove il 30% dei greci deve ricorrere agli ospedali di strada, mentre i suicidi sono saliti del 45% (Barbara Spinelli, citando la rivista Lancet).

Tutto questo in nome di cosa? Urge allora che il demos si riprenda il potere. Uscendo dall’incubo in cui l’ha ingabbiato la biopolitica/tanatopolitica neoliberale. Cercando, fuori dall’ideologia, un’idea virtuosa e umana di Europa.

Articolo tratto dal numero 35 di www.alfabeta2.it con articoli, tra gli altri, di Karl Heinz Roth e Zissis Papadimitriou, Laura Bazzicalupo, Gino Di Maggio e Mario Pianta

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