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Ex-Sandretto, l'odissea dei lavoratori
A Torino, la lotta degli operai della Romi-Ex Sandretto. I brasiliani che nel 2008 avevano acquisito lo stabilimento vogliono dismettere la produzione, tenendosi il marchio però
Torino d'estate è una città calda, afosa e in questi giorni l'atmosfera è incandescente. La colpa, più che del caldo, è però dell'emergenza lavoro. Non solo per delicatissima questione dello stabilimento Fiat di Mirafiori, ma anche la notizia della “messa in mobilità” di 97 lavoratori su 104 dello stabilimento dell'Abit di Grugliasco e il dramma dei 140 lavoratori della Romi ex-Sandretto. La città che per decenni è stata il simbolo e il cuore pulsante dell'industria italiana che si espandeva nel mondo, oggi è una città in cui il lavoro sembra un fantasma.
L'11 luglio sulla Mole, simbolo indiscusso del capoluogo piemontese, quegli operai hanno srotolato uno striscione di 20 metri per chiedere che Torino non si dimenticasse di loro e per giorni e notti hanno organizzato presidi, assemblee, fino all'occupazione avvenuta alle 4 di mattina del 24 luglio, l'ultimo giorno della cassa integrazione, della sala dell’assessorato al Lavoro della Regione, dove l’assessore Porchietto portava avanti la trattativa con la multinazionale brasiliana Romi. I brasiliani che nel 2008 avevano acquisito la storica azienda torinese al tempo in amministrazione controllata, promettendo grandi investimenti in realtà mai messi in campo. Come la Sandretto anche la Romi in Brasile produce macchine utensili e presse ad iniezione ma la differenza sta tutta nel marchio, nella sua storia, nella sua forza sul mercato europeo, racconta Marco, uno dei lavoratori. Il marchio, la carta d'identità di un'azienda. E proprio lo storico marchio Sandretto è al centro dell'odissea di questi 140 operai. Perchè i proprietari brasiliani, convinti che in Italia il lavoro costi troppo e che con i sindacati e le tutele sociali non si possa fare davvero business, hanno deciso di mandare tutti a casa, tenendosi però il marchio prestigioso. Così, le presse che oggi vengono prodotte negli stabilimenti brasiliani della Romi, dove le condizioni dei lavoratori sono molto precarie, potrebbero essere esportate nel mercato europeo “abbellite” da un marchio conosciuto e importante. Quello della Sandretto, appunto. Ma i lavoratori non ci stanno, anche perchè quel marchio che per i brasiliani è solo certezza di profitto, per loro rappresenta l'unica possibilità di salvezza: ci sono infatti dei possibili acquirenti italiani che vorrebbero rilevare l'azienda ma senza il marchio disponibile le carte in tavola potrebbero cambiare.
La Romi per concedere una proroga della cassa integrazione fino al 13 settembre ha preteso che i lavoratori si accollino i costi del Tfr durante la cassa e tutti gli oneri Inps: i dirigenti sindacali hanno deciso di accettare queste condizioni durissime per cercare di salvare la fabbrica e i posti di lavoro. La speranza è che nelle poche settimane da qui a settembre si riesca a portare a buon fine la estenuante trattativa sulla cessione della Sandretto a una cordata di tre imprenditori piemontesi. Intanto la Regione ha annunciato tramite l'Assessore Porchetto che è decisa a farsi carico del marchio per cinque anni, ma la vicenda non è affatto conclusa.
Il copione di questa storia è simile a quello di tante altre. Sono le storie che parlano di un lavoro per cui non c'è più posto e di uno stato sociale che non ci possiamo più permettere. Le storie che raccontano l'epopea dell'uomo economico, l'egoista razionale che persegue i propri interessi calpestando tutto e tutti.
Eppure c'è stato chi ci ha raccontato un'altra storia sugli uomini e sui loro comportamenti: Marcel Mauss, negli anni Venti del 1900 studiando le comunità aborigene parlava del sistema del dono come mezzo di scambio e come creazione dei legami umani. Mauss però ci ha detto di più: la legislazione europea sullo stato sociale e sulla sicurezza sociale si rifà a questa idea: il lavoratore riceve in cambio della sua opera, della sua fatica, del suo tempo, non soltanto il salario, ma lo Stato e i suoi datori di lavoro gli garantiscono sicurezza contro la disoccupazione, la malattia, la vecchiaia. Per questo è tanto più grave il progressivo smantellamento dello stato sociale europeo: la posta in gioco non è data solamente dai diritti del lavoro, ma dalla conservazione di un sistema di regolamentazione dei legami sociali che ha introiettato alcuni aspetti della morale del dono, e che ha posto un argine alle conseguenze dell'imperversare della sola legge del mercato.
Ora siamo arrivati al momento di scegliere in quale modo vogliamo vivere: se essere schiavi del modello dell'uomo economico o se invece abbiamo un'altra idea sul futuro dell'umanità.
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