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Tronchetti Provera salvato dalle banche
Il pianeta Pirelli si dà un nuovo ordine, con Tronchetti Provera sempre al comando, sempre con i soldi delle grandi banche. Un vecchio vizio del capitalismo italiano
Molti accadimenti recenti ripropongono il tema della crisi della grande impresa nel nostro paese, crisi al cui aggravamento collaborano con allegro entusiasmo imprenditori, governi e banche. Sono di questi giorni il peggioramento delle difficoltà dell’Ilva, con l’ambiguo commissariamento dello stabilimento; il concretizzarsi dello spostamento dei centri decisionali del gruppo Fiat lontano dall’Italia, con la minaccia, in particolare a Torino, della perdita di migliaia di posti di lavoro, mentre le vendite di auto del gruppo in Europa continuano a precipitare; gli annunci negativi sull’andamento dell’Alitalia, con i contratti di solidarietà per molti dipendenti della compagnia. Ma le cronache finanziarie di questi giorni si concentrano soprattutto sulle vicende del gruppo Pirelli, o di quello che ne resta, nonché sulle sorti, strettamente intrecciate ad esso, del signor Marco Tronchetti Provera.
La notizia è il nuovo sistema di governo del pianeta Pirelli, con le nostre due principali banche, Intesa San Paolo e Unicredit che trovano, insieme al fondo di private equity Clessidra – come ai bei tempi di Mediobanca – risorse finanziarie dell’ordine di centinaia di milioni di euro per correre in soccorso del signor Tronchetti Provera, in difficoltà per l’ennesima volta nel mantenere con i suoi soli mezzi il controllo del gruppo Pirelli. Tutto questo mentre il sistema bancario del nostro paese non trova invece le risorse per finanziarie le piccole e medie imprese. Nel 2012 le banche hanno erogato ben 44 miliardi di euro di finanziamenti in meno al sistema delle imprese italiane rispetto all’anno precedente.
In un articolo pubblicato su questo stesso sito nel novembre 2010 (http://old.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Parabola-di-gomma-6776) ripercorrevo la storia del gruppo e la sua progressiva frantumazione sotto la guida apparentemente non molto illuminata di Marco Tronchetti Provera. Nei primi anni novanta, in occasione della scalata andata a male della Continental tedesca, il gruppo, per fare fronte alle difficoltà economiche conseguenti, è costretto tra le altre cose a cedere le sue attività diversificate. Nell’estate del 2001, poi, Tronchetti Provera decide di prendere il controllo di Telecom Italia, insieme ad altri soci. L’avventura, come è noto, finisce molto male e la Pirelli, salvata già allora dall’intervento di Mediobanca, Banca Intesa e Generali, è comunque costretta a vendere, oltre il settore delle fibre ottiche, anche quello dei cavi, che assicuravano la parte maggioritaria del fatturato del gruppo.
Nel frattempo c’era stato l’ingresso, che si è rivelato molto infelice, nel settore immobiliare, di cui restano oggi le attività nel settore della società Prelios, già salvata in passato grazie all’intervento delle solite grandi banche e assicurazioni. La società continua a perdere a rotta di collo e intacca i conti del settore dei pneumatici, che per la verità negli ultimi anni registra invece risultati positivi. Così Tronchetti Provera sta cercando di sbarazzarsene, non senza strascichi finanziari.
Già, molti decenni fa, ai tempi di Leopoldo Pirelli, si poteva registrare il fatto che il gruppo omonimo era controllato dalla famiglia Pirelli attraverso una miriade di società a cascata, ciò che permetteva ad essa, insieme al sostegno finanziario di Mediobanca delle grandi banche e delle imprese che facevano in qualche modo capo alla banca d’affari, di governare una struttura nella quale essa aveva soltanto lo 0,7% del capitale complessivo. Tronchetti Provera ha continuato a gestire le cose secondo le stesse linee di condotta. Nel 2004 viene sottoscritto un patto di sindacato tra i maggiori azionisti di Pirelli, per assicurare gli assetti di potere esistenti nel gruppo. Al patto partecipano la Camfin, una controllata di famiglia, le Generali, la Fondiaria, Edizioni Holding, Mediobanca, Moratti.
Ma ad un certo punto Tronchetti Provera si trova a non disporre più di tutte le risorse finanziarie necessarie per alimentare l’insieme delle scatole cinesi sotto il suo controllo. Così circa quattro anni fa egli firma un accordo con la famiglia genovese dei Malacalza, che disponeva e dispone tuttora di rilevanti liquidità. I rappresentanti della famiglia entrano nella stanza dei bottoni, si mette a punto l’ennesimo patto di sindacato e il gruppo assume l’assetto che ha mantenuto grosso modo sino a qualche giorno fa.
Così sino ad oggi (i dati che seguono sono soggetti a qualche imprecisione) Tronchetti Provera, attraverso la MTP-Sapa, di cui aveva il 71% del capitale (altre quote erano in mano ai figli), possedeva il 54,9% di GPI, mentre una quota minore della stessa, intorno al 31%, era nella mani dei Malacalza; GPI controllava il 42,6% di Camfin (i Malacalza avevano il 12,37% del capitale), che a sua volta deteneva una quota del 26,2% di Pirelli &C. Così si riusciva a controllare un grande gruppo con meno del 2% del capitale totale, ciò che comunque può apparire un progresso rispetto allo 0,7% di qualche decennio prima. E poi la Pirelli &C. controllava il 61% della Pirelli Tyre. Bisognava quindi scendere di cinque livelli societari per arrivare alle attività industriali della gomma.
Il patto con i Malacalza alla lunga non regge e oggi si è arrivati prima ai ferri corti e poi a una separazione consensuale. La GPI viene liquidata e, attraverso una serie di complicati passaggi, viene creata una nuova struttura, Nuove Partecipazioni, che controllerà il 35,5% di Camfin. Alla società parteciperanno, oltre a Tronchetti Provera, anche le famiglie Rovati e Acutis, da sempre alleate di Tronchetti Provera. Si crea parallelamente un’altra società, la Lauro 61, cui la società Nuove Partecipazioni conferirà i suoi titoli Camfin, diventando il socio di maggioranza assoluta; al capitale di tale struttura parteciperanno anche IntesaSanpaolo, Unicredit e il fondo Clessidra. Con i soldi delle banche e di Clessidra verrà lanciata poi un’opa totalitaria sulla stessa Camfin (le notizie sono tratte dall’articolo di W. Galbiati apparso su Repubblica del 6 giugno 2013).
I Malacalza escono da GPI e Camfin venendo liquidati in contanti e acquistano il 7% circa delle azioni Pirelli da Allianz e Fonsai, mentre contemporaneamente, attraverso le varie operazioni di compravendita, registrano una plusvalenza molto rilevante. Tutti contenti quindi. E all’indistruttibile Tronchetti Provera spetterà ancora per quattro anni la guida pressoché esclusiva della Pirelli. Questo almeno sino alla prossima crisi, che non dovrebbe tardare.
La vicenda Pirelli ci riporta indietro di parecchio tempo, ai bei tempi del sistema Mediobanca, con Cuccia come dominus, e delle grandi banche che facevano cordone al sistema, con il relativo corteo di patti di sindacato, scatole cinesi e mantenimento della presa delle grandi famiglie sulle maggiori imprese del paese con i soldi degli italiani. Un quadro che sembrava ormai sostanzialmente sepolto dalle vicende della storia. Ma, come ricordava nei suoi scritti un grande storico morto da tempo, Ruggiero Romano, nel nostro paese “il morto arriva sempre ad afferrare il vivo”.
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