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Ritorno a Firenze. Oltre il muro liberista
Le attuali politiche dell'Europa sono indifendibili, un'altra rotta è obbligatoria. Come passare dalla protesta alla proposta e all'unione su una politica diversa. Vero antidoto all'astensione e al grillismo
Da quando ci siamo trovati, e felicemente, a Firenze il 9 dicembre 2011 al Forum su “La via d’uscita” molto tempo è passato, e pare più lungo per l’infittirsi delle strette dell’“austerità” seguite in Europa dopo la crisi del 2008. La spinta dei movimenti non solo non si è affievolita, al contrario, anche se, come osserva Donatella Della Porta, la loro seconda ondata ha un carattere più nazionale, forse di minor respiro della prima, altermondialista. Ma è importante che sempre più spesso si passi dalla protesta alla proposta, dal generoso ma irrealistico “Non pagheremo la vostra crisi”, che stiamo pagando tutti i giorni, al “come è possibile una politica diversa”.
I poteri forti e le istituzioni sembrano i soli a non sentire questa voce, quando non tentano di azzittirla come in Grecia e in Spagna; e continuano a seguire la strada liberista, accumulando il peso della crisi sulle spalle dei paesi meno ricchi e delle classi subalterne. È una strada crudele e senza sbocco, come si sgolano a ripetere non dei marxisti di ferro, ma studiosi come Krugman e Stiglitz, cui si aggiunge qualche voce anche nostra, come Luciano Gallino o Guido Rossi. Il Portogallo, la Spagna, l’Italia e, più drammaticamente, la Grecia sono entrati o stanno entrando in recessione, la crescita non decolla, mentre aumenta (da noi di quattro punti) il debito per pagare il debito, senza che si veda un lumicino di ripresa, checché ne dica Mario Monti.
In Francia gli attacchi al governo Hollande e ai suoi modesti ritocchi, fatti o annunciati, alla fiscalità dei più abbienti hanno sollevato una inedita gazzarra della destra e di tutte le tv e dei grandi giornali, che impressiona anche l’opinione comune (“se il governo li tassa, si capisce che vadano fuori dal nostro paese”, sento sussurrare da poveri e povere diavole al mercato). Sempre in Francia chiude o delocalizza un’impresa alla settimana, la previsione di crescita è stata ridotta dallo 0,8 allo 0,2, grandinano i tagli sui servizi pubblici (escluse educazione e sanità), i disoccupati hanno superato i tre milioni, cioè il 10 per cento delle forze di lavoro, e non cessano di salire.
In Europa i disoccupati sono quasi 26 milioni, senza contare – vero e proprio imbroglio – i milioni di precari, ”occupati” per i pochi giorni al mese o all’anno (Gallino, Fumagalli). Se la Bce è riuscita a bloccare gli eccessi della speculazione finanziaria sui paesi indebitati, le condizioni che vengono loro fatte diventano estreme, e il tentativo è di sottoporne ogni spesa a un controllo ed eventuale veto del vertice dei più forti. Le resistenze dei paesi del virtuoso nord nei confronti del sud “cicala” dimostrano quanto sia esile la solidarietà continentale; appena l’euro sembra in salvo non si nasconde l’intenzione di arrivare a un’Europa a due velocità.
Almeno fosse una terapia crudele ma efficace. Non lo è. Non risana i bilanci e spinge alla disperazione il novanta per cento delle popolazioni, sulla schiena delle quali sgavazzano il dieci per cento dei più ricchi e, in essi, soprattutto l’uno per cento più ricco (per cui solo la produzione di lusso è sicura di fare guadagni esponenziali), con il risultato che dovunque si sta riformando un’estrema destra che non se la prende con i padroni, ma con l’Europa e i suoi meccanismi, lasciando quel che era il grande bacino della sinistra per modelli di stampo fascista, che parevano estinti per sempre con la seconda guerra mondiale. Quel che era una volta l’ovvio e magari rozzo risentimento contro i ricchi sta facilmente diventando massa di manovra dei più forti. Le pavide sinistre sembrano aver dimenticato la lezione del 1900.
La domanda che al nuovo incontro di Firenze10+10 – si apre l’8 novembre – non potremo non farci è perche il ragionamento, lo spessore e le mobilitazioni dei movimenti non riescano a produrre una breccia nella muraglia, feroce e inconcludente, del liberismo dei governi e dell’opinione di maggioranza che li vota. Su quale disillusione e scombussolamento e sfiducia essi possono contare? Un siciliano su due, domenica scorsa, non ha votato, cosa mai avvenuta. Fra la nostra mobilitazione solidale e fattiva e le istituzioni si apre lo spazio del grillismo e dell’astensione, lacerando un altro lembo della nostra malmenata democrazia. Abbiamo davanti urgenze precipitose e poco tempo.
Mi pare evidente che dobbiamo rafforzare l’unità fra quanti, molti, si muovono nella nostra direzione. Dobbiamo ragionevolmente spingere i sindacati, che continuano a essere divisi, in ogni paese e nello stesso continente, anche quando hanno di fronte lo stesso padrone, esponendosi così ciascuno indifeso al proprio Marchionne locale. Dobbiamo obbligare al confronto sui fatti le sinistre storiche disorientate, quando non saltate sull’altra sponda, e le loro basi: esse sono trascinate ormai a ingoiare un rospo dopo l’altro e infatti la loro influenza, già grande, si erode a vista d’occhio. È vero che uno tsunami culturale e morale si è verificato dagli anni ottanta ad oggi, ed è stupido attribuirlo genericamente a un “cambiare dei tempi”. Il capitalismo ha vinto, inutile girarci attorno. E sta a noi mostrane le molteplici crepe, oltre che l’inumanità. L’evidenza delle ragioni ecologiche dovrebbe essere non già oggetto di diatribe, ma un grande moltiplicatore della tradizione più pulita della sinistra.
Per quanto riguarda Sbilanciamoci e i suoi molti collaboratori, le previsioni espresse nella “Rotta d’Europa” si stanno verificando tutte. Ammesso che anche la nostra insistenza sia stata utile a ottenere la modesta tassazione sulle transazioni finanziarie – non un gran che – è su questa strada che dobbiamo procedere, ragionanti ostinati. Il peso della finanza continua ad essere spropositato, fonte perpetua di degenerazione. La disinvoltura con la quale l’Europa accetta che si venga a razziarle il know how in casa, e si riparta dopo pochi anni lasciando intere regioni deserto con migliaia di lavoratori a terra – come è l’ultimo caso della siderurgia francese di cui si sta liberando Mittal – è stata quanto meno prova di adorazione ingenua del mercato, che teme un solo demonio, l’abominevole protezionismo. Lo stesso si può dire per ogni controllo sul movimento dei capitali, nonché per l’evasione: alla minaccia “se aumentate le tasse me ne vado”, gli Stati Uniti, pur avvezzi a far di tutto per le imprese, replicano seccamente: se te vai sotto il profilo fiscale, perdi la cittadinanza. E cosi via.
C’è dunque non poco da aggiustare, e soprattutto una via per la crescita da aprire. Una crescita seria, ecocompatibile, capace di liberarsi dallo spreco in cui siamo immersi. Non ci sono soldi, perche siamo soffocati dal debito? Ebbene i paesi dell’Europa del sud, cercando di coinvolgere la Francia in difficoltà, si accordino per rinegoziare assieme e fermamente i tempi del rimborso, cessando di stringere il cappio al collo a Grecia e Spagna. Che può succedere? Che la Germania ci fa la guerra? Non credo. È più la nostra codardia a fermarci che la minaccia della signora Merkel, che ha i guai suoi e fra meno d’un anno una scadenza forse fatale. Le attuali politiche dell’Europa sono indifendibili, il liberismo non riesce a tirarsi fuori dalla palude in cui si è messo.
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