Home / Newsletter / Newsletter n.195 - 20 settembre 2012 / Se parliamo del mercato come se fosse Dio

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Se parliamo del mercato come se fosse Dio

18/09/2012

Le categorie dell'economia del libero mercato sono entrate nella nostra lingua, nel nostro modo di pensare e, secondo Erich Fromm, perfino nel nostro subconscio

Liberarsi da questo condizionamento richiede una vera e propria rivoluzione culturale.
Alla «Contro Cernobbio» di Sbilanciamoci Angelo Marano ha chiamato in causa il paradosso fondamentale della nostra epoca: lo sviluppo tecnologico rende possibile, anzi necessario lavorare meno, aumentare il tempo libero. Invece nella realtà rovesciata del capitalismo chi lavora lavora di più, e gli altri rimangono disoccupati o precari, anche loro spesso con orari pesantissimi (di questo ha parlato Andrea Fumagalli).
È lo spreco di una generazione di giovani, che poi vengono incolpati di questo spreco. È saltato ogni tipo di razionalità.
È necessario rifiutare questo lavaggio del cervello, liberare la mente e sciogliere l'enigma ponendo alcune questioni:
1) Chi decide che cosa e come produciamo? Il mercato. Facciamo l'esperimento di sostituire alla parola mercato la parola Dio. Funziona sempre. Si vede che questa risposta viene da un sistema teologico ferreo, fondamentalista (che non ha nulla di liberale).
2) La logica umana vuole che si produca quello di cui abbiamo bisogno. Chi decide quali bisogni siano da soddisfare e quali no? Il mercato. Il mercato rende visibile la domanda dei bisognosi trasformati in consumatori attraverso la domanda effettiva, quella munita di denaro. Questo vuol dire che tutti i bisogni che non si presentano con il denaro in mano rimangono invisibili. La scomparsa della persona umana, (ne ha parlato Gianni Tognoni) è frutto di questo meccanismo.
Per essere «viste», le persone devono presentarsi in modo non economico, cioè politico, ma la politica, accettando i vincoli economici, non li ascolta. Il serpente si morde la coda. La politica non solo abdica (come ha spiegato Luigi Ferrajoli), ma ci prende in giro adducendo una volta i vincoli economici (il caso delle scuole), una volta quelli politici (il caso delle armi).
3) Occorre una rivoluzione mentale: riflettere, studiare come i bisogni si formino e possano articolarsi, e come possano essere soddisfatti con o senza la produzione di merci. C'è una differenza di fondo tra un bisogno soddisfatto attraverso merci e uno soddisfatto attraverso valori d'uso.
4) La merce è un problema da affrontare, pieno di «capricci teologici». Per gli economisti accademici questo non costituisce un problema, ma così si nascondono questioni chiave. Ad esempio, oggi la crisi del lavoro è una crisi del lavoro-merce. Vedendo il lavoro solo come lavoro-merce, sparisce il lavoro-attività e il primo bisogno umano. Il bisogno di lavoro viene ridotto ed appiattito alle categorie di mercato.
Inoltre, se non teniamo conto della natura delle merci, nascondiamo la violenza insita nel mercato e, in generale, il potere delle merci, una violenza che si presenta come libertà (si dovrebbe scrivere la storia delle resistenze popolari al mercato libero, le sue vittorie e le sue sconfitte a partire dal '700).
Per un secolo queste distinzioni, anche all'interno del movimento operaio, apparivano marginali, puramente filosofiche. Oggi sono invece fondamentali e vanno sperimentate nella vita quotidiana.

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