Home / Newsletter / Newsletter n.120 - 20 maggio 2011 / A chi servono le bugie sulla crisi

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A chi servono le bugie sulla crisi

19/05/2011

È in libreria "La comoda menzogna", Il dibattito sulla crisi globale, di Giovanni La Torre (prefazione di Salvatore Bragantini). Pubblichiamo qui l'introduzione

"Si è perfino riscritto la storia"

Nel maggio del 2009 è stato divulgato un documento redatto da un gruppo di economisti di tutto il mondo, con il coordinamento del premio Nobel 2001 Joseph Stiglitz e dell’economista francese Jean Paul Fitoussi, cioè due stelle della massima grandezza nel panorama della scienza economica mondiale. In detto documento vengono indicate le cause della crisi che stiamo vivendo e i suggerimenti per superarla. Il gruppo di lavoro, autonominatosi Shadow GN, con riferimento ai vari G… che caratterizzano i rapporti fra le varie potenze del pianeta, è nato dalla collaborazione della Libera Università degli Studi Sociali (LUISS) di Roma, dove lo stesso Fitoussi insegna, e la Columbia University, dove insegna Stiglitz. Del contenuto di questo documento ci occuperemo a tempo debito. Quello che vogliamo mettere subito in evidenza è che di esso non si è curato adeguatamente nessuno degli economisti «ufficiali» italiani né tanto meno se ne è trovata adeguata presenza nelle pagine economiche dei giornali nazionali, e ciò nonostante portasse la firma di due autorevolissimi economisti di fama mondiale, di cui uno addirittura premio Nobel.

Non vogliamo minimamente sostenere che quel documento dovesse essere considerato il vangelo definitivo sulla crisi attuale a cui tutti devono prestare fede, non è questo che ci saremmo aspettati. Sappiamo benissimo che l’economia, come tutte le scienze che hanno a che fare con il comportamento umano, sia individuale che collettivo, registra solo raramente unità di valutazione. Sappiamo benissimo che l’analisi che ogni economista fa di una data situazione contiene sempre un minimo irriducibile che ha a che fare con la propria visione del mondo. Sappiamo benissimo che ancora oggi nel pensiero economico in generale vi sono sostenitori e avversari di singole tesi, se non addirittura dell’intero pensiero, di economisti del calibro di Smith, Ricardo, Marx, Keynes, ecc.; figuriamoci quindi se si può non condividere un documento redatto da economisti che non hanno ancora passato il vaglio della Storia del Pensiero Economico. Il punto non è questo. Il punto vero è che quel documento meritava almeno di far capolino nel dibattito sulla crisi, visto lo standing dei redattori, anche se per essere confutato; invece niente, o quasi, di tutto questo è accaduto. Inspiegabilmente sia gli economisti che i giornalisti economici, salvo casi sporadici confinati ai margini del carosello mediatico, lo hanno semplicemente snobbato; i primi forse perché timorosi che qualcuno dal di fuori potesse insidiare il proprio ruolo in Italia di dispensatori di analisi e consigli in campo economico, i secondi troppo dipendenti dagli economisti domestici, in particolare da quelli con maggiore esposizione mediatica. Entrambi terrorizzati forse dal fatto che l’introdurre anche nel dibattito italiano la tesi sostenuta in quel documento rischiava di mandare all’aria tutte le favole che avevano raccontato sulla crisi. Infatti le conclusioni cui sono giunti gli economisti del Shadow GN non combaciano affatto con la tesi prevalente in Italia, e se mai rimandano alla diagnosi preventiva fatta dal maggiore economista italiano del secondo Novecento, Paolo Sylos Labini (1920-2005), che l’attuale crisi l’aveva prevista sin dal 2003 (alla faccia di chi sostiene che la crisi non l’aveva prevista nessuno) portando a sostegno della previsione proprio le considerazioni ora svolte, a posteriori, da Sti­glitz e Fitoussi, o rimanda a quello che sostengono alcuni altri economisti con minore esposizione mediatica1.

Dicevamo che quel documento colpisce al cuore la tesi predominante sulle cause di questa crisi, tesi che attribuisce tutta la colpa alla «finanza cattiva» la quale, complice l’insipienza dei regolatori, ha trascinato nel suo fallimento anche l’economia reale abitata dalle «imprese buone» che avrebbero subìto le nefaste conseguenze. Di questa tesi ci occuperemo subito nel prossimo capitolo essendo, come dicevamo, quella prevalente.

La maggior parte dei commentatori è talmente convinta di questa «verità», di attribuire cioè tutta la colpa alla finanza cattiva che, considerata la tendenza a confrontarla con quella del ’29 (la più spaventosa crisi del capitalismo), per cercare analogie e differenze ne ha forzato anche l’interpretazione, arrivando a riscrivere la Storia pur di trovare conferma alle proprie tesi. Anche per quell’evento sono stati evidenziati gli eccessi finanziari e speculativi, sottacendo quanto risulta ormai assodato, non solo dalla prevalente analisi economica ma dalla stessa analisi storica tout court, e cioè che quella è stata un «crisi di sovrapproduzione». Ma simili parole, evidentemente, non si possono e devono ripetere nell’attuale contesto storico perché il concetto di sovrapproduzione rimanda a quello di scarsità di capacità di acquisto e questa a sua volta ai problemi nella distribuzione del reddito. Tutti argomenti sui quali vige ancora una certa cautela nel pronunciarli visto che, nonostante l’elezione di Obama e lo stesso scoppio della crisi, l’atmosfera culturale e politica imperante è ancora quella del liberismo puro inaugurato dalla svolta reaganiana-thatcheriana a cavallo degli anni ’70 e ’80 del Novecento. A questa ideologia neo-liberista sembra si faccia ancora molta fatica a opporsi, soprattutto in Italia, anche da parte di correnti di pensiero da cui sarebbe lecito aspettarsi l’affrancamento. E allora è consentito al massimo dire che quei problemi di distribuzione ci sono oggi come effetto della crisi, ma mai insinuare che possano essere stati la causa della crisi. Come detto, torneremo ampiamente sulla questione, pertanto è inutile anticipare troppo l’argomento.

In questo libro cercheremo di fare la sintesi del dibattito sulla crisi globale intercorso in Italia fra i vari economisti e commentatori, ivi compresi quelli che non sono italiani di nascita, ma abbastanza italiani di adozione come nel caso di Fitoussi e dello stesso Stiglitz, vista la loro frequente presenza non solo nelle università italiane ma anche sulla stampa italiana.

G. La Torre, La comoda menzogna, ed. Dedalo, 2011