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L'indice della bontà. Una mappa filantropica
Charity Aid Foundation ha elaborato il "World giving index". Ne viene fuori che non sono i paesi più ricchi quelli che donano di più
Di beneficenza si parla fin troppo nei media italiani e internazionali, trattando, ad esempio, le donazioni di ricchi magnati e di squali della finanza, quasi sempre guidati da un controverso ed ipocrita capitalismo compassionevole. Eppure, tralasciando quest’aspetto, di studi inerenti ad un indice di beneficenza non ve ne sono molti, e quelli che sono stati effettuati sino ad ora si basano sulla correlazione tra ricchezza pro capite di un paese e ammontare di denaro destinato alla beneficenza. Di recente, però, è stato pubblicato uno studio condotto dalla Charity Aid Foundation (CAF) – un ente no profit britannico – che ha delineato un nuovo approccio allo studio della propensione dei soggetti all’ attività filantropica.
Comunemente si ritiene che i paesi ad essere maggiormente impegnati in tal senso siano quelli più ricchi, ovvero quei paesi che presentano un reddito pro-capite più elevato. In realtà i risultati che emergono da questo studio dimostrano una realtà dei fatti alquanto diversa.
Il CAF ha sviluppato un indice di beneficenza denominato “World Giving Index”, il quale non tiene conto soltanto degli aspetti monetari del fenomeno, ma anche di altri fattori tutt’altro che trascurabili.
L’indice è definito come media aritmetica semplice - non ponderata - composto da tre indicatori: il primo indica la percentuale di popolazione che ha destinato denaro in beneficenza, il secondo la percentuale di persone che si è dedicata al volontariato, e infine il terzo che indica la percentuale di persone che hanno aiutato almeno uno straniero nell’ ultimo mese trascorso. In definitiva, dunque, l’indice definisce la percentuale di popolazione coinvolta nella beneficenza.
In cima alla classifica troviamo l’Australia e la Nuova Zelanda, seguite da Canada e Irlanda. Gli Stati Uniti si classificano al quinto posto, mentre l’Italia si piazza al 29esimo posto con uno score del 41%. Eppure i risultati più interessanti riguardano i paesi asiatici e africani. Hong Kong, ad esempio, vanta un 70% di popolazione impegnata in aiuti prettamente monetari; Liberia e Sierra Leone figurano al top della classifica per quanto riguarda gli aiuti agli stranieri. La Cina, invece, in aperta controtendenza con la sua crescita galoppante, la ritroviamo soltanto al 147esimo posto con un pessimo tasso di partecipazione del 14%.
A questo punto possiamo rilevare le macroregioni con i trend più elevati: l’Oceania e il Nord America, seguite dall’ Europa centro-settentrionale e da alcune regioni nordafricane e del continente asiatico. Da notare, infine, le pessime performance dei paesi dell’ Est-Europa e l’ ottimo 53% dello Sri Lanka, un paese comunemente ritenuto povero.
Un’altra parte caratterizzante dello studio si è focalizzata su comparazioni di genere e inter-generazionali. Nello specifico si sono volute quantificare eventuali preferenze, o meglio, propensioni all’attività filantropica. Quelli che ne sono emersi sono dei risultati a dir poco stupefacenti: ad esempio è stata rilevata una maggiore propensione alla filantropia degli anziani rispetto ai giovani e una maggiore propensione delle donne ad effettuare contributi monetari rispetto agli uomini, anche se gli uomini sono risultati più “virtuosi” delle donne nell’ ambito del volontariato vero e proprio. Specialmente in quest’ultima rilevazione il senso comune è stato completamente spiazzato: generalmente, infatti, si ritiene che siano le donne ad occuparsi del volontariato vero e proprio, e semmai gli uomini semplicemente relegati a contributi di natura pecuniaria, o poco più. Questo luogo comune risulta tanto più forte quando ci si riferisce a società tipicamente familistiche come quella italiana, dove alla donne viene deputato il ruolo di badare ai componenti più anziani o più deboli della propria famiglia.
Un importante risultato raggiunto dall’analisi, infine, mostra come vi sia una maggiore correlazione tra il tasso di felicità della popolazione e il contributo monetario rispetto alla correlazione tra ricchezza nazionale e relativo contributo in denaro. Da questo risultato sembra emergere, dunque, una caratterizzazione molto più emotiva del fenomeno rispetto ad una definizione prettamente legata alla ricchezza dei vari paesi. Possiamo concludere, dunque, che i paesi più felici fanno più beneficenza rispetto ai paesi più ricchi.
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