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Moneta e Credito

Nostra signora instabilità

08/10/2010

Stralci da un saggio su "Kindleberger e l'instabilità", pubblicato su Moneta e Credito, vol. 63 n. 251, Settembre 2010

Le crisi più profonde, lunghe, estese sono state quattro: negli anni Trenta e Settanta dell’Ottocento, nel 1929-33 e l’ultima, in corso. Tra il 1839 e il 1842 il Pil inglese cedette del 7 per cento. Il Pil dell’Europa occidentale diminuì dell’1,5 per cento nel 1876 e, di nuovo, dell’1,9 per cento nel 1879.

Nei primi anni Trenta il prodotto mondiale crollò del 17 per cento, con punte del 30 negli Stati Uniti e in Canada, del 15 in Germania e Francia, del 14 in Argentina. Nel 2009 la flessione del prodotto è stata dello 0,6 per cento nel mondo, del 4 nell’Europa dell’euro, del 2,4 negli Stati Uniti, del 6,5 in Messico, del 7,9 in Russia. Fra i paesi industrializzati si stima che rispetto al Pil (di un anno rappresentativo) le perdite delle banche siano state pari all’1 per cento negli Stati Uniti negli anni Settanta dell’Ottocento (3 per cento in Italia); allo 0,5 per cento negli Stati Uniti, all’1 nel Regno Unito, al 6 in Italia nel 1889-93; al 2 per cento in Germania, 2,5 in Francia, 6 negli Stati Uniti, 8 in Italia, 9 in Austria, in anni vari nel periodo tra le due guerre, segnato dalla contrazione “del 1929”; al 7 per cento (2,3 trilioni di dollari Usa) nell’insieme delle economie dette avanzate nel 2007-2010.

In molti dei paesi coinvolti i corsi azionari in questi frangenti arrivarono a perdere metà del loro valor medio in termini reali.

Come questa raffica di cifre conferma, crisi finanziaria e crisi “reale” hanno nei casi più gravi interagito. Per più vie si sono rilanciate, vicendevolmente, in una spirale distruttiva di reddito e di ricchezza: “Le crisi finanziarie si associano ai picchi del ciclo economico”. La contrazione della domanda aggregata e delle vendite determina profitti negativi, assottigliarsi dei flussi di cassa, dissesti delle imprese non finanziarie che incontrano le maggiori difficoltà nel fronteggiare l’onere del servizio del debito. I loro creditori – banche e non-banche – a propria volta sperimentano incagli e sofferenze sui prestiti concessi, illiquidità, minusvalenze su titoli, perdite di conto economico, insolvenza. Il circolo vizioso si aggrava allorché la deflazione inattesa dei prezzi dei beni innalza i tassi reali d’interesse e l’aumento del costo del capitale per le imprese viene inasprito dalla caduta dei corsi azionari. La diminuzione nello stock di ricchezza contribuisce a ridurre i consumi delle famiglie e anche per questa via gli investimenti, frenati dal restringersi della finanza esterna, dal più alto prezzo del danaro, dal diffondersi del pessimismo.

Dopo Keynes, le teorie del ciclo si sono imperniate sulle fluttuazioni della domanda globale. Kindleberger poteva dare quasi per scontata la dimensione più fondamentale, non finanziaria, della instabilità del capitalismo. Poteva altresì dare per scontati i principali canali della interazione perversa fra domanda globale e crisi finanziaria per appuntare su quest’ultima la sua analisi teorica e storica. Poteva, in particolare, concentrare l’indagine sulle “follie” della finanza, ricollegandosi anche ai filoni dell’analisi del ciclo pre-keynesiani.

(…)

La struttura tipica delle crisi è invariante, secondo la sequenza:

1. Nuove opportunità di profitto (“spiazzamento”) alimentano un boom di investimenti diretti a coglierle. L’oggetto della speculazione può essere il più diverso: prodotti primari o manufatti o servizi; titoli, nazionali o esteri; valute; contratti derivati; terreni, immobili, centri commerciali.

2. Alimentazione degli investimenti anche con crescente ricorso a una o più fonti di finanza esterna: credito personale e commerciale, emissione di titoli, espansione degli attivi di banche e altri intermediari, sostenuta o meno dalla base monetaria creata dalle banche centrali (moneta endogena).

3. Quotazioni dell’oggetto della speculazione in aumento, sull’onda di una euforia rialzista che coinvolge una platea via via più ampia di investitori.

4. Euforia, ovvero overtrading smithiano, che si trasforma in “mania” irrazionale, in una “bolla” che scoppierà.

5. Stadio – imprecisabile ex ante – raggiunto il quale alcuni investitori e speculatori, paghi del lucro realizzato, cominciano a vendere. I prezzi cessano di salire per poi flettere.

6. Emersione di perdite. Altri investitori e speculatori seguono i primi nel vendere. La corsa al rimborso delle passività inaugura una caccia alla liquidità che implica svendite frenetiche, sino al “panico”.

7. La contrazione reale e finanziaria si configura, da ultimo, come un vero e proprio crash.

Se la struttura delle crisi è invariante, ogni crisi è unica nelle sue specifiche forme fenomeniche. “Quanto più qualcosa cambia, tanto più resta la medesima. I dettagli si moltiplicano, la struttura si conferma”. Ciascuna crisi è quindi, necessariamente, oggetto di indagine storica, da estendere alle variabili metaeconomiche – istituzionali, politiche, culturali – che ne hanno plasmato le forme.

(...)

I brani qui pubblicati sono tratti, dietro autorizzazione dell'autore e della rivista, dal saggio di Pierluigi Ciocca “Kindleberger e l'instabilità”. L'articolo nella sua versione integrale è su Moneta e Credito, n. 63/2010.

http://www.monetaecredito.info

http://www.pslquarterlyreview.info

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