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Emilia Romagna, strategie in verde
Punti di forza e debolezza di un sistema industriale di successo ma sbilanciato. Che, per uscire dalla crisi, deve trovare un altro pilastro, sul "lato verde" dell'economia
1. I fatti: la performance del sistema produttivo dell’Emilia-Romagna nel medio periodo
Le caratteristiche distintive dei processi innovativi osservati negli ultimi vent’anni nei paesi industrializzati sono almeno tre: il ruolo prevalente della conoscenza incorporata in capitale materiale ed immateriale, l’associarsi dei cambiamenti organizzativi ai cambiamenti tecnologici incorporati in beni strumentali; la pervasività in contesti locali e globali del fenomeno innovativo declinato in termini tecno-organizzativi. Il nostro paese, anche in contesti regionali storicamente virtuosi, si confronta con difficoltà con i processi di cui sopra.
Negli anni recenti due tesi si sono confrontate circa le performance del sistema produttivo italiano. Da un lato la tesi del “declino” che enfatizza la perdita di competitività del sistema italiano attestato dai bassi tassi di crescita di medio periodo del reddito e dalla stagnazione della produttività, sia assoluta che relativa se rapportata ai maggiori paesi industriali con cui il nostro paese si confronta. Dall’altro, è stata contrapposta la tesi della “trasformazione” che evidenzia invece significativi cambiamenti di struttura e di comportamento delle imprese italiane negli ultimi dieci anni, cambiamenti che spiegherebbero il relativo successo del “made in Italy” sui mercati internazionali, attestato anche dalle buone performance delle esportazioni italiane in una fase lunga di euro forte.
La trasposizione di tali tesi al sistema produttivo della regione Emilia-Romagna ci ha portato ad individuare alla base della performance del sistema produttivo regionale due sentieri che appaiono abbastanza divergenti: da un lato i settori industriali che, trainati dalla componente estera della domanda, fanno registrare una crescita del valore aggiunto a tassi ben più elevati della media nazionale, con guadagni significativi anche in termini di occupazione; dall’altro, i settori del terziario che frenano la crescita con dinamiche della produttività spesso negative, compensate da una forte intensità occupazionale della crescita del valore aggiunto. Ne risulta ciò che definiamo una “crescita sbilanciata” a livello regionale negli ultimi anni.
2. Innovazione e performance
La competitività del sistema industriale dell’Emilia-Romagna, letta con la lente dell’indagine effettuata dal team di ricerca dell’Università di Ferrara sulle imprese manifatturiere con almeno 50 addetti, sembra reggersi su due pilastri fondamentali, le politiche strategiche sul terreno dell’organizzazione della produzione, e le politiche strategiche sul terreno dello sviluppo tecnologico. Questi emergono come due fattori di competitività (drivers) cruciali alla base delle dinamiche di produttività e di redditività delle imprese. Esse sono accompagnate da altri fattori strategici a livello di impresa, quali la diffusione di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), le politiche di formazione, le strategie di innovazione ambientale e quelle di internazionalizzazione, che sviluppano sinergie e complementarietà robuste, ed al contempo trovano radicamento in un tessuto produttivo, sociale ed istituzionale e si coniugano con il capitale sociale della regione.
Le diverse strategie innovative affiancano punti di forza e di debolezza, come l’evidenza empirica ci racconta, ed al contempo si riconosce forte il ruolo delle complementarietà tra le strategie innovative. I legami tra strategie innovative adottate dalle imprese risultano fondamentali per determinare e consolidare vantaggi competitivi.
L’input per il management d’impresa risulta chiaro, così come quello per i policy maker, locali e non: da una parte, il consolidamento di vantaggi competitivi che si traducono in maggiore produttività e redditività passa attraverso una strategia innovativa che riconosca e sfrutti l’esistenza di complementarietà e sinergie tra le diverse attività innovative; dall’altra, politiche di incentivazione all’innovazione, anche attraverso strumenti di public procurement, dovrebbero tenere in considerazione i legami sinergici esistenti tra le diverse sfere di innovazione. Sotto questo profilo, dunque, l’azione integrata di politiche pubbliche e delle associazioni di interesse può rivelarsi fondamentale per colmare gap di competitività che possono emergere dall’adozione di strategie innovative poco integrate che trascurino il “capitale” organizzativo.
3. Politiche economiche e strategie per il futuro
Nell’attuale congiuntura, una “uscita” contrassegnata da una debole crescita economica ed occupazionale rischia di essere strutturalmente fragile, difficilmente sostenibile. A conclusione di questa prima fase di lavoro, rimangono alcuni quesiti aperti ed altri se ne sono aggiunti.
Innanzitutto, è necessario affrontare la ‘crescita sbilanciata’, in particolare l’andamento della produttività del lavoro nel settore dei servizi, nettamente in calo rispetto all’andamento italiano e rispetto alle altre regioni del nord del paese, e associato a basse retribuzioni e ricorso a lavori atipici, e trovare forme superiori di integrazione con il secondario.
Dati i primi risultati emersi dalla ricerca, - che mostrano che le imprese impegnate su più fronti innovativi contemporaneamente, cioè imprese che hanno scelto di seguire strategie innovative in varie direzioni, conseguono un output innovativo e risultati economici più soddisfacenti – sarebbe opportuno influire sulle scelte strategiche di imprese ancora timide sul fronte innovativo, e indurle ad accrescere e capitalizzare sulle complementarietà nelle strategie innovative. E accompagnare le imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni in un percorso che abbracci una strategia innovativa dispiegata in varie direzioni, ad esempio attraverso politiche di aggregazione nella ricerca, intensificazione e ampliamento geo-settoriale del networking.
Oltre ai due principali pilastri già consolidati - organizzazione e tecnologia - e da preservare, le opportunità da cogliere sul “lato verde” dell’economia non sono poche. Allo stato attuale le caratteristiche deflattive del ciclo, la necessità di abbattere le tasse sul lavoro e sulle imprese, il sostegno alla ricerca, sono punti a favore di una riforma fiscale basata sulle tasse ambientali. Aree di (nuova o riqualificata) specializzazione per il contesto italiano, da coniugarsi intrinsecamente con un livello di politica pubblica fortemente orientato su innovazione-ricerca-conoscenza-ambiente, possono essere, in primo luogo: efficienza energetica (nell’edilizia, nuovi o vecchi immobili), rinnovabili, e, sul piano settoriale, l’alimentare e trasporti, pubblici e privati.
Per garantire sviluppo e ripresa dell’occupazione e della sua qualità, non sembra sufficiente che il sistema regionale oltre la crisi prosegua lungo il suo modello di specializzazione. Appare necessario pensare di rinnovare il modello di specializzazione attuale, indirizzare la regione anche con policy pubbliche forti puntando sulla “green economy”, su nuove attività/settori di economia sostenibile come la produzione di energia, produzione alimentare, edilizia eco-sostenibile, economia della salute, un maggiore impegno della creazione di conoscenza e nel suo impiego in attività economiche
Altri temi e spunti di riflessione sono stati suggeriti da quattro commentatori di rilievo: Alberto Quadrio Curzio (Un. Cattolica di Milano e Accademia dei Lincei), Patrizio Bianchi (Un. di Ferrara), Massimo Bucci (ex Presidente Confindustria Emilia-Romagna), Mario Riciputi (Vice-Presidente Confindustria Emilia-Romagna).
Dagli imprenditori più dinamici viene il chiaro messaggio che le scelte di diversificazione effettuate negli anni recenti si sono rivelate essenziali per la sopravvivenza dell’impresa o del gruppo industriale. Ciò ha infatti portato ad una compensazione permessa dalla diversificazione, ed inoltre l’osmosi di conoscenze e competenze da un settore di attività all’altro ha portato stimolo e contributo all’attività di ricerca e sviluppo e al miglioramento dell’attività innovativa.
Gli economisti suggeriscono che, per elaborare progetti e scelte strategiche, è necessario un orizzonte temporale di almeno dieci anni. E’ necessario che i soggetti istituzionali agiscano in modo da stabilizzare le aspettative future, da dare prospettive anche più basse ma più stabili. E’ necessario canalizzare il risparmio privato verso attività produttive, ad esempio creando fondi di investimento finanziati dal sistema bancario, facilitati dal sistema tributario, e attraverso questi fondi favorire le aggregazioni di impresa, anche coinvolgendo le associazioni di imprese. E’ auspicabile che si consideri il federalismo fiscale come la via di accesso ad una innovazione epocale, una riorganizzazione dello Stato in direzione del federalismo, e non certo una riforma limitata alla sfera fiscale. L’apparato di fiscalità che dal federalismo può uscire potrà promuovere l’innovazione e l’aggregazione di imprese.
Infine, per rispondere ad un sistema che non cresce con un ampliamento della base produttiva, dobbiamo attirare imprese che operano in settori nuovi, dotarci delle competenze necessarie, come stanno facendo a ritmi accelerati i paesi che abbiamo considerato arretrati fino a poco tempo fa. E riflettere sul patrimonio investito in ricerca in regione, su come la valorizzazione e lo sfruttamento dei risultati della ricerca possano coinvolgere anche realtà di piccole dimensioni se inserite in un sistema, potenziando conoscenza, competenza, capacità di fare insieme.
* Quest'articolo sintetizza i risultati della ricerca “Innovazione, produttività sistemi locali regionali. Strategie di innovazione e risultati economici. Un’indagine sulle imprese manifatturiere dell’Emilia-Romagna.” (http://docente.unife.it/paolo.pini/ricerca/pubblicazioni-1 per il rapporto) realizzata dal gruppo di ricerca dell’Università di Ferrara composto da Davide Antonioli (Università di Ferrara), Annaflavia Bianchi (Fondazione Faber e Università di Ferrara), Massimiliano Mazzanti (Università di Ferrara), Sandro Montresor (Università di Bologna), Paolo Pini (coordinatore) (Università di Ferrara).
In allegato, una versione più lunga e dettagliata dell'articolo
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