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Il Governatore e lo straniero

06/06/2009

L'immigrazione debutta a Palazzo Koch. Nella Relazione annuale della Banca d'Italia, un capitolo dedicato alla presenza degli stranieri in Italia: economia, scuola, finanza, pensioni, welfare. I numeri e le risorse dell'Italia multietnica che il governo non vuole vedere

Per la prima volta nella sua storia la Banca d’Italia dedica in un suo atto ufficiale un ampio spazio all’immigrazione. Sono undici pagine della Relazione annuale, un intero capitolo, l’undicesimo, comprendente le pagine 123-133. Vale la pena di leggerle nel sito della Banca perché sono pagine informate e sorprendenti. Si comincia con una breve anticipazione su quattro punti essenziali che dopo aver indagato sul mondo degli stranieri in Italia, la Banca è convinta di poter (e dover) sostenere; poi seguono cinque paragrafi che riorganizzano e sviluppano la materia in un modo coerente: “L’immigrazione in Italia nel contesto internazionale”; “La condizione economica degli immigrati in Italia”; “Le conseguenze dell’immigrazione per il paese ospite”; “I giovani stranieri e la scuola"; "Gli immigrati e la finanza pubblica”.
Possiamo immaginare che i punti essenziali corrispondano a quello che in altri paludati rapporti internazionali è il Promemoria per i decisori cioè l’insieme di informazioni e di giudizi che l’autore intende far conoscere immediatamente come propri agli interlocutori per ispirarne l’attività futura. In questo caso è la Banca d’Italia che discute con i suoi pari, in buona sostanza il governo e i vertici delle parti sociali; e narra così:
a) gli immigrati regolari in Italia sono più che raddoppiati tra il 2003 e il 2008. Sono ora 3,4 milioni pari al 6% della popolazione residente, secondo l’Istat. Rispetto ad altri paesi, gli immigrati in Italia rappresentano “una quota più bassa di popolazione; sono più giovani e meno istruiti”;
b) l’aumento dell’offerta di lavoro dovuto “all’immigrazione non sembra in media aver avuto effetti negativi sulle retribuzioni o sulle aspettative occupazionali dei nativi”;
c) la qualità del capitale umano nel futuro dell’Italia “rifletterà in misura significativa le competenze della popolazione immigrata”. Oggi nelle scuole gli alunni stranieri perdono il passo con gli italiani “già nella scuola primaria” e mostrano maggiori tassi di abbandono “nei livelli scolastici successivi”;
d) le strutture socio economica e demografica sono differenti, tra italiani e stranieri. Ne risulta che “gli immigrati pagano proporzionalmente meno imposte e ricevono minori prestazioni per previdenza e sanità”.
Il punto che abbiamo indicato con la lettera a) è quello decisivo. Gli immigrati regolari sono dunque 3,4 milioni o forse di più. 3,7 milioni secondo le ricerche dell’Ismu. Questi i regolari, Ma gli altri? Ai primi si devono infatti aggiungere non meno di 650 mila stranieri presenti illegalmente sul territorio nazionale. Gli stranieri costituiscono insomma una parte rilevante della popolazione residente, addirittura, secondo l’Ismu, 4,3 milioni di persone, pari al 7,2%. Va detto subito che la parola “clandestini” non esiste nell’intero capitolo e neanche le parole “sbarchi” e “respingimenti”. Di cosa sta parlando, allora Banca d’Italia? Sono gli stessi immigrati, è lo stesso territorio su cui disputano i partiti? Qui si danno piuttosto i numeri, numeri ragionevoli. Si nota che gli irregolari superano l’1% della popolazione; quelli che lavorano tra gli stranieri irregolari sarebbero 350.000; e collettivamente determinano l’1% del prodotto interno lordo. Secondo le “segnalazioni del Ministero dell’interno”, la maggior parte degli stranieri irregolarmente presenti in Italia “è entrata legalmente ma ha prolungato la permanenza oltre quella consentita dal permesso d’ingresso”. La sottile polemica con la politica spettacolare del ministro Roberto Maroni non è l’unica che si legga in filigrana nel capitolo. La Banca parla di immigrati, irregolari o meno, citando spesso le ricerche serissime della Fondazione Ismu. E Ismu è una sigla che significa “Iniziative e studi sulla multi etnicità”, una parola, quest’ultima che il presidente del consiglio non vuole neppure sentir nominare.
Nei paesi più avanzati, osserva di passaggio Banca d’Italia, i nati all’estero son il 14,2% in Germania, l’11,8 in Francia, l’11% nel Regno unito, il 15% delle persone con oltre 18 anni di età negli Stati uniti, paese in cui gli irregolari “rappresenterebbero circa il 4% della popolazione presente (circa 12 milioni di persone)”.
C’è poi la questione del lavoro. Gli stranieri sono il 16% degli operai; subiscono il 15% degli incidenti sul lavoro e anche il 15% dei morti sul lavoro sono stranieri; sulla base dei dati Istat del 2004 “il differenziale retributivo settimanale dei lavoratori stranieri era in media superiore al 22%”. La Banca d’Italia lo attribuisce per metà ai settori in cui gli stranieri si addensano – costruzione, alberghi, ristorazione – e per metà a livelli inferiori di istruzione e alla difficoltà di trasferire “almeno in una fase iniziale il capitale umano accumulato prima dell’ingresso in Italia”.
Molto spazio è dedicato alla questione demografica e a quella dell’istruzione. Banca d’Italia parte da lontano e da fuori. Il fatto che in Italia siano giunte da 400mila a mezzo milione di persone ogni anno nell’ultimo quinquennio allinea con ritardo l’Italia agli altri paesi ricchi. “All’inizio del decennio nei paesi dell’Ocse risiedevano circa 85 milioni di persone nate all’estero, un valore triplo a quello di quaranta anni prima”. C’è quindi una corrente importante e crescente di popolazioni che cambiano orizzonte. La vita si allunga, le nascite superano le morti, la gente si sposta, cambia mondo. Questa è la demografia. Più sotto si legge ancora: “Nel biennio 2005-06 si stima che circa 8,5 milioni di persone si siano trasferite in un paese dell’Ocse, quasi 6,5 milioni al netto dei flussi interni all’area”. Il dato italiano rientra dunque in quello più generale, anzi compensa un ritardo di decenni. (Ancora negli anni ottanta gli emigrati italiani superavano gli immigrati in Italia di 30mila persone l’anno).
L’anomalia italiana si vede anche in altri dati. I livelli d’istruzione degli stranieri indicano una vera debolezza nazionale. In Italia gli immigrati hanno per il 48,1% solo il titolo di studio della scuola dell’obbligo o neppure quello, contro una media, nell’Europa a 15, del 32,5%. Hanno invece una laurea o più ancora per il 14,2% contro una media europea del 35,8. Più avanti la Banca nota che verso il 2050 la quota dei giovani residenti di origine straniera con meno di 15 anni sarà pari a un terzo del totale. E segue il colpo duro ai leghisti di ogni partito. “La componente straniera contribuirà in misura significativa a definire il livello e la qualità futuri del capitale umano che sarà disponibile in Italia”. Oggi cresce anche dentro i confini la popolazione straniera: metà dei bambini stranieri tra sei e dieci anni sono nati in Italia; come pure il 90% di quelli fino a cinque anni d’età. Sono non meno di mezzo milione gli stranieri nati in Italia. La Banca d’Italia non si pone – non vuole porsi – il problema politico e sociale di attribuire a tutti la cittadinanza, ma lancia un altro argomento. Stiamo attenti che anche gli immigrati scelgono dove andare, dove fermarsi; e di passaggio fa notare che anche romeni e marocchini tendono ormai a transitare in Italia per poi lasciarla per luoghi ritenuti più ospitali. Inoltre il sistema scolastico nostro è inadeguato alle difficoltà di inserimento di un bambino straniero.
C’è infine la proposta di altri temi, per così dire più affini allo spirito bancario. Gli immigrati hanno meno quattrini dal lavoro, case peggiori, meno cure mediche; sono in definitiva più poveri del resto della cittadinanza. Se si vuole trattenerli, se si deve trattenerli, perché la legge bronzea della demografia è alla base delle fortune economiche, dei conti bancari, della amata crescita economica, allora, suggerisce Banca d’Italia, bisogna fare di più. Gli immigrati sono una risorsa che dobbiamo meritare.

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