Home / Newsletter / Newsletter n. 135 - 2 settembre 2011 / L'Unione che serve. Intervista a Giuliano Amato

facebook-link twitter-link

Newsletter

Registrati alla newsletter di sbilanciamoci.info

Newsletter

Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito

L'Unione che serve. Intervista a Giuliano Amato

30/08/2011

L'azzardo del '92, la fase "magica" dell'euro, la crisi. "Oggi è evidente che senza una più forte integrazione economica e politica la moneta da sola non può funzionare". Ma con gli eurobond qualcosa potrebbe cambiare. "Il problema non è la Germania ma il governo che ha"

Tu, che sei stato l’artefice di una pesante manovra finanziaria nel 1992 in previsione dell’euro…

Non proprio per l’euro, che sarebbe cominciato qualche anno dopo, ma certo in quella direzione.

… vedendo adesso in che stato si trova la zona dell’euro, ti chiedi se non se c’è stato un errore nel credere che attraverso la sola moneta si potevano unificare paesi dalla struttura economica e finanziaria molto diversa? Nelle scorse settimane Prodi ha scritto che si sarebbero dovute prendere allora una serie di altre misure che si è costretti a prendere adesso «in fretta e nel dolore».

Fondamentalmente è vero. Ma ricordiamoci quello che era accaduto. La moneta unica è stata formalmente decisa nel 1992, subito dopo il Trattato di Maastricht e dopo una lunga gestazione negli anni ’80, che aveva visto le monete europee fluttuare all’interno di una fascia che chiamavamo “il serpente”, della quale non era permesso superare né il limite più basso né il più alto. Quel sistema provocò molte turbolenze perché i mercati finanziari, percependo la maggiore o minore debolezza di questo o di quel paese, partivano all’attacco delle singole valute - è successo alla lira, alla sterlina, al franco. Il passaggio alla moneta unica era l’unica difesa nei confronti di questo sistema. In più, si stava procedendo al completamento del mercato unico, eliminando tutte le barriere; senza la moneta unica ciascuno stato avrebbe potuto cambiare le condizioni concorrenziali - e quindi il prezzo sul mercato europeo dei suoi prodotti - attraverso una svalutazione della sua moneta.

Ma con la moneta unica, la competizione sui mercati europei sarebbe stata vinta dai paesi più forti. Possibile che non si potesse pensare a politiche più ampie?

Nella Commissione europea presieduta da Delors la conclusione era stata: facciamo la moneta unica, e non ci sarà bisogno di ulteriori regole perché il coordinamento tra i governi nazionali sarà sufficiente a garantire la convergenza necessaria. Io ho sostenuto più volte che si fece finta di crederci perché in realtà non si voleva andare oltre quel coordinamento. Quindi volemmo la moneta unica senza una politica economica unica. E devo dire che per un po’ i mercati ci hanno creduto perché la magia dell’euro, dello scudo dell’euro, ha operato per alcuni anni. Nel senso che, e ne abbiamo tratto vantaggio in Italia più di altri, a tutti i paesi che avevano adottato l’euro i mercati hanno riconosciuto gli stessi tassi di interesse e con uno spread - che non è lo spray per capelli ma il divario tra i tassi base europei che sono quelli del titolo pubblico tedesco e gli altri titoli pubblici - che era ancora modesto nei primi anni dell’euro. In realtà il grande recupero italiano dopo l’ingresso dell’euro, anche in termini di riduzione della spesa per il servizio del debito, venne tutto da questo. Però dopo la grande crisi del 2008 - e prescindiamo in questo momento da come è stata scatenata - i mercati sono diventi più diffidenti, più attenti, più implacabili, fatto sta che l’euro non è stato più uno scudo e hanno cominciato a guardare oltre, alle condizioni dei singoli paesi e hanno ricominciato a fare, nei confronti dei titoli pubblici dei singoli paesi, quello che facevano prima. Il che vuol dire che avevamo fatto una cosa che non funziona. È evidentissimo, e ormai se ne rendono conto tutti, che in assenza di una più forte integrazione economica e politica è difficilissimo far funzionare, senza prezzi pesantissimi, la moneta unica.

Dici che tutti se ne rendono conto, ma non vedo i governi europei condividere tutti il tuo giudizio.

Questo è proprio il male europeo. L’Europa si è sempre data obiettivi che presupponevano più impegno di integrazione di quanto poi ci ha messo. Il suo difetto non è quello di essere troppa, ma di essere poca.

Ho incontrato, sia in Francia sia in Italia, una sinistra per la quale, al contrario, sarebbe una uscita dall’euro a consentire ai singoli paesi un risanamento. Che ne pensi?

In una situazione di difficoltà anche quella può essere una via d’uscita, ma risolverebbe solo temporanemente il problema, come cercare un rifugio quando c’è il terremoto. Perché fin qui abbiamo parlato genericamente di Europa e di mercati, ma quello che è venuto succendendo in questi anni è che il capitalismo finanziario si è esteso scavalcando ogni confine sul mercato globale. Il mercato europeo non è che una fetta del mercato finanziario. A parte i valori che superano di gran lunga quelli dell’economia reale, abbiamo di fronte un gigantesco sistema che manda una serie di impulsi, alcuni dei quali mi possono mandare a catafascio, e che faccio? Spezzetto ancora di più i governi e chiudo ciascuno nel suo orto o tento di creare reti di governo che siano il più possibile alla stessa altezza del mercato? Devo avere più forza, anche perché c’è stato un enorme fallimento di quello che chiamiamo stato, cioè di una regolazione pubblica che lo inseguiva a pezzi e a bocconi. Capisco che è utopico, ma ci vorrebbe una cosa oggi impossibile e cioè un governo globale. Ma se non riesco a organizzare neanche il governo europeo, che faccio? San Marino contro il mondo?

Ma come realizzi un governo europeo più forte a questo grado di debolezza delle singole economie?

Il problema della crisi finanziaria è che colpisce l’economia reale. Se hai un alto debito, e nei confronti del tuo debito c’è il dannato spread, e il dannato spread non colpisce solo i titoli pubblici ma anche il finanziamento delle imprese, le assicurazioni delle esportazioni, abbattere lo spread può essere un beneficio per l’economia, ma una cosa è certa: che non hai le risorse per l’investimento e lo sviluppo. Questo è quel che manca all’Europa.

Da quanto tempo stiamo parlando di eurobond, cioè di titoli pubblici europei che servano da una parte a garantire il debito pubblico e dall’altra a finanziare investimenti? Però su questo andiamo a sbattere contro la Germania. Almeno per ora…Io, ti dirò, non sono pessimista . Siamo in periodo di scadenze elettorali, e nei sondaggi sembrano prevalere maggioranze tra socialdemocratici e verdi in Germania e socialiste in Francia, che sono favorevoli agli eurobond, favorevoli all’integrazione politica. Il problema non è la Germania ma il governo che ha. Quindi se penso all’Europa del 2013, magari con lo stesso asse franco-tedesco, le prospettive possono essere di tutt’altro respiro.

È probabile che fra un anno Sarkozy e Merkel, che si sono incontrati nelle scorse settimane, non siano piu allo stesso posto.

Il punto è questo. Quando mi viene chiesta un’opinione io dico: se riusciamo a stare in apnea e a sopravvivere fino al quel momento, probabilmente avremo un’Europa molto migliore. Però potremmo andare a sbattere prima. La vera domanda è questa.

Ti ricordo che a fare questa Europa a metà sono stati governi socialdemocatici o di centrosinistra.

Esattamente. Bisogna dire che gli stessi governi di sinistra o centrosinistra hanno incontrato e quindi espresso delle resistenze. Prendi la famosa strategia di Lisbona, le sue finalità non erano «creare l’economia più competitiva nel mondo basata sulla conoscenza», ma - leggi quel paragrafo delle conclusioni del Consiglio europeo del dicembre 2000 a Lisbona (allora erano 13 i primi ministri socialisti e socialdemocratici) - «creare l’economia più competitiva del mondo basata sulla conoscenza e capace di mantenere un elevato grado di coesione sociale». La scommessa era questa: vi faccio vedere che si può diventare competitivi senza sacrificare le istituzioni sociali. Questa doveva essere la scommessa di Lisbona. Non per caso è finita per essere interpretata in quella versione monca, perché per salvaguardare o meglio potenziare, in un mercato che si globalizzava, le istituzioni sociali era necessario un livello europeo di politica sociale che non c’è stato. Le resistenze sono venute largamente dallo stesso governo federale tedesco che aveva di fronte i Laender, più conservatori, che dicevano: questo riguarda noi e quindi niente competenze europee.

Adesso anche loro sono a crescita zero.

Anche loro sono a crescita zero. Ma la crescita zero è una ragione di più per costruire una rete di governi e discutere di più delle prospettive. Nel calo della crescita agiscono anche comportamenti imitativi, amplificati dai mercati finanziari e dalle operazioni realizzate con sistemi informatici. Si trasmette in questo modo un clima “ribassista” - la Borsa va male, i Bot vanno male - che investe tutti, e allora l’imprenditore che voleva fare un nuovo capannone dice: ma chi me lo fa fare di rischiare? Il consumatore che voleva comprare un cappotto, ha il terrore di farlo e quindi si ferma tutto. Ma i governi esistono anche per invertire un clima artificioso. Non devono mettere le loro mani nel profondo dell’economia, ma devono dare delle prospettive.

Tu insisti sulla mancata volontà politica dei governi nazionali, ma non c’è qualche cosa che blocca anche loro? Quando si dice i mercati, chi sono i mercati? Sono un meccanismo automatico o qualcuno li dirige?

Sono entrambe le cose. I grandi operatori dei mercati sono i fondi, principalmente americani, che tirano semplicemente a massimizzare i profitti e a ridurre i rischi. Vendevano titoli italiani già quattro mesi fa perché avevano capito che l’Italia era un paese che, crescendo così poco, sarebbe stato in difficoltà a pagare un debito già enorme. Poi ci sono i poteri che intervengono sui mercati. Le stesse banche centrali, che debbono tenersi nella pancia titoli vari a garanzia della liquidità che mettono in circolazione, ci pensano due volte prima di far saltare una società finanziaria che ha emesso titoli i quali, in caso di fallimento, diventerebbero carta straccia. Se una grande banca francese o tedesca ha nella pancia titoli, pubblici e non, che teme di non poter riscuotere, ricorre al proprio governo, ed ecco che fanno un tandem. In realtà ci sono una serie di legami, il punto chiave è che i governi sembrano mossi più da queste spinte che da una visione più larga e dalla capacità di dire alle proprie economie: crescete e moltiplicatevi, non abbiate questa paura. Nessuno si muove in questo senso. Ed effettivamente quello che dovrebbe muoversi è soprattutto il livello europeo.

Vedi possibile una ristrutturazione del debito dei paesi fragili da parte della Bce?

Per ora vedo un procedere a piccoli passi. A settembre ci sarà la cosiddetta Agenzia che a luglio è stato deciso di costituire e che potrà comprare tutto sul mercato secondario, fare prestiti eccetera. Ha un acronimo strano, (Efsf European Financial Stability Facility), e ne stanno facendo il regolamento; il problema è che Sarkozy e Merkel dovrebbero pensare ad arricchirne la dotazione finanziaria, ma per ora dicono: no, intanto facciamola. I segnali che vengono dati - direbbe una persona paziente - vanno nella direzione giusta ma a una velocità molto più bassa di quella delle onde che si accavallano su noi.

Pensi che si realizzerà la tassa sulle transazioni finanziarie?

L’ipotesi è ottima in sé, perché è una tassa piccola, 0,05% su ogni transazione, che dopo un buon numero di transazioni può produrre un grosso gettito e in qualche modo concorrere a una redistribuzione di cui il mondo di oggi ha più bisogno, perché ormai il divario che si è creato tra il profitto, in particolare quello finanziario, e le altre fonti di reddito è diventato gigantesco. Io vi vedo soltanto un problema politico: se non riesci a farla almeno in quella parte del mondo che conta per le transazioni finanziarie, rischi di mettere una tassa ma le transazioni si spostano in altre parti del mondo.

Infatti la risposta di chi parla per i mercati è che i capitali si sposteranno là dove questa tassa non c’è…

Se l’Europa fa sul serio, i vari G8 e G20 sono stati istituiti allo scopo di organizzare queste azioni di governo di portata globale.

Siamo già una grossa area economica.

Per le transazioni finanziarie siamo una parte forte, e se ci fosse un’intesa tra Europa, Stati Uniti, Giappone e Cina, beh, la tassa comincerebbe ad avere la sua efficacia. Anche perché - ma ti riporto una cosa che ho letto - anni fa si diceva contro la Tobin tax che ne sarebbe stata molto complicata l’applicazione, e invece Stiglitz, e a lume di naso potrebbe avere ragione, sostiene che con le tecnologie che abbiamo oggi, difficoltà applicative non dovrebbero esserci. Ai computer che registrano migliaia di operazioni al secondo, aggiungere questa roba dovrebbe essere facile tecnicamente. Politicamente, ci sarà sempre un Lichtenstein che dirà di no…

Non è che i mercati temono che la tassa sulle transazioni finanziarie comporti maggior controllo dei loro movimenti?

Non molto di più di quello che c’è ora, perché questi movimenti le banche centrali li registrano tutti. No, comportano questo maggior costo. È possibile che l’Eliseo amplifichi l’importanza di una proposta che viene da lui e non dalla Merkel, ma l’interpretazione che leggevo sulle agenzie sulla caduta di borsa di questi giorni è legata alle prospettive abbassate del Pil mondiale. E cioè al fatto che i mercati annusano meno crescita.

In nome di chi Francia e Germania hanno preso l’iniziativa?

In nome di sé medesimi. Stanno in questo momento occupando uno spazio che dovrebbe essere occupato dalle istituzioni europee. C’è sempre stato per la verità un asse franco-tedesco nella vita europea, però con leaders fortemente europeisti come Kohl e Mitterrand era un modo di accelerare, di bypassare gli ostacoli. Dipenderà dalle mani in cui verra messa l’attuazione delle conclusioni dell’incontro a due , se ci si adopererà per riportarli dentro alle istituzioni europee e non al contrario…

La regola d’oro dell’obbligo del pareggio nel bilancio pubblico?

Mi auguro che ci sia una riflessione molto attenta prima di generalizzare la regola di inserire nele costituzioni il pareggio di bilancio. Un vincolo di questa natura può impedire qualunque impegno a medio e a lungo termine, specie nei sistemi che contabilizzano nel primo anno l’intero debito che assumi, per esempio,per l’investimento. Spero che ci si pensi bene. Calcola che in Germania c’è già nella Costituzione, e quindi una eventuale introduzione degli eurobond sarà portata alla Corte costituzione tedesca, sulla base del dubbio che con essi si assume una parte della garanzia di debiti altrui, attribuendo un debito futuro a carico del bilancio tedesco, che sarebbe contro la costituzione. Vedi che trappola giuridica diventa?

La Francia non sta facendo una manovra feroce quanto la nostra, ma anche lei ha proceduto a tagli spietati…

E’ quello che accade ovunque, e qui torniamo al punto: se si devono ridimensionare i bilanci nazionali, le risorse sia per il sociale sia per gli investimenti saranno poche. Ecco dove dovrebbe arrivare il livello europeo e dire: e che facciamo per la crescita?

Temono solo l’inflazione…

Figurati, al punto in cui siamo, tra lo zero e lo zero tre. L’Italia è quella dove cresceva di più perché era lo zero tre…No, il problema è: con quale Europa possiamo andare avanti.

English version on opendemocracy: What did not work? An interview with Giuliano Amato

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti