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Reddito minimo: cominciamo a pensarci
Il reddito di cittadinanza torna al centro del dibattito politico. In Europa, il tema è stato di recente ripreso presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker. In Italia, con le ultime elezioni si è tornato a parlare di reddito di cittadinanza.
Il tema è cruciale perché impone di guardare da una prospettiva radicalmente diversa non solo la disoccupazione endemica, ma anche la deriva del lavoro precario. Assenza di lavoro, discontinuità delle occasioni lavorative, insufficienza dei livelli retributivi minimi potrebbero trovare nel reddito di cittadinanza un argine rispetto ai rischi di una dilagante esclusione sociale (si veda in proposito il rapporto Caritas 2012 su povertà ed esclusione sociale in Italia).
Ma la previsione di un reddito finalizzato a garantire lo ius existentiae, erogato a prescindere dal lavoro che si è svolto o che non si è capaci di svolgere, scardina i pilastri del nostro sistema di welfare, ancora essenzialmente fondato sul lavoro. Il che spiega in parte le resistenze che da più parti si sono manifestate verso forme di reddito di cittadinanza, non solo da destra (ricordate Sacconi? “Non regaleremo mai un euro a chi non lavora”) ma anche da sinistra e da una parte del mondo sindacale, dove si è temuto in un primo momento di incentivare così un indebolimento delle tutele nel rapporto di lavoro (tale reddito è infatti strettamente connesso alle politiche di flexicurity).
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