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Francia: il voto della finanza
È la finanza che deve adattarsi alla democrazia, non viceversa: la vittoria di Hollande potrebbe forse mettere fine alla dittatura dei mercati
La democrazia vota contro l’austerità, e la finanza vota contro la democrazia. Dopo il successo della sinistra nelle elezioni in Gran Bretagna (locali), Francia (presidenziali), Grecia (politiche), Germania (Schleswig-Holstein) e Italia (molte città), la finanza ha finalmente paura. Paura che il programma del nuovo presidente socialista francese François Hollande sia realizzato in tutta Europa: vincoli alla finanza, tassa sulle transazioni finanziarie, rinegoziazione del “fiscal compact” che condanna l’Europa alla depressione. Un programma di buon senso, essenziale per uscire dalla crisi, ma che ha scatenato ieri mattina la corsa alle vendite nelle Borse in Asia e in Europa (poi ridimensionate), una scivolata dell’euro, l’impennata dei tassi d’interesse sul debito pubblico di Grecia (ora al 25%) e Italia (4 punti in più dei titoli tedeschi). Cadute e rimbalzi delle Borse mostrano la schizofrenia della finanza: ha bisogno della destra per la libertà di speculare, ma senza la fine dell’austerità non può tornare a fare profitti. Con Hollande potrebbe così trovare un compromesso, ma con la Grecia che si permette di dimissionare i partiti dell’austerità la speculazione è senza pietà, e il Fondo monetario minaccia di non versare gli aiuti se i tagli previsti non avranno un governo capace di realizzarli. Ora che la Bce ha messo al sicuro i bilanci delle grandi banche con mille miliardi di euro, la soluzione per il debito pubblico e per l’emergente collasso delle banche private spagnole passa per un braccio di ferro tra Hollande e Merkel, e sarà decisivo lo schieramento degli altri paesi. L’asse “Merkozy” potrebbe essere rimpiazzato da un’alleanza tra la Francia e i paesi debitori – a Madrid il conservatore Rajoy è ben contento del cambiamento di Parigi – che usi Bce, fondo “salvastati”, eurobond per risolvere il debito pubblico. Perfino a Berlino si fanno passi indietro: il ministro dell’economia Wolfgang Schäuble, un “falco”, ora ammette che i salari tedeschi devono aumentare per far da locomitiva alla ripresa europea: il sindacato chiede aumenti del 6,5%, le imprese offrono la metà. Cose impensabili fino a poco fa tornano possibili. Il vento è cambiato e la novità è semplice. E’ la finanza che deve adattarsi alla democrazia, gli eletti devono adattarsi agli elettori: la dittatura dei mercati potrebbe (forse) finire. In questa partita Roma starà con Parigi o con Berlino? Con il lavoro o con la finanza?
Questo articolo è stato pubblicato sul manifesto dell'8 maggio 2012
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