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L'austerità vista da sinistra
Diverse proposte, a livello europeo, suggeriscono l’uscita dalla crisi tramite un maggior coordinamento tra i paesi membri e politiche più o meno keynesiane: dagli eurobond al documento del Pd o quello sottoscritto da molte associazioni di sinistra. (1) Per i singoli paesi membri, soprattutto per quelli periferici e indebitati come il nostro, sembra invece che il rigore di bilancio sia una strada obbligata. Ciononostante, presentare la politica economica come una strada fatta di “scelte obbligate” o puramente “tecniche” è una mistificazione. Specie nella gestione del bilancio pubblico, ci sono spazi per portare avanti strategie ben diverse, ad esempio, in termini di lotta alla povertà e alla disoccupazione, anche mantenendo invariati i saldi di bilancio, ovvero senza spendere di più.
SPESA SOCIALE NEL MIRINO
Partiamo dal contesto: la composizione del bilancio pubblico. Nel 2009 in Italia le spese sociali erano ampiamente la prima voce di spesa pubblica, con il 22,1 per cento del Pil secondo Eurostat: in crescita dal 20,4 per cento del 2008 proprio per via della crisi. (2)
Le altre voci principali, di importo largamente inferiore, sono la retribuzione dei dipendenti pubblici (11,3 per cento del Pil), gli interessi sul debito pubblico (4,6 per cento) e gli acquisti di beni e servizi (6,1 per cento). Mentre la riduzione della spesa per i dipendenti pubblici richiede impegnative riforme delle pubbliche amministrazioni (obiettivamente non realizzabili nelle condizioni politiche odierne) e gli interessi sul debito dipendono per lo più da scelte passate e dai tassi d’interesse sui mercati finanziari, l’ultima voce, l’acquisto di beni e servizi, è stata ripetutamente tagliata (forse oltre i limiti del possibile) con i ricorrenti “tagli lineari”, la procedura di tagliare indiscriminatamente tutte le spese di una certa percentuale, senza riguardo per la loro meritorietà. Peraltro, un’ulteriore riduzione di questa voce toglierebbe ulteriore ossigeno alle arrancanti imprese italiane.
Al di là delle visioni politiche, dunque, escludendo l’ipotesi di aumenti delle imposte, la spesa sociale si presenta come la “principale indagata”. Per questo, nel Patto per l’euro, una delle principali misure proposte (sebbene nascosta tra molte altre “di cosmesi”) è la “sostenibilità dei sistemi pensionistici, anche attraverso l’adeguamento dell’età pensionabile alle aspettative di vita”. Le pensioni, infatti, costituiscono più di tre quarti della spesa sociale. Ora, occorre notare che il posticipo del pensionamento non comporterebbe un risparmio di spesa, nel medio periodo, se questo posticipo fosse compensato da un incremento degli assegni mensili successivi (ovvero, il lavoratore prende la stessa pensione complessiva, tramite assegni più alti per un periodo più breve). Poiché però la compensazione, anche quando nel lontano futuro il sistema sarà a regime, non è piena, si ha un effettivo risparmio per lo Stato, oltre al fatto che più persone rimangono al lavoro, con potenziali effetti positivi anche sulle entrate (maggiori imposte).
Questo è, come detto, un obiettivo necessario nell’ottica dell’austerità obbligata per gli Stati membri dell’Unione Europea, specie quelli periferici. Però, esistono modi meno indiscriminati di risparmiare risorse pubbliche. Ad esempio, poiché l’aspettativa di vita dipende anche dalle condizioni economiche, e poiché in caso di posticipo del pensionamento non vi è piena compensazione dell’assegno mensile, la misura colpisce di più proprio i più poveri, ovvero è una misura regressiva. (3) L’attenzione agli aspetti redistributivi può invece suggerire ipotesi più progressiste. (4)
PENSIONI E REDISTRIBUZIONE
Così, un’opzione potrebbe essere quella di interrompere il trend verso l’individualizzazione dei benefici e introdurre elementi di redistribuzione nel sistema previdenziale operando sui benefici di importo elevato o su quelli cumulati: ad esempio a fine 2008 il 6,4 per cento dei pensionati dell’Inps percepiva tre pensioni, e un altro 1,4 per cento ne percepiva quattro o più. (5)
Anche considerando gli importi dei singoli assegni mensili, dunque ignorando per semplicità la questione del cumulo, dai dati dell’Osservatorio statistico sulle pensioni dell’Inps emerge che al 2009 il 2,21 per cento delle pensioni vigenti è di importo superiore ai 2.500 euro mensili, pari a oltre tre volte e mezzo la pensione mensile media pagata nel 2009. (6) Onestamente non si vede perché le pensioni pubbliche, ispirate a principi di solidarietà generazionale e tutela dai rischi in età anziana, dovrebbero garantire un reddito mensile superiore a quello medio pro-capite della popolazione in età da lavoro, tanto più in un paese in cui il numero di pensionati si avvia pericolosamente a crescere e quello dei lavoratori a ridursi. In effetti, a fine 2009 questo numero esiguo di lauti assegni previdenziali incide per più del 10,6 per cento della spesa complessiva per pensioni Inps (si veda tabella). Porre un tetto al trattamento mensile massimo erogato dall’Inps sembra dunque un modo molto meno iniquo socialmente, e molto più efficace finanziariamente, dell’aumento indiscriminato dell’età di pensionamento. Infatti, ad esempio un tetto massimo di 3'000 € mensili farebbe risparmiare ogni anno circa quattro miliardi di euro, per le sole pensioni erogate dall’Inps: in maniera strutturale, non come “scalini” e “scaloni” visti in passato.
Questa cifra intende solo fornire un’idea del notevole ordine di grandezza di cui si parla, ed è stata ricavata come prima approssimazione dalla differenza tra la spesa attuale per le 225 mila pensioni di importo mensile superiore ai 3'000 € e la spesa che si avrebbe per lo stesso numero di pensioni, tutte precisamente del valore di 3'000 € mensili. Quindi, la stima è basata sui soli ex-lavoratori del settore privato, trattandosi di dati Inps, ma per le pensioni erogate dall’Inpdap il risparmio potrebbe essere anche superiore, in termini relativi, a causa della maggiore generosità, specie in passato, di tale regimi. La stima è inoltre arrotondata per difetto, in quanto il computo è basato sul numero di pensioni anziché di persone (mentre il limite ovviamente dovrebbe valere per la somma di tutti gli assegni eventualmente cumulati), perché è basato su dati 2009, e perché non considera eventuali risposte “comportamentali” dei lavoratori che eventualmente decidessero di posticipare il pensionamento per ottenere un assegno più alto e/o di aumentare i propri risparmi privati. Tutte e tre queste distorsioni rendono la stima più conservatrice di quanto eventualmente si potrebbe risparmiare, e dunque sono distorsioni “benvenute” in quanto implicano una maggiore prudenza nell’esposizione e valutazione della proposta.
Ovviamente, la misura implica l’introduzione di un criterio di redistribuzione nel sistema previdenziale, per il quale i contributi oltre una certa soglia non “fruttano” in termini pensionistici allo stesso modo di quelli corrispondenti a importi più bassi. E in effetti, anche se come detto si parla di un numero davvero ridotto di “ricchi” pensionati che perderebbero così parte del proprio reddito, è possibile che porre un tetto, uno scalino secco oltre una certa cifra (per quanto alta) sembri una procedura arbitraria. Questo non è però un ostacolo insormontabile, in quanto è possibile pensare anche a un meccanismo di abbattimento progressivo del rendimento dei contributi versati, considerando ai fini del montante contributivo un valore nozionale (come viene già fatto per altre ragioni), pari al valore dei contributi effettivamente versati, ridotti di un fattore proporzionale al valore stesso, a un tasso scelto politicamente al fine di conciliare sostenibilità e adeguatezza del sistema. (7)
Più in generale, il caso delle pensioni mostra che, a invarianza dei saldi di bilancio o addirittura con una loro riduzione, è possibile operare politiche di bilancio che non abbiano carattere regressivo (come ad esempio l’aumento dell’età pensionabile). Se invece di fatto la spesa pubblica ha ulteriormente ridotto la sua capacità redistributiva negli anni, e in Italia più che in Europa, ciò è evidentemente la conseguenza di precise scelte politiche, tutt’altro che inevitabili o “tecniche”.
Numero Pensioni | Incidenza sul totale | Importo Medio Mensile | Rapporto con la media | Spesa Complessiva Annua (mln.) | Incidenza sul totale | |
Fino a 250,00 € | 1.635.147 | 8,93% | 110,74 | 15,19% | € 2.343,8 | 1,36% |
Da 250,01 € a 500,00 € | 7.098.875 | 38,79% | 412,44 | 56,59% | € 37.363,9 | 21,95% |
Da 500,01 € a 750,00 € | 3.998.900 | 21,85% | 572,30 | 78,52% | € 29.626,2 | 17,16% |
Da 750,01 € a 1.000,00 € | 1.733.625 | 9,47% | 865,46 | 118,74% | € 19.489,2 | 11,25% |
Da 1.000,01 € a 1.250,00 € | 1.247.036 | 6,81% | 1.083,88 | 148,70% | € 17.542,1 | 10,13% |
Da 1.250,01 € a 1.500,00 € | 843.800 | 4,61% | 1.364,87 | 187,26% | € 14.971,0 | 8,63% |
Da 1.500,01 € a 1.750,00 € | 527.327 | 2,88% | 1.615,11 | 221,59% | € 11.072,0 | 6,38% |
Da 1.750,01 € a 2.000,00 € | 371.364 | 2,03% | 1.869,84 | 256,54% | € 9.027,1 | 5,21% |
Da 2.000,01 € a 2.250,00 € | 256.519 | 1,40% | 2.116,01 | 290,31% | € 7.056,4 | 4,07% |
Da 2.250,01 € a 2.500,00 € | 183.588 | 1,00% | 2.362,00 | 324,06% | € 5.637,3 | 3,25% |
Da 2.500,01 € a 3.000,00 € | 180.033 | 0,98% | 2.711,44 | 372,00% | € 6.345,9 | 3,66% |
Oltre 3.000,00 € | 225.849 | 1,23% | 4.109,97 | 563,87% | € 12.067,0 | 6,96% |
Totale | 18.302.063 | 100% | 728,88 | 100% | € 172.541,8 | 100% |
(1) Il dibattito ovviamente somiglia a quello in corso negli Stati Uniti, si veda ad esempio il recente resoconto di Jan Kregel su www.monetaecredito.info
(2) Si tratta della spesa del complesso delle amministrazioni pubbliche (stato, enti statali e enti locali): si veda http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/government_finance_statistics/data/database
(3) Si veda da ultimo Tarkiainen, L., Martikainen, P., Laaksonen, M., Valkonen, T. (2011), "Trends in life expectancy by income from 1988 to 2007: decomposition by age and cause of death", Journal of Epidemiology and Community Health, doi:10.1136/jech.2010.123182
(4) Ovviamente mi riferisco a Norberto Bobbio (1994), Destra e Sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Donzelli Editore, Roma.
(5) Inps e Istat, "Trattamenti pensionistici e beneficiari al 31 dicembre 2008", Statistiche in breve, disponibile online alla Url: http://www.inps.it/doc/sas_stat/BeneficiariPensioni/Trattamenti_Beneficiari_31_dicembre_2008.pdf
(6) http://www.inps.it/webidentity/banchedatistatistiche/menu/pensioni/pensioni.html
(7) Così come proposto in D’Ippoliti, C. (2009), “Pensioni e redistribuzione”, Mondoperaio, numero 3, maggio 2009, disponibile online a questo indirizzo. Si noti che, sebbene la proposta miri a ridurre l’individualizzazione del sistema e a introdurre un po’ di redistribuzione, già a normativa vigente il montante contributivo non corrisponde alla capitalizzazione dei contributi versati: strutturalmente, per la differenza tra aliquote di computo e aliquote di finanziamento (per cui ai lavoratori dipendenti viene implicitamente riconosciuto un tasso interno di rendimento superiore a quello dei lavoratori autonomi), e occasionalmente, con i periodi di contribuzione figurativa (ad esempio, durante la maternità).