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Contro la crisi in quindici mosse

01/12/2009

La campagna Sbilanciamoci! ha presentato il suo Rapporto sulla Finanziaria 2010. Ecco il capitolo con le proposte.

Fino ad oggi le misure di Tremonti e di Berlusconi sono state dei “pannicelli caldi”. In questi mesi i responsabili del governo si sono attardati prima a sminuire i dati della crisi (affannandosi a sdrammatizzare le analisi degli istituti di ricerca) e poi a spandere inutile ottimismo, invece di affrontare la crisi con iniziative e politiche adeguate alla gravità della situazione.

I diversi provvedimenti varati in questi mesi o sono pure operazioni di marketing o misure molto modeste che non incidono sul corso della crisi.
Sbilanciamoci! propone un intervento equivalente al 1,6% del Pil del 2010 e allo 0,9% del 2011. In tutto 40 miliardi, coperti in parte da nuove entrate e da risparmi sulla spesa pubblica e in parte generati dal necessario indebitamento per far fronte alla crisi.

Proponiamo delle misure concrete, immediate, che nello stesso tempo cercano di disegnare un nuovo modello di sviluppo, fondato sulla sostenibilità ambientale, i diritti e la qualità sociale, un nuovo welfare fondato sulla giustizia e l’eguaglianza, politiche di solidarietà e di cooperazione internazionale.

Ci sono alcune priorità di cui tenere conto: arginare l’impoverimento sociale e la perdita di posti di lavoro, difendere il potere d’acquisto delle famiglie, dei lavoratori e dare reddito a disoccupati e a chi – come i pensionati a regimi modesti – si trova fuori dal mercato del lavoro. Si tratta di rilanciare con forza la regia e la forza delle politiche pubbliche capaci di orientale i comportamenti e le proposte dei mercati, riportare l’economia finanziaria al servizio dell’economia reale, innovare le produzioni e i consumi individuali e collettivi sulla base di un nuovo modello di sviluppo, di cui abbiamo sempre più bisogno.
Dobbiamo abbandonare le vecchie strade, mettere fine a privilegi e corporativismi, redistribuire la ricchezza (perché questa è la vera condizione per crearne della nuova) e ridurre le diseguaglianze, ridare speranza a un paese che altrimenti rischia di essere stritolato da una crisi che accentua le debolezze strutturali di un sistema economico e istituzionale da tempo in difficoltà.

Serve un nuovo modello di sviluppo per un’Italia capace di futuro.

 

5 PRINCIPI DA SEGUIRE PER UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO

La crisi rappresenta nello stesso tempo un grave pericolo, ma anche una opportunità importante per rilanciare l’economia del paese e un nuovo modello di sviluppo legato a politiche di indirizzo e legate a specifici provvedimenti che possono orientare gli investimenti, le produzioni e i consumi in una direzione diversa da quella del passato. Fronteggiare questa crisi con i modelli e le ricette del passato sarebbe sbagliato e miope. Bisogna avere il coraggio di intraprendere nuove strade, lavorando per un nuovo modello di sviluppo fondato sulla sostenibilità ambientale, la qualità sociale, i diritti, un nuovo modo di produrre e di consumare.

Cinque sono a nostro giudizio le direttrici importanti di questo nuovo modello di sviluppo:

  • un ruolo più incisivo dell’intervento pubblico capace di dare regole vere e rispettate ai mercati finanziari, di disegnare una vera politica industriale, di attivare meccanismi di incentivo e di stimolo dell’economia reale. Si tratta di ridisegnare un sistema in cui il mercato – e gli operatori privati – non siano lasciati senza regole, ma possano agire dentro una cornice in cui prevalga il bene comune, la responsabilità sociale, l’interesse collettivo
  • il principio della sostenibilità ambientale come fondante l’idea di una green economy che rivoluzioni il modo di produrre i beni, di distribuirli e di consumarli e sia capace di cambiare pensando a nuove forme di produzione di beni immateriali e di beni materiali durevoli. Un sistema economico meno energivoro e legato all’uso di fonti rinnovabili capace di stimolare una mobilità compatibile con la salvaguardia dei territori e delle comunità;
  • la qualità sociale come tratto distintivo di un’economia che rimette al centro il lavoro e le persone – i loro diritti sociali inalienabili – le relazioni umane e la dimensione comunitaria della produzione e del consumo; la qualità sociale parte dalla dignità del lavoro e dai territori e dalle comunità locali e nello stesso tempo condiziona le attività e i risultati della produzione alla dimensione più alta di un’economia solidale e al servizio del bene comune;
  • un equilibrio diverso tra consumi collettivi e consumi individuali e tra consumi socialmente ed ecologicamente compatibili e quelli distruttivi per la società e l’ambiente; significa ripensare anche le modalità della distribuzione dei prodotti, la capacità di limitarne l’impatto ambientale e di favorire quelli che producono un più alto tasso di benessere sociale e collettivo;
  • il principio della cooperazione e la limitazione di quello della competizione. L’assolutizzazione del principio di competizione ha comportato disgregazione e distruttività del sistema economico e delle relazioni umane, mentre quello di cooperazione – a partire dalle relazioni tra Nord e Sud del mondo e in ambito commerciale, monetario, finanziario – può aiutare ad una crescita più armonica e a superare le crisi che stiamo vivendo.


Possono sembrare dei principi “astratti”, ma invece comportano scelte molto concrete: ad esempio investire nei pannelli solari e non nelle centrali nucleari, rottamare i frigoriferi e le caldaie eco – inefficienti e non le automobili, premiare la ricerca e l’innovazione nelle imprese e penalizzare le delocalizzazioni a buon mercato, sostenere lo sviluppo locale e colpire le speculazioni finanziarie transnazionali, finanziare l’aiuto allo sviluppo ridudendo le spese militari, ridare i diritti al lavoro contrastando la precarietà, promuovere le banche locali contrastando la concentrazione oligopolistica della finanza, rispettare gli impegni di Kyoto varando tasse di scopo punitive contro gli inquinatori e le produzioni insostenibili dal punto di vista ambientale, dare più servizi sociali senza avere bisogno della social card, favorire la filiera corta e i prodotti a “chilometri zero” piuttosto che un’agricoltura distruttiva e di bassa qualità.

5 POLITICHE CONCRETE PER FRONTEGGIARE LA CRISI

Uscire da questa crisi si può con una grande capacità di “politica”, cosa che questo Governo dimostra di non possedere. Bisogna utilizzare di più e con più intelligenza la spesa pubblica, facendo pagare ai privilegiati, agli speculatori, ai settori dove è concentrata la ricchezza economica – e non ai lavoratori, alle famiglie, alle imprese – il peso di questa crisi. Servono nel periodo da oggi fino al 2011 almeno 40 miliardi di euro – una gran parte dei quali può essere trovata grazie dalla riduzione delle spese militari, dalla tassazione delle rendite, da una tassa patrimoniale e dalla cancellazione di alcune inutili grandi opere – per fare due operazioni: fronteggiare le conseguenze della crisi economica e finanziaria e rilanciare l’economia sulla base di un nuovo modello di sviluppo. È necessario intervenire in queste direzioni:

 

  • promuovere adeguate politiche del lavoro e allargare lo spettro di applicazione degli ammortizzatori sociali a tutti i lavoratori delle piccole medie e imprese e ai co.pro/interinali, eccetera sulla base delle regole esistenti per i lavoratori a tempo indeterminato delle grandi imprese (cassa integrazione e copertura fino a 8 mesi all’80% dello stipendio);
  • promuovere un piano nazionale di “piccole opere” e per l’ambiente (che poi così piccole non sono) ambientali e sociali, attraverso una serie di interventi legati ai lavori pubblici nel campo energetico, della mobilità, del riassetto del territorio. Ecco alcuni obiettivi da realizzare entro il 2011: 500mila impianti fotovoltaici, 500 treni per i pendolari, 20 progetti di mobilità sostenibile (1000 piste ciclabili, 5mila vetture in car sharing, 2000 nuove vetture per il trasporto pubblico locale) nelle grandi città, la messa in sicurezza di almeno 9mila scuole italiane che non rispettano le principali norme in materia (legge 626, eccetera). Questi interventi sostengono le imprese e creano posti di lavoro;
  • promuovere un allargamento delle politiche di welfare – non con interventi caritatevoli come la social card e i bonus bebè – ma attraverso interventi e servizi sociali mirati, permanenti e continuativi, come l’apertura di 5mila nuovi asili nido, di 1000 strutture di servizio su base territoriale a favore di disabili e anziani non autosufficienti, l’introduzione dei Livelli Minimi di Assistenza già previsti dalla legge 328 del 2000, la promozione del diritto allo studio (borse, alloggi, eccetera); si tratta di politiche che in un’accezione ampia dei welfare comprendono anche le politiche per la cooperazione allo sviluppo, la pace, il servizio civile;
  • sostenere il sistema delle imprese attraverso politiche di incentivo nel campo dell’innovazione e della ricerca, di sostegno all’accesso al credito, di aiuto (con interventi di defiscalizzazioni o bonus) finalizzato al mantenimento dell’occupazione e alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro precario, alla promozione di patti territoriali per il sostegno al sistema locale delle imprese;
  • arginare il crescente impoverimento del paese e rilanciare la domanda interna con il sostegno al potere d’acquisto dei lavoratori, delle famiglie e dei disoccupati attraverso – oltre a tutte le politiche di welfare precedentemente elencate – una serie di misure: a) l’introduzione della 14° per i pensionati sotto i mille euro lordi mensili, b) la restituzione del fiscal drag ai lavoratori dipendenti; c) la reintroduzione del Reddito Minimo d’Inserimento (cancellato nella 14ma legislatura) per i disoccupati e per chi non gode di altre forme di ammortizzatori sociali.



5 MODI PER TROVARE LE RISORSE

 

Dove trovare 40 miliardi per sostenere queste politiche? Da una parte è inevitabile – come hanno fatto altri paesi – ricorrere all’indebitamento pubblico. In una fase di crisi è indispensabile un uso straordinario e incisivo della spesa pubblica per impedire l’impoverimento sociale ed economico, la distruzione di parte del sistema delle imprese e delle attività economiche, favorendo il rilancio della produzione e della domanda interna. Dall’altra, è possibile recuperare risorse attraverso la politica fiscale e con risparmi mirati nella spesa pubblica per quelle politiche e misure che noi riteniamo sbagliate. Il grosso delle risorse può essere trovato in questo modo, ricorrendo solo in minima parte all’indebitamento.

Ecco cinque modi per trovare 40 miliardi contro la crisi.

 

  • accentuare la lotta all’evasione fiscale e politiche di giustizia fiscale. È impossibile quantificare gli introiti dalla lotta all’evasione fiscale, ma sicuramente si possono quantificare le risorse che in due anni entrerebbero dalle seguenti misure; a) innalzamento della tassazione delle rendite al 23%; b) aumento dell’imposizione fiscale al 45% per i redditi oltre i 70mila euro e al 49% per i redditi oltre i 200mila euro; c) introduzione o accentuazione di una serie di tasse di scopo (SUV, diritti televisivi sullo sport spettacolo, porto d’armi, pubblicità). In due anni queste misure produrrebbero 8 miliardi di entrate.
  • introdurre una tassa straordinaria e una tantum per i grandi patrimoni (sopra i 5 milioni di euro, il 10% più ricco della popolazione) che rappresenti una sorta di contributo straordinario in una fase di difficoltà per il paese da quelle categorie sociali che rappresentano la parte più ricca del paese. Si tratta in sostanza di una tassa patrimoniale il cui obiettivo sarebbe la raccolta, con una imposizione minima del 3 per 1000, di un introito di 10miliardi e 500 milioni di euro;
  • puntare sulla riduzione delle spese militari. Si tratta di una scelta obbligata rispetto a Forze armate sovradimensionate rispetto ai loro compiti costituzionali e agli obblighi internazionali. La sola cancellazione del programma di acquisizione del cacciabombardiere JSF produrrebbe un risparmio in 10 anni di ben 16 miliardi di euro, mentre la riduzione del 20% delle spese militari, sempre in due anni, un risparmio di ben 6 miliardi di euro;
  • rinunciare al programma delle grandi opere, che in larga misura sono inutili, costosissime e in gran parte sbagliate. Rinunciare al progetto sul ponte sullo Stretto e alle altre grandi opere previste (tra le quali, da non dimenticare, anche se per il momento senza oneri finanziari, le centrali nucleari) comporterebbe un risparmio di 3,5 miliardi in due anni;
  • intervenire su quella parte della spesa pubblica che potrebbe essere ridotta. Indichiamo due misure che potrebbero essere perseguite: il passaggio nella Pubblica Amministrazione all’open source che porterebbe un risparmio di ben 4 miliardi su due anni (contratti e acquisizioni di licenze) e l’abolizione dei contributi alle scuole private (ben 1 miliardo e 400 milioni in due anni) a favore degli investimenti di queste risorse nel sistema pubblico dell’istruzione.

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