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Piano casa e Regioni, dopo l'accordo resta il danno
Ascoltando Raffaele Fitto, ministro per i rapporti con la regione, ho pensato “che burlone, ci vuole fare un pesce d’aprile”, non era credibile, infatti, che avesse trovato l’accordo sul “piano casa” con le regioni. Eppure era la verità, altro che pesce d’aprile, le regioni avevano limato il piano del cavaliere Berlusconi, ma sostanzialmente ne accettavano la filosofia. E va bene che tra i “governatori” regionali ce ne fossero alcuni che amando il “capo”, condividevano il piano casa (la Regione Veneta ha in discussione un progetto di legge che ricalca alla perfezione il contenuto del primo annunzio del cavaliere), ma il centro sinistra dove stava? Forse si è spaventato di frenare la ripresa economica bloccando l’iniziativa edilizia? Forse si è fatto irretire dalle previsioni (tutte da verificare) di centinaia di migliaia di famiglie pronte per cogliere l’occasione di un ampliamento della loro casa? Misteri.
Quello che non è misterioso, invece, è la fragilità delle parole al vento. Da quando è scoppiata la crisi economica non si ascoltano che affermazioni del tipo “niente sarà come prima”, “il capitalismo uscirà diverso”, “chi governa ha capito”, e via di questo passo. Ora mi pare che almeno in Italia la ripresa è affidata al più tradizionale degli strumenti: l’accelerazione della produzione edilizia, con gli addentellati della speculazione, della corruzione, del lavoro nero, ecc. Non importa se poi questo piano, come credo, avrà effetti inferiori al previsto, quello che interessa è che a destra come a sinistra il “niente come prima” si declina con gli strumenti più banali dello sviluppo precedente (e una delle cause della crisi). Che non si tratti di una personale illazione è verificabile dal testo dell’accordo tra Conferenza delle regioni e il governo, che infatti recita “rilevata l’esigenza … di misure che contrastino la crisi … visto l’accordo … di fronteggiare la crisi mediante un riavvio dell’attività edilizia…”.
Prescindendo da questo aspetto, certo non marginale, l’accordo presenta una serie di equivoci che facendosi forte dell’autonomia della regione e dei poteri delegati a queste (“premia” il federalismo) fornisce indicazioni di massima (il famoso 20%), mentre si afferma che le “regioni possono promuovere ulteriore forme di incentivazione volumetrica”; ai disastri non c’è mai un limite. Mi immagino che la giustificazione per eventuali forme di ulteriore “incentivazione volumetrica” è presto trovata: l’occupazione. Tale incremento riguarda le case unifamiliari o bifamiliari (ma qualcuno parla anche di “case a schiera”, il che sarebbe una bella differenza). Sarebbero esclusi i condomini, che, tuttavia potranno essere reintrodotte dalle singole regioni.
Incrementi fino al 35% sono ammessi per edifici a destinazione residenziale che venissero demoliti e ricostruiti con finalità “di miglioramento della qualità architettonica, dell’efficienza energetica ed utilizzo di fonti energetiche rinnovabili”. Qui non è chiaro che i tre criteri sono necessariamente concorrenti o se ne basti uno. Ma forse, come si dice sempre, il testo diffuso non è preciso. La demolizione pone problemi di inquinamento non modesti ma a questi non si fa riferimento, ne sul riciclo dei materiali o loro smaltimento.
Così come formulato l’accordo , sembra escludere, e tutti respiriamo, l’edilizia non residenziale, ma attenzione, sempre in virtù del federalismo e dell’autonomia regionale, “ferma restando l’autonomia legislativa regionale ad altre tipologie di intervento”.
Tali interventi non possono riferirsi ad “edifici abusivi, ai centri storici o in aree di inedificabilità assoluta”. Come già segnalato in altre occasioni il riferimento agli edifici abusivi appare equivoco, in una versione precedente si diceva con “ordine di demolizione” ora l’universo sembra allargarsi, ma resta il problema degli edifici condonati, questi edifici costruiti regolarmente, sanati, con poche lire, a fini di cassa, ora godono anche di un premio? Sembra di si, la qual cosa non sembra un tratto di giustizia sociale ancorché legittima.
Giusto lo shock da produrre nella crisi si è introdotto un lasso temporale di validità della legge regionale che promuoverà l’attività edilizia suddetta: 18 mesi (“salvo diversa determinazione delle singole regioni”). Questo termine, ovviamente, spinge le famiglie ad “approfittare” e quindi la legge potrebbe incentivare l’attività edilizia. Su questa attesa delle famiglie, nonostante i pararei di illustri istituti di ricerca si possono avanzare delle perplessità. Ma tralasciamo la questione.
Poi segue la parte “normativa” che apparentemente ha lo scopo di “snellire” (cosa saggia) ma che in realtà si presenta come fuga da ogni formazione con l’estensione massima del “silenzio assenso”, principio quanto mai perverso. Infine si coglie una sorta di “comando” affinchè le regioni introducano nelle legislazioni regionali, qualora non l’avessero già fatto, la “perequazione e compensazione urbanistica”, che costituisce un falso principio di eguaglianza tra i proprietari fondiari e un marchingegno non necessario per ottenere aree per le opere e i servizi pubblici. Ma è di moda, e tanto basta.
Per capire cosa significa il costante rimando all’”autonomia regionale” basta gettare un’occhiata al progetto di legge n. 398, di iniziativa della Giunta, della Regione Veneta. Un progetto snello (8 articoli) che permette l’ampliamento fino al 20% sia degli edifici residenziali che quelli destinati ad usi diversi. Per gli edifici composti da più unità immobiliari, “compatibilmente con le leggi che disciplinano il condominio degli edifici” (non le norme urbanistiche né i regolamenti edilizi), è possibili realizzare l’ampliamento separatamente per ogni unità (la cosa è misteriosa, a meno di non pensare alla chiusura di terrazzi, balconi e simili e di costruzioni aggettanti, e viva il miglioramento estetico). La Regione Veneto allarga tale possibilità anche agli usi diversi; questa si che è appetitosa e grave.
E’ prevista la demolizione degli edifici realizzati prima del 1989 con incremento del 30% o il 35% se si usano tecniche costruttivi di bioedilizia ed energia rinnovabile. Anche in questo caso l’ampliamento ammesso è previsto sia per le abitazioni che per gli altri usi.
Sono i Comuni, entro il termine perentorio di 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, che “possono escludere l’applicabilità delle norme a specifici immobili o zone del proprio territorio, sulla base di specifiche valutazioni o ragioni di carattere urbanistico, edilizio, paesaggistico”. Questo significa che norme e piani esistenti non contano niente, i Comuni si dovranno esprimere ex-nuovo, le regole di governo precedente sono azzerate. Questo è l’oggetto vero del provvedimento: la de regolazione, la fine di una programmazione dello sviluppo urbano e territoriale. È chiaro, infatti, che questo sistema una volta applicato per 18 mesi (24 nella proposta della regione Veneto) non potrà che costituire la guida futura per il Paese lungo i percorsi dei suoi disastri urbanistici ed edilizi.
L’autonomia regionale, il tanto atteso federalismo, trova una sua prima applicazione deteriore. La Conferenza delle regioni ha provato a mediare e non a bloccare un piano dissennato, ma avere accettato che le Regioni, nella loro autonomia, potranno proporre “ulteriori forme di incentivazione” e “diverse tipologie di intervento” non fa altro che spostare altrove il problema (la regione Veneto è un esempio). E non può essere di consolazione pensare che le popolazioni hanno i governati che si meritano, sia perchè ad approfittare è una quota modesta della popolazione sia perché chi governa non dovrebbe accettare un disastro annunziato.
Il cavaliere Berlusconi, tuttavia, non è soddisfatto, e, dal suo punto di vista ha ragione, non perché il suo piano sia stato ridimensionato, ma perché il merito di quello che si farà (si distruggerà) sarà non tanto suo ma dei Governatori. Non è un caso che già rilancia il “piano famiglia” con la costruzione di edilizia per le giovani coppie (i singoli non hanno diritto?), a basso costo, e annunzia, anche, la costruzione di nuove città. Ma di questo non ci occuperemo fino a quando (giusto l’impegno preso con i lettori) non sarà materia ufficializzata e non pensiero dal senno sfuggita.
Detto tutto questo va precisato che in questa nota si è tenuto conto dell’ “intesa governo regioni”, ma niente si sa ancora del decreto legge che il governo emetterà; questo, si può supporre, si occuperà soprattutto della semplificazione, cioè dell’azzeramento di ogni forma di governo del territorio.
Alla formazione di questo governo avevo paventato il fatto che il cavaliere avendo meno bisogno di tempo per “occuparsi dei fatti suoi” si sarebbe occupato “dei fatti nostri”. Ecco il risultato.