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L'Europa, a sinistra

L'Europa, a sinistra

31/07/2013

Le sollecitazioni che giungono dagli interventi sul manifesto di Giulio Marcon, Giorgio Airaudo e Massimiliano Smeriglio ci inducono a intervenire. Ovviamente lo facciamo ben sapendo che il punto di vista nostro, che non siamo militanti di partito, è per forza diverso dal loro, anche se ci accomuna, oltre che l'amicizia, la stessa tensione a voler fare qualcosa per smuovere una situazione politica a sinistra a dir poco avvilente.
Ad esempio noi non crediamo che il problema della «nuova sinistra» o comunque di un percorso alternativo che guardi alle novità politiche, culturali e sociali di questi anni, sia definirsi per il grado di disponibilità più o meno alta dei propri parlamentari a dialogare e a mescolarsi con quelli che per scelta o per condizione si autorganizzano per fare politica fuori. O meglio, questo può essere tuttalpiù uno stile, certamente più dignitoso di altri modi di fare elitari e totalmente separati. Lasciamo perdere l'approfondimento che meriterebbe il concetto dell'«autonomia del politico», che storicamente si afferma a sinistra non oggi, nel tempo dei partiti temporanei, personali e mediatici, ma all'apice del periodo dei partiti di massa e della grande partecipazione. Il nodo che qui ci interessa evidenziare è che la frattura tra rappresentanza e società è oggi un dato strutturale. È il frutto della fine di un'epoca, di una lunga transizione che ha a che fare più con le evoluzioni del sistema capitalistico e degli effetti di quest'ultime nelle società occidentali, che con la degenerazione soggettiva, la corruzione etica e materiale, con cui si sono connotati nel tempo il parlamentarismo e la partitocrazia. Quindi bisognerebbe sbarazzarsi di una sorta di "pensiero debole" che a tratti assume quasi il carattere dell'ideologia, e che teorizza la partecipazione come valore in sé.
Partecipare a che cosa, perché, come, con quali obiettivi? - queste sono le domande. È da molto tempo che dal mondo dei partiti della sinistra non liberista non vengono che delusioni. Perché è proprio il carattere strutturale della crisi della rappresentanza che alla fine presenta il conto, e dunque è la tattica per sopravvivere nelle istituzioni ad avere la meglio sulle nobili ragioni dichiarate. Se si parte da questo, si assume il fatto che elezioni, rappresentanza, partito sono tutte cose limitate, contraddittorie nel processo sociale di cambiamento.
Così ci illudiamo e illudiamo di meno e forse, pensiamo più a dimostrare con i fatti ciò che siamo, piuttosto che descriverli senza riuscire poi a metterli in pratica. Noi, per questo, avanziamo una semplice proposta in primo luogo a Sel, da cui vengono queste importanti aperture, e a chiunque ci stia: considerare le prossime elezioni europee il terreno concreto per aprire uno dei molteplici percorsi costituenti possibili. Uno, e non il percorso, perché siamo convinti che l'alternativa non ha oggi né un motore unico né una ricetta già pronta. È fatta di conflitti giustamente contro le istituzioni, e anche di anomalie dentro le istituzioni. Ognuno dovrebbe provare a dare il proprio contributo, senza pensare che sia quello risolutivo, senza pensarsi autosufficiente. È ora, per qualsiasi nuova sinistra, di considerare proprio l'Europa come spazio politico centrale del conflitto. Invece che trattare le elezioni europee come una specie di sottoprodotto di quelle nazionali, e dunque utilizzarle solo per posizionamenti tattici tutti in funzione di strategie locali, bisognerebbe rovesciare la questione: oggi in Europa si decidono le politiche da imporre agli Stati, e non viceversa. L'Europa degli spread e della Bce, della troika, della Merkel e di Draghi, quella dell'austerity e del pareggio di bilancio, è la plastica rappresentazione del feroce antieuropeismo conservatore dei poteri forti. Il solo pensiero che questo spazio politico e sociale, orfano di costituzione, possa prendere forma, trasformandosi in un terreno di conflitto e disseminandosi di nuove istituzioni democratiche contro i presidi autoritari delle dittature monetarie e finanziarie, fa tremare i polsi ai signori di Francoforte e Berlino. L'Europa degli stati a sovranità limitata è esattamente disegnata per essere retta attraverso differenziali interni: lo spread, i bilanci, il deficit, il default, il commissariamento. Che si traducono in differenziali sociali: diseguaglianze, impoverimento, razzismi, sfruttamento.

continua

Tratto da www.ilmanifesto.it