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Tra maggio 2009 e settembre 2010 oltre duemila migranti africani vennero intercettati nelle acque del Mediterraneo e respinti in Libia dalla marina e dalla polizia italiana; in seguito agli accordi tra Gheddafi e Berlusconi, infatti, le barche dei migranti venivano sistematicamente ricondotte in territorio libico, dove non esisteva alcun diritto di protezione e la polizia esercitava indisturbata varie forme di abusi e di violenze.

Non si è mai potuto sapere ciò che realmente succedeva ai migranti durante i respingimenti, perché nessun giornalista era ammesso sulle navi e perché tutti i testimoni furono poi destinati alla detenzione in Libia. Nel marzo 2011 con lo scoppio della guerra in Libia, tutto è cambiato. Migliaia di migranti africani sono scappati e tra questi anche rifugiati etiopi, eritrei e somali che erano stati precedentemente vittime dei respingimenti italiani e che si sono rifugiati nel campo UNHCR di Shousha in Tunisia, dove li abbiamo incontrati. Nel documentario sono loro, infatti, a raccontare in prima persona cosa vuol dire essere respinti; sono racconti di grande dolore e dignità, ricostruiti con precisione e consapevolezza. Sono quelle testimonianze dirette che ancora mancavano e che mettono in luce le violenze e le violazioni commesse dall'Italia ai danni di persone indifese, innocenti e in cerca di protezione. Una strategia politica che ha purtroppo goduto di un grande consenso nell'opinione pubblica italiana, ma per la quale l'Italia è stata recentemente condannata dalla Corte Europea per i Diritti Umani in seguito ad un processo storico il cui svolgimento fa da cornice alle storie narrate nel documentario.

Tratto da www.zalab.org