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Pochi giorni per salvare l'euro e l'Europa

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La risposta positiva dei mercati finanziari all'arrivo del governo Monti è durata pochissimo; l'Italia si trova oggi con livelli record dei tassi d'interesse che devono essere pagati sui titoli di stato: 7,8% nell'asta di venerdì scorso e 511 punti di spread rispetto ai titoli tedeschi. Ricordiamo che nel corso del 2012 l'Italia dovrà emettere circa 400 miliardi di euro di titoli pubblici che vengono a scadenza; le banche italiane, da parte loro, dovranno rimborsare finanziamenti per 200 miliardi di euro. In quali condizioni di fiducia per il nostro paese risorse finanziarie di questo tipo potranno essere raccolte?
Accanto alle incertezze sul programma del governo Monti, pesano le incertezze sulle politiche europee, e si moltiplicano le aspettative di un qualche "crollo" dell'euro. Il New York Times riferisce di come le banche internazionali si attrezzino per l'eventualità di una "rottura" dell'area euro, alleggerendo i propri portafogli dai titoli europei e facendo così scivolare le quotazioni dell'euro.
L'attacco della speculazione continua a concentrarsi contro i titoli di stato dei paesi euro. Qui il mercato - tranne il caso della Germania - è già virtualmente bloccato e ormai soltanto la Bce continua a comprare titoli (in misura limitata). L'associazione delle banche europee ha suggerito agli istituti aderenti di vendere tutti i titoli pubblici dei paesi del Sud Europa detenuti in portafoglio, con le proteste delle banche italiane per una decisione che appare in effetti inaudita. La speculazione ha colpito nuovamente la Spagna e poi nuovi paesi come la Francia, l'Austria, la Finlandia. Perfino per la Germania un terzo dei titoli offerti all'ultima asta è rimasto invenduto, anche se non si tratta di una caduta della fiducia verso la solidità finanziaria di Berlino. I "voti" delle agenzie di rating sono stati rivisti al ribasso per i titoli pubblici del Belgio e per molte banche europee; varie fonti mettono in discussione il mantenimento del rating di tripla A della Francia. Le Monde del 15 novembre riferisce di uno studio su crescita, competitività e sostenibilità del debito che mette la Francia al 13° posto, giusto tra la Spagna e l'Italia, sui 17 paesi dell'euro presi in considerazione. Non è una sorpresa così che lo spread di rendimenti richiesti per i titoli di stato francesi a lungo termine abbia raggiunto giovedì 17 novembre il livello di oltre 200 punti sui bund tedeschi; siamo alla situazione in cui si trovava l'Italia pochi mesi fa. E anche in Francia, dopo due interventi del governo con misure di emergenza, sembra avviato il circolo vizioso di austerità, recessione, deficit che abbiamo sperimentato in Italia. I mercati percepiscono bene tale dinamica e agiscono di conseguenza.
Come ha risposto la politica europea? Nell'ultimo incontro dei paesi dell'eurozona le decisioni prese sono state disastrose. L'ampliamento della dotazione del fondo salva-stati sino a 1000 miliardi di euro dovrà essere realizzato, secondo Bruxelles, ricorrendo a prestiti: una dichiarazione di assenza di volontà politica di affrontare la crisi con le risorse europee che ha ulteriormente scatenato la speculazione. L'altra misura discussa al vertice di Bruxelles, il taglio del 50% del valore dei titoli pubblici greci detenuti dalle banche private, è stata interpretata come la creazione di un precedente: ora ci si può aspettare che i titoli degli altri paesi in difficoltà subiscano un ridimensionamento analogo del valore nominale e i mercati si comportano facendo esplodere i tassi d'interesse richiesti – per la Grecia siamo al 30% – che in realtà rappresentano un rimborso anticipato del capitale.
Queste tendenze, se non fermate in tempo, potrebbero portare entro breve termine al collasso del sistema dell'euro. Che cosa può succedere? Tre esiti sono possibili. Il primo scenario – ne parlava Mario Pianta sul manifesto e sbilanciamoci.info del 17 novembre 2011 – è che l'Europa garantisca collettivamente il debito pubblico dei paesi dell'area euro, il secondo è una ristrutturazione concordata dello stesso debito, il terzo è l'insolvenza generale degli stati debitori.
In assenza di interventi politici rilevanti, la crisi potrebbe prendere la seconda strada ed evolvere sul modello greco: all'escalation dei tassi d'interesse corrisponderebbe un'attesa di ristrutturazione del debito – in particolare verso le banche private - che ne ridurrebbe il valore. Ma le dimensioni del debito italiano sono tali che un'operazione di questo tipo farebbe saltare i bilanci di molte banche e istituzioni finanziarie. Forse la linea più praticabile potrebbe essere una via di mezzo tra la prima e la seconda alternativa, con l'Europa che arrivi a garantire il debito dei paesi in difficoltà previo un haircut del valore dei titoli, un taglio di una percentuale variabile a seconda della situazione degli stessi paesi.
Gli strumenti per operare con successo e allontanare gli avvoltoi della speculazione non mancherebbero, da un intervento di acquisto largo e sistematico di titoli da parte della Bce, che dovrebbe diventare più in generale un prestatore di ultima istanza come nel caso di tutti gli stati sovrani, a un'estensione delle dimensioni e del raggio di azione del fondo salva stati, all'emissione di eurobond, con una miscela più o meno variabile dei tre strumenti indicati.
Il problema è che tali strumenti possono essere attivati soltanto con l'assenso politico dei paesi del Nord Europa e in particolare della Germania e, al punto in cui si è giunti, passi di questo tipo richiedono l'avvio dell'unificazione politica del continente o, almeno, dei paesi della zona euro, come segnala anche W. Munchau sul Financial Times del 15 novembre 2011. Ad esempio, attivare gli eurobond significherebbe per la Germania pagare ogni anno una somma extra a titolo di interessi sui suoi titoli pubblici pari a 20-30 miliardi di euro in più. In assenza di un coordinamento stretto dei conti pubblici da parte di Bruxelles, permettere alla Bce e al fondo salva stati di intervenire in misura illimitata sui titoli pubblici dei paesi del Sud Europa significherebbe – dal punto di vista dei tedeschi – consentire a paesi che si sono dimostrati in passato irresponsabili, come Grecia e Italia, di rimettersi a spendere a volontà. Altri strumenti potranno essere attivati da parte della Bce, con maggiori finanziamenti – e a più lungo termine – alle banche europee che hanno in bilancio titoli pubblici "cattivi" e con un maggior ruolo della Bce nel fondo salva-stati.
Ma tutte queste misure richiedono - per avere un effetto significativo e immediato contro la speculazione – una dichiarazione politica forte che renda esplicita la volontà dell'Europa di difendere il proprio sistema monetario ad ogni costo. Proprio quella che è mancata al vertice dell'eurozona e che viene respinta dal governo di Berlino. Nella politica tedesca si apre qualche piccolo spiraglio, i gruppi dirigenti del paese, facendo il conto del dare e dell'avere, iniziano a vedere che conviene ancora salvare l'euro e prospettano una progressiva unificazione economica (e, forse, non solo economica). C'è qui la proposta di revisione dei Trattati europei che sarà annunciata da Merkel e Sarkozy al Consiglio europeo dell'8 dicembre prossimo. Le indiscrezioni di ieri parlavano di un "Trattato di stabilità europea" con controlli e sanzioni sui bilanci pubblici dell'area euro da introdurre attraverso una serie di accordi bilaterali – sul modello di quelli di Schengen sulla mobilità delle persone – in modo da accelerare al massimo l'arrivo delle nuove regole, e di aggirare completamente il ruolo della Commissione europea. Nelle voci sui cambiamenti istituzionali previsti la principale novità positiva sarebbe l'elezione diretta a suffragio universale del presidente dell'Unione.
Troppo poco e troppo tardi, forse, non solo per dare una risposta alla crisi finanziaria e per salvare l'euro, ma anche per affrontare il deficit di democrazia che ha segnato l'integrazione europea. Ci sono forse solo pochi giorni per annunciare un radicale cambio di rotta dell'Europa, e per evitare il naufragio dell'euro, un vecchio obiettivo della speculazione internazionale.

La risposta positiva dei mercati finanziari all'arrivo del governo Monti è durata pochissimo; l'Italia si trova oggi con livelli record dei tassi d'interesse che devono essere pagati sui titoli di stato: 7,8% nell'asta di venerdì scorso e 511 punti di spread rispetto ai titoli tedeschi. Ricordiamo che nel corso del 2012 l'Italia dovrà emettere circa 400 miliardi di euro di titoli pubblici che vengono a scadenza; le banche italiane, da parte loro, dovranno rimborsare finanziamenti per 200 miliardi di euro. In quali condizioni di fiducia per il nostro paese risorse finanziarie di questo tipo potranno essere raccolte?
Accanto alle incertezze sul programma del governo Monti, pesano le incertezze sulle politiche europee, e si moltiplicano le aspettative di un qualche "crollo" dell'euro. Il New York Times riferisce di come le banche internazionali si attrezzino per l'eventualità di una "rottura" dell'area euro, alleggerendo i propri portafogli dai titoli europei e facendo così scivolare le quotazioni dell'euro.
L'attacco della speculazione continua a concentrarsi contro i titoli di stato dei paesi euro. Qui il mercato – tranne il caso della Germania – è già virtualmente bloccato e ormai soltanto la Bce continua a comprare titoli (in misura limitata). L'associazione delle banche europee ha suggerito agli istituti aderenti di vendere tutti i titoli pubblici dei paesi del Sud Europa detenuti in portafoglio, con le proteste delle banche italiane per una decisione che appare in effetti inaudita. La speculazione ha colpito nuovamente la Spagna e poi nuovi paesi come la Francia, l'Austria, la Finlandia. Perfino per la Germania un terzo dei titoli offerti all'ultima asta è rimasto invenduto, anche se non si tratta di una caduta della fiducia verso la solidità finanziaria di Berlino. I "voti" delle agenzie di rating sono stati rivisti al ribasso per i titoli pubblici del Belgio e per molte banche europee; varie fonti mettono in discussione il mantenimento del rating di tripla A della Francia. Le Monde del 15 novembre riferisce di uno studio su crescita, competitività e sostenibilità del debito che mette la Francia al 13° posto, giusto tra la Spagna e l'Italia, sui 17 paesi dell'euro presi in considerazione. Non è una sorpresa così che lo spread di rendimenti richiesti per i titoli di stato francesi a lungo termine abbia raggiunto giovedì 17 novembre il livello di oltre 200 punti sui bund tedeschi; siamo alla situazione in cui si trovava l'Italia pochi mesi fa. E anche in Francia, dopo due interventi del governo con misure di emergenza, sembra avviato il circolo vizioso di austerità, recessione, deficit che abbiamo sperimentato in Italia. I mercati percepiscono bene tale dinamica e agiscono di conseguenza.
Come ha risposto la politica europea? Nell'ultimo incontro dei paesi dell'eurozona le decisioni prese sono state disastrose. L'ampliamento della dotazione del fondo salva-stati sino a 1000 miliardi di euro dovrà essere realizzato, secondo Bruxelles, ricorrendo a prestiti: una dichiarazione di assenza di volontà politica di affrontare la crisi con le risorse europee che ha ulteriormente scatenato la speculazione. L'altra misura discussa al vertice di Bruxelles, il taglio del 50% del valore dei titoli pubblici greci detenuti dalle banche private, è stata interpretata come la creazione di un precedente: ora ci si può aspettare che i titoli degli altri paesi in difficoltà subiscano un ridimensionamento analogo del valore nominale e i mercati si comportano facendo esplodere i tassi d'interesse richiesti - per la Grecia siamo al 30% - che in realtà rappresentano un rimborso anticipato del capitale.
Queste tendenze, se non fermate in tempo, potrebbero portare entro breve termine al collasso del sistema dell'euro. Che cosa può succedere? Tre esiti sono possibili. Il primo scenario – ne parlava Mario Pianta sul manifesto e sbilanciamoci.info del 17 novembre 2011 – è che l'Europa garantisca collettivamente il debito pubblico dei paesi dell'area euro, il secondo è una ristrutturazione concordata dello stesso debito, il terzo è l'insolvenza generale degli stati debitori.
In assenza di interventi politici rilevanti, la crisi potrebbe prendere la seconda strada ed evolvere sul modello greco: all'escalation dei tassi d'interesse corrisponderebbe un'attesa di ristrutturazione del debito – in particolare verso le banche private – che ne ridurrebbe il valore. Ma le dimensioni del debito italiano sono tali che un'operazione di questo tipo farebbe saltare i bilanci di molte banche e istituzioni finanziarie. Forse la linea più praticabile potrebbe essere una via di mezzo tra la prima e la seconda alternativa, con l'Europa che arrivi a garantire il debito dei paesi in difficoltà previo un haircut del valore dei titoli, un taglio di una percentuale variabile a seconda della situazione degli stessi paesi.
Gli strumenti per operare con successo e allontanare gli avvoltoi della speculazione non mancherebbero, da un intervento di acquisto largo e sistematico di titoli da parte della Bce, che dovrebbe diventare più in generale un prestatore di ultima istanza come nel caso di tutti gli stati sovrani, a un'estensione delle dimensioni e del raggio di azione del fondo salva stati, all'emissione di eurobond, con una miscela più o meno variabile dei tre strumenti indicati.
Il problema è che tali strumenti possono essere attivati soltanto con l'assenso politico dei paesi del Nord Europa e in particolare della Germania e, al punto in cui si è giunti, passi di questo tipo richiedono l'avvio dell'unificazione politica del continente o, almeno, dei paesi della zona euro, come segnala anche W. Munchau sul Financial Times del 15 novembre 2011. Ad esempio, attivare gli eurobond significherebbe per la Germania pagare ogni anno una somma extra a titolo di interessi sui suoi titoli pubblici pari a 20-30 miliardi di euro in più. In assenza di un coordinamento stretto dei conti pubblici da parte di Bruxelles, permettere alla Bce e al fondo salva stati di intervenire in misura illimitata sui titoli pubblici dei paesi del Sud Europa significherebbe – dal punto di vista dei tedeschi – consentire a paesi che si sono dimostrati in passato irresponsabili, come Grecia e Italia, di rimettersi a spendere a volontà. Altri strumenti potranno essere attivati da parte della Bce, con maggiori finanziamenti – e a più lungo termine – alle banche europee che hanno in bilancio titoli pubblici "cattivi" e con un maggior ruolo della Bce nel fondo salva-stati.
Ma tutte queste misure richiedono – per avere un effetto significativo e immediato contro la speculazione – una dichiarazione politica forte che renda esplicita la volontà dell'Europa di difendere il proprio sistema monetario ad ogni costo. Proprio quella che è mancata al vertice dell'eurozona e che viene respinta dal governo di Berlino. Nella politica tedesca si apre qualche piccolo spiraglio, i gruppi dirigenti del paese, facendo il conto del dare e dell'avere, iniziano a vedere che conviene ancora salvare l'euro e prospettano una progressiva unificazione economica (e, forse, non solo economica). C'è qui la proposta di revisione dei Trattati europei che sarà annunciata da Merkel e Sarkozy al Consiglio europeo dell'8 dicembre prossimo. Le indiscrezioni di ieri parlavano di un "Trattato di stabilità europea" con controlli e sanzioni sui bilanci pubblici dell'area euro da introdurre attraverso una serie di accordi bilaterali – sul modello di quelli di Schengen sulla mobilità delle persone – in modo da accelerare al massimo l'arrivo delle nuove regole, e di aggirare completamente il ruolo della Commissione europea. Nelle voci sui cambiamenti istituzionali previsti la principale novità positiva sarebbe l'elezione diretta a suffragio universale del presidente dell'Unione.
Troppo poco e troppo tardi, forse, non solo per dare una risposta alla crisi finanziaria e per salvare l'euro, ma anche per affrontare il deficit di democrazia che ha segnato l'integrazione europea. Ci sono forse solo pochi giorni per annunciare un radicale cambio di rotta dell'Europa, e per evitare il naufragio dell'euro, un vecchio obiettivo della speculazione internazionale.

Tratto da www.ilmanifesto.it