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Come cambia l’Italia del referendum

14/06/2011

Questo referendum, forse, rimarrà nella storia come quello sul divorzio del 1974: uno spartiacque, una grande e positiva sorpresa che dimostra che il Paese è cambiato, sotto tanti aspetti: è cambiato il modo di pensare, è cambiata la società ed è cambiato il modo di fare politica. I quesiti sull’acqua dimostrano che il trentennio conservatore italiano può finire perché la popolazione non crede più che “privato è bello” per forza. Insieme a quello sul nucleare, questi quesiti dimostrano che oramai c’è una coscienza ambientalista e a favore della tutela dei beni comuni diffusa e che anche i politici di centrodestra, se vogliono rimanere in sella, devono dimostrare di essere sensibili su questi temi. Il successo del referendum sul legittimo impedimento chiarisce che, nonostante 18 anni di berlusconismo, il Paese non si è non si è fatto convincere dall’idea che gli “eletti dal popolo”siano sciolti dalla legge. Ma tutto questo è niente in confronto al cambiamento che c’è stato nella società e nel modo di fare politica.

 

1. Nell’ “anno zero” del 2008, con la destra trionfante e una parte della sinistra sparita dal parlamento e in via di disaggregazione l’unica ricchezza a disposizione sembrava essere quella dell’alta abitudine alla partecipazione da parte di una fetta consistente degli italiani. Nonostante la debolezza dei partiti, la divisione tra i sindacati, la graduale sparizione della stampa di sinistra, l’emarginazione della sinistra televisiva e l’indebolimento di tutto ciò che è pubblico (impiegati pubblici messi alla gogna, attacchi alla scuola, alla sanità e all’università, per non parlare della lotta ai magistrati) l’ultimo anno è stato segnato da importanti mobilitazioni con una partecipazione che nel resto d’Europa si vede di rado: la raccolta di firme per questi referendum (la più alta di sempre) è stato l’inizio, poi le donne, gli studenti, i ricercatori sui tetti, i lavoratori licenziati o cassaintegrati, le manifestazioni per la costituzione e quindi la vittoria alle amministrative anche grazie al ritorno al voto di molti elettori di sinistra (ne parlammo qui) e infine il primo referendum che passa il quorum dopo 15 anni. Nell’Italia del 2011, come nell’America del 2008, si vince allargando e organizzando la partecipazione di fette di cittadini che prima ne erano esclusi. E poi, la sinistra politica non era nata proprio per questo più di un secolo fa? Nel disegnare nuove forme organizzative, l’obiettivo dell’allargamento e della strutturazione della partecipazione dovrà essere uno dei primi obiettivi.

 

2. La stragrande maggioranza delle reti televisive italiane assomiglia in maniera grottesca a quella della Germania Est che si vede nel film “Good Bye Lenin”: una velina del potere, tanto patetica da poter essere facilmente sbeffeggiata. Con questa TV dove la fa da padrone, il governo ha prima perso le amministrative e poi i referendum che aveva fatto di tutto per nascondere. E’ presto per dire che è finita l’era televisiva – e bisognerà continuare a riflettere su come fare televisione, a partire dalle fiction oltre che dai TG – ma è vero che oramai non sono più l’unico mezzo di informazione. Senza Facebook e la galassia dei blog, senza le possibilità di costruire e rafforzare reti grazie ad internet forse questa campagna non ci sarebbe potuta essere. La destra di oggi, molto più intollerante, becera e rancorosa di quella del 1994, è antropologicamente incapace di avere successo nel mondo orizzontale, globale e partecipativo della rete. E anche in TV, i dati dell’Auditel ci dicono che il Paese è cambiato: basti ricordare “vieni via con me” che batte il Grande Fratello soprattutto tra i telespettatori giovani.

 

3. Il mitico nord che la “sinistra non capisce” (lo dicevano anche tanti leader di centrosinistra) ha trainato la partecipazione al referendum. La società è cambiata: per anni è stata inseguita una questione settentrionale fatta di partite IVA che vogliono solo evadere le tasse, “gente che lavora” che non vuole sobbarcarsi il sud, cittadini impauriti dagli immigrati. E invece, le amministrative prima e il referendum poi, ci raccontano di un nord diverso: dove è cresciuto il lavoro dipendente “operaio” e che ora è minacciato dalla crisi e dalle delocalizzazioni, non dagli immigrati mussulmani; dove il lavoro autonomo (ne parlammo qui) è fatto anche di lavoratori creativi, nuove imprese che si occupano di ambiente, sostenibilità, “economia del noi”; dove la parola “territorio” non indica più una comunità escludente ma l’amore per l’ambiente e la cultura che ci circondano; dove vivono sempre più persone che per lavoro o per studio si confrontano con l’estero e con le idee, gli stili di vita e la cultura che da lì provengono. Non che il “vecchio nord” sia scomparso, ma ora è più difficile dire che sia la maggioranza di questa parte del paese.

 

4. Le amministrative e i referendum di questa primavera, forse, rappresentano i primi esempi di “campagne elettorali del XXI secolo”: il vasto utilizzo della Rete per costruire l’organizzazione, per trasmettere informazioni e indire iniziative; l’orizzontalità della comunicazione associata ad una grande capacità di disciplinare il messaggio; il collegamento tra quello che si dice e quello che si fa, con le botteghe del commercio equo, i negozi “kilometro zero” e i gruppi di acquisto solidale che sono stati gli avamposti sul territorio, le “sezioni” del XXI secolo; la mobilitazione di tantissimi giovani ma anche il ritorno alla politica di tante e tanti “giovani pensionate/i” con le loro conoscenze organizzative. Dietro a questo, un grande lavoro di elaborazione politica in forma diffusa. Tutto ciò, va detto, non può essere usato “contro i partiti”: prima di tutto perché 2 quesiti su 4 sono stati organizzati da un partito, l’Italia dei Valori; in secondo luogo, perché un altro partito come SEL ha svolto un ruolo importante per tutta la durata della campagna; infine, perché senza l’impegno del Partito Democratico non ci sarebbe stata una parte importante della campagna fuori dalla rete – basti provare a sovrapporre i dati dell’affluenza con quelli dei voti al PD. Nonostante i cattivi consigli di una parte del suo partito (ne parlammo qui), Bersani ha dimostrato di aver capito che qualcosa sta cambiando. Cambierà anche il PD?

 

5. Questo referendum cade nel decennale di Genova e forse ne rappresenta l’onda lunga: è lì che si cominciò a divulgare e discutere l’idea dei beni comuni ed è lì che una parte della generazione che oggi ha tra i 20 ed i 40 anni ha cominciato a fare politica. Parecchi anni dopo la fine della guerra fredda e del comunismo: i temi che ancora oggi caratterizzano le biografie e le posizioni di una parte consistente della classe dirigente sia del centrodestra che del centrosinistra.

 

Proprio in questa parte politica per molti anni si è dibattuto della “leadership” dimenticando cosa vuol dire “dirigere”: essere avanti rispetto a quelli che si vogliono rappresentare, condurre una battaglia di idee, aggregare coalizioni sociali e poi condurle verso degli obiettivi realistici. Questi referendum, la cui importanza all’inizio non fu compresa dai dirigenti del PD, hanno svolto una funzione di leadership al contrario: hanno costretto il maggiore partito d’opposizione a schierarsi (e a cambiare idea su pezzi importanti del suo programma) ma hanno spinto anche molti eletti del centrodestra e la Chiesa a schierarsi e a venire su posizioni più progressiste. Forse è finito un trentennio: sono finiti gli anni ’80 dell’individualismo amorale craxiano prima e berlusconiano poi, ma potrebbe essere finita anche la fase in cui il centrosinistra, per essere “credibile”, accettava l’agenda della destra e ne era culturalmente subalterno. Sarà più difficile ora dire di nuovo che essere moderni vuol dire fare le privatizzazioni, il nucleare e il partito televisivo. C’è una nuova maggioranza di italiani che chiede un’agenda nuova e che ha già cambiato l’ordine del discorso. Costruire un’alternativa credibile a questo trentennio rimane, però, una sfida non facile.

 

(Italia2013)

Tratto da italia2013.org