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Siamo fermi a Fermi. Cronache dalla sapienza
"Lo vede questo? È fermo da un anno, un guasto tecnico. Servono 40 mila euro per ripararlo, e non ce li abbiamo..." Dipartimento di Fisica dell'università La Sapienza di Roma, cuore pulsante della protesta di studenti, post-studenti, dottorandi, ricercatori, docenti. Mario Capizzi, professore di fisica dei semiconduttori, mostra desolato l'apparecchio che giace in un angolo del laboratorio di Ottica. È un criostato a campo magnetico, serve per misurare alcune proprietà fisiche delle nanostrutture. Niente di eccezionale, ma una macchina basilare. "Ci hanno fatto una quantità di lavori, tutti pubblicati su riviste internazionali. Ora è fermo. Non è che lo vogliamo nuovo, ci basterebbe poterlo aggiustare". Invece non possono. La manutenzione costa, non tantissimo ma comunque troppo, per gli scarsi fondi che l'università ha per la sua ricerca.
Anche qui, nel tempio della fisica italiana, dove qualche giorno fa si è celebrato il centenario della nascita di Edoardo Amaldi, l'uomo che la fisica italiana l'ha ricostruita nel dopoguerra, dopo l'esodo tragico dei ragazzi di via Panisperna. La celebrazione è avvenuta nella stessa aula nella quale fino a qualche ora prima gli educatissimi occupanti avevano dormito: hanno ripulito tutto per far entrare gli invitati. E far capire perché, proprio qui, hanno deciso di dire basta.
Accanto al malmesso criostato, arriva Antonio Polimeni, ricercatore. "Anni fa ci è successa una cosa analoga nel laboratorio inglese dove facevo il post-dottorato. Si è rotto un laser, un problema per i progetti di ricerca. Una letterina del capo della struttura, e dopo un po' è arrivata la macchina nuova". I confronti internazionali sono impietosi e umilianti, per chi qui è tornato per scelta e anche per orgoglio. Certo non per soldi. "Con la mia borsa post-doc, nel Regno Unito guadagnavo il doppio di quanto prendo qui da ricercatore". 1.050 euro al mese lo stipendio di partenza, per i tre anni 'di prova', poi si sale fino a 1.300-1.400.
Ma fosse solo lo stipendio, il problema. "Quest'anno siamo invitati in Giappone e a Vilnius per presentare le nostre ricerche, ma stiamo valutando se andare, o risparmiarci i soldi del viaggio, 2-3 mila euro, potrebbero tornare utili qui, e pazienza per la mancata presentazione mondiale". Il fatto è che, dal 2000 a oggi, "abbiamo avuto il 35 per cento di soldi in meno", annuncia secco secco il capo del Dipartimento di Fisica, Giancarlo Ruocco. Il che vuol dire: visto che gli stipendi si devono pagare e le bollette pure, tiriamo la cinghia sulla manutenzione.
Tolleriamo le mura scrostate, cerchiamo di non far rompere niente. Ma quando qualcosa si rompe, sono dolori per chi fa ricerca sperimentale.
Meno afflitti dai problemi dei laboratori, i fisici teorici hanno però tutti gli altri. A partire da quello numero uno: come, quando e dove si comincia a fare ricerca. "Io ho cominciato qui a Roma con il dottorato, dopo la laurea a Pavia, poi ho fatto il post-dottorato a Oxford e a Parigi, due anni più due". Irene Giardina, che per mestiere studia la Meccanica statistica dei sistemi disordinati, credeva di aver risolto gran parte dei suoi problemi quando l'hanno fatta tornare a Roma nell'ambito del programma 'rientro dei cervelli': un contratto a termine, ma di alto livello. O almeno così pensava.
Poi però ha scoperto che quel contratto la lasciava nel vuoto al momento della maternità: forse ritenevano che il cervello tornasse senza corpo al seguito. Dunque, ha tentato un'altra strada: concorso (vinto) per un altro contratto all'Istituto nazionale di Fisica della Materia, che poi però è stato accorpato al Cnr complicando non poco tutta la procedura. Al termine della quale, è stata valutata e assunta. Non così il suo compagno di stanza Andrea Cavagna, che dopo identica lunga storia di concorsi vinti, università internazionali e pubblicazioni a go-go, è 'entrato' usufruendo della legge per la stabilizzazione dei precari: "Cosa che mi rende abbastanza triste".
"La cosa che ci fa più soffrire è la mancanza di valutazione del merito di quel che facciamo", rincara la dose Andrea Gabrielli. Anche lui è tornato in Italia rimettendoci mezzo stipendio, come gli altri suoi colleghi. Ma questa, pur essendo una nota dolente, non è la questione peggiore: "Il peggio è che, se per esempio abbiamo un progetto di ricerca finanziato, sul quale possiamo chiamare anche gente dall'estero, qui non viene nessuno perché non possiamo pagarli più del nostro livello", dice Cavagna, "e questo per motivi burocratici, persino se abbiamo i fondi".
Ecco perché qui da noi non viene nessuno. Ecco perché molti se ne vanno. "L'anno scorso al Cnr francese, su sette giovani ricercatori in fisica assunti, ben quattro erano italiani", racconta Francesco Sylos Labini, che precisa: "Ah, lì per 'giovani' intendono sotto i 30". Anche Francesco è tornato dopo otto anni e adesso è ricercatore a contratto, provvisorio, presso il Centro Fermi. Centro prestigioso, che dovrebbe tornare nella storica palazzina di via Panisperna: per ora è occupata da uffici del Viminale. Servizi segreti, dicono.
Tra i dipendenti diretti e quelli di enti collegati, sono circa 170 i ricercatori che fanno capo al Dipartimento di Fisica. Poi ci sono tutti quelli che non sono ancora dentro, e forse non lo saranno mai, ma che di fatto fanno ricerca a Fisica: una quarantina di borsisti, 90 dottorandi. E tutti i giovanissimi che aspirano alla carriera più difficile del momento. "Adesso abbiamo circa 280 immatricolati all'anno, e quasi tutti alle prime interviste dicono che vogliono diventare ricercatori", spiega Giancarlo Ruocco.
Di quei 280, mediamente arriva alla laurea più della metà, e moltissimi di loro hanno le potenzialità per restare a far ricerca. Arrivano al dottorato, anche al post-dottorato, ma poi "trovano un collo di bottiglia". In quel taglio del 35 per cento, necessariamente finiscono anche le spese per assegni di ricerca e borse. Ma non è solo quello il problema. Di tutte le materie, Fisica è stata quella più avara nel ricambio universitario: a livello nazionale solo il 2 per cento dei nuovi concorsi, dal '99 al 2007. Il 98 per cento è stato per promozioni: da ricercatore ad associato, da associato a ordinario. Roma non ha fatto eccezione alla triste regola: "Negli ultimi dieci anni ne sono entrati al massimo una decina", ammette Ruocco. Colpa di chi? "Dobbiamo fare un'autocritica: da quando si è passati dal concorso nazionale a quello locale, le promozioni interne sono state preferite alle assunzioni dei giovani, e anche i passaggi da un'università all'altra sono stati rarissimi".
Un meccanismo letale, soprattutto perché associato ai tagli dei finanziamenti dei progetti nazionali: "Così, ci stiamo giocando una generazione di studenti".
E la prossima, quella che è appena entrata? È poco più in là, sparsa nelle aule dell'università 'occupata ma aperta'. Dove con ordinatissimi grafici e tabelle, i più giovani organizzano tempi e luoghi della protesta: una giornata dell'accoglienza per i bambini delle elementari (pronto per tutti l'adesivo da mettere sulle magliette, prima di iniziare l'esplorazione tra le meraviglie della scienza ), cortei in bici e a piedi, recuperi in piazza delle lezioni saltate nelle aule, seminari a tema sul famigerato 133.
Il decreto che fa piovere sul bagnato, che taglia altri soldi e chiude altre porte. Perché il problema è Tremonti-Gelmini, ma anche tutto quello che c'è stato, e non c'è stato, prima di loro. Tutto quello che, per dirla con Luciano Pietronero, fisico della materia, rientrato dopo una brillante carriera internazionale, ha negato "serietà e competenza, che nella politica universitaria sono più importanti dei finanziamenti". Più che i tagli, dice Pietronero, "mi umilia il senso di disprezzo" verso la ricerca; il fatto che "la scienza venga vista come un hobby dei professori, un lusso, un gioiello. Ed è chiaro che, se la consideri un sovrappiù, è la prima cosa che tagli al momento del bisogno" .
(articolo pubblicato sull'Espresso del 30/10/2008)