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I greci, i porcelli e il tamburo di latta
Nell’Odissea Ulisse salva i suoi compagni (e se stesso) da Circe con l’aiuto di Hermes; chi salverà la Grecia e gli altri porcelli o pigs (Portogallo, Spagna, Irlanda o Italia o tutte e due)? Il fatto è che all’epoca del Trattato di Maastricht, e ancora dopo la crisi dei primi anni duemila, la visione dominante era che i problemi dell’area euro potessero venire solo dall’incontinenza porcina del bilancio pubblico, dalle promesse eccessive dei politici in termini di welfare state, dagli stipendi troppo generosi ai pubblici dipendenti. Quindi niente meccanismi di perequazione automatici a favore degli Stati in difficoltà, come avviene negli USA; vietato pensare di utilizzare le ingenti risorse della BCE per creare un fondo per situazioni di emergenza, ma piuttosto divieti di acquisto in asta dei titoli pubblici, indipendenza assoluta della banca centrale (con l’unico compito di controllare l’inflazione), faccia feroce ai deficit (pubblici, mentre le banche potevano indebitarsi a piacimento).
E’ accaduto invece ciò che non sarebbe mai dovuto accadere, ed i debiti pubblici di tutti i paesi sono lievitati. Per la Grecia, dove, in pochi anni dopo l’entrata nell’euro, il rapporto debito-Pil era sceso sotto il 100%, per il 2010 si prevede un rapporto al 125% per il debito e 11% per il deficit; per gli altri porcelli abbiamo nella prima colonna sia i livelli al 2010 che gli incrementi dovuti ai tre anni di crisi.
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Debito pubblico 2010 in percentuale sul Pil |
Punti percentuali di incremento 2007-2010 |
Irlanda |
79,7 |
55 |
Italia |
116,1 |
12 |
Portogallo |
81,5 |
18 |
Spagna |
62,3 |
26 |
Cifre impressionanti, non c’è dubbio, ma i porcelli sono in buona compagnia: gli ultimi anni si sono registrati incrementi che vanno dai 14 punti della Germania, ai circa 27 per UK, USA e Giappone. Questi aumenti dei debiti pubblici costituiscono il costo della crisi finanziaria e la grande maggioranza degli osservatori ritengono che senza i deficit pubblici avremmo avuto una completa replica della grande depressione.
Per i quattro membri dell’ex “club med”, come venivano chiamati i paesi mediterranei dell’euro, cui si è aggiunta di recente la ex “tigre celtica”, i dubbi dei mercati finanziari riguardano la possibilità di bloccare il processo di auto alimentazione del debito, visto la perdita di competitività, l’alta disoccupazione, lo scoppio delle bolle immobiliari e finanziarie. In questo momento la Grecia è in prima linea, grazie ad un ingente ammontare di debito da emettere (circa 5% in percentuale sul Pil), e ad un peggioramento dei dati di bilancio pubblico avvenuti negli anni duemila, dopo l’entrata nell’euro, prima quindi dello scoppio della crisi; ed infine grazie anche alle rivelazioni circa manovre piuttosto disinvolte di finanza creativa a base di swaps e cartolarizzazioni; il tutto ha portato la Grecia nel mirino della speculazione finanziaria, alimentata dal denaro a buon mercato offerto dalla politica monetaria.
Sul che fare, si è letto di tutto e di più, con una larga partecipazione degli economisti, che si sono schierati a sostegno di tutte le posizioni. Le possiamo riassumere in quattro gruppi:
a) se la sbrighi la Grecia, e se non ci riesce e va in default non è un problema; cosa sono 300 miliardi di euro?
b) la Grecia deve rivolgersi al FMI che serve proprio in casi del genere, ed ha una grande esperienza;
c) bisogna permettere una fuoriuscita – magari temporanea – dall’euro che permetta una svalutazione (competitiva) e quindi un nuovo ingresso;
d) deve intervenire l’Europa, o meglio i paesi dell’euro, per sostenere politicamente e finanziariamente la Grecia; molti aggiungono che si pone poi un problema di politica economica e un salto di qualità dell’Unione Europea.
La posizione più ragionevole è certamente quest’ultima. La prima sarebbe una manna per le banche, gli edge fund e tutti gli altri speculatori; gli spread per gli altri porcelli aumenterebbero, tornando al livello di metà 2009, o anche più su. Il ricorso al FMI non tiene conto di un fatto banale: la Grecia non solo è membro dell’UE, ma dell’euro. Oltre a suggerire tagli massicci della spesa pubblica e qualche aumento di imposte, (1) potrebbe il FMI suggerire anche una bella stretta monetaria? Ovviamente no.
La terza ipotesi è quella più creativa, ma ha due problemi: il primo è che sembra che i trattati esistenti non la permettano; il secondo è che un eventuale successo dell’operazione sarebbe fatale per l’euro. Supponiamo infatti che la Grecia svalutando rilanci le esportazioni, l’economia e risani il bilancio; perché gli altri paesi porcelli non dovrebbero voler fare lo stesso? Cosa impedirebbe ad un qualunque paese dell’UE di entrare nell’euro in modo da abbassare il costo del debito, e poi eventualmente uscire quando opportuno?
In realtà il vero problema è che nel momento in cui è stato creato l’euro e si è posto fine alle svalutazioni competitive, era necessario porsi il problema del tasso di crescita dell’economia europea nel lungo periodo; è il problema che si era posto Jacques Delors con il suo Libro Bianco del 1993, ed è il problema che la Germania, in particolare, si rifiuta di ammettere. Ha scritto efficacemente Carlo Bastasin (Il Sole 24 Ore, 21-02) “..il problema greco è l’immagine speculare del problema tedesco”. Una politica tutta basata sulla deflazione interna – tagli di spesa pubblica in particolare – prima di rilanciare le esportazioni attraverso drastiche riduzioni del costo del lavoro, può innescare un processo di peggioramento del bilancio e portare alla crisi finanziaria.
La Germania ha da poco introdotto un vincolo di bilancio in pareggio nella sua Costituzione, per quanto accompagnata da espressioni quali “salvo situazioni eccezionali”. Se i tedeschi non hanno nessuna intenzione di cambiare la loro tradizionale politica export led, l’unica speranza, peraltro molto vaga, è che accettino un ruolo propulsivo dell’Unione come tale, come prefigurava Delors. Questo significa quanto meno quintuplicare le risorse destinate all’UE; le probabilità sono scarsissime, ma, è noto, la speranza è l’ultima dea.
Nota
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1) Sembra che, durante una riunione del Pasok, il ministro delle finanze Papacostantinou abbia detto che se la Grecia avesse chiesto aiuto al FMI i greci avrebbero dovuto fare tutti i sacrifici chiesti da Bruxelles, ma almeno avrebbero incassato 30 miliardi.