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Banche sotto sequestro a Milano

Banche sotto sequestro a Milano

01/05/2009

La Procura di Milano, il 27 aprile, ha sequestrato la sede cittadina della banca Jp Morgan, ha acquisito il controllo del 25% della spa italiana di Deutsche Bank e 8 milioni di euro dai conti di Depfa Bank (nella foto d'apertura il campanello della sede in un palazzo del centro di Milano, senza insegne). Gli istituti sono indagati per truffa ai danni del Comune di Milano nella ri-negoziazione del debito di Palazzo Marino con prodotti finanziari "derivati".
Depfa Bank è anche una delle tre "regine" italiane del project financing, attraverso il quale privati e banche entrano nel ricco affare dei lavori pubblici dei Comuni, cui abbiamo dedicato un'inchiesta sul numero 103 di Ae (che pubblichiamo di seguito).

*********
Progetti di profitto
Il Comune di Pineto, 13mila abitanti in provincia di Teramo, ha bandito una gara per affidare la progettazione e la realizzazione del nuovo porticciolo turistico e per la piccola pesca mediante un meccanismo che si chiama project financing. L’importo dei lavori è di 17 milioni di euro, compreso un contributo pubblico di circa due.
Project financing (pf) significa che l’opera pubblica verrà finanziata dal capitale privato, e dalle banche, e che le società che vinceranno la gara otterranno poi in concessione la gestione dei posti barca realizzabili, che sono 660. Solo il 20% dovranno essere ceduti gratuitamente al Comune per essere destinati a finalità istituzionali o alla successiva assegnazione a privati.
La “finanza di progetto” è un modo di finanziare gli investimenti arrivato in Italia con la legge Merloni ter, la n. 415 del 1998. Oggi è regolato dal terzo decreto correttivo del Codice dei contratti pubblici (il decreto legislativo 152/2008). Lo scorso anno sono stati approvati in tutto 392 progetti in pf, tra opere pubbliche e private, per un valore complessivo di 144,5 miliardi di euro (quasi il triplo dal 2005).
Autostrade (come la Broni-Mortara, vedi il servizio a p. 34), metropolitane (le nuove linee di Roma e Milano), parcheggi, inceneritori e acquedotti (vedi il box a p. 20) ormai si finanziano quali solo col project financing. Negli ultimi anni, però, il meccanismo ha conquistato anche i piccoli Comuni: strangolati dal “patto di stabilità” e dai tagli di trasferimenti dal Governo centrale agli enti locali, fanno ricorso al pf anche per costruire asili, impianti di illuminazione pubblica e cimiteri. Basta scorrere l’elenco dei bandi pubblicati nel mese di febbraio: oltre al porticciolo di Pineto, c’è il nuovo polo scolastico di Montoro Superiore (Av), un asilo nido e una comunità protetta del Comune di Bergamo.

Può accadere, anche, che un project financing risponda alle esigenze delle imprese promotrici prima che a quelle dell’ente locale. C’è un rischio: nella logica del pf può cambiare in modo radicale la genesi di molte opere pubbliche. Non è il progetto che risponde a un bisogno, ma c’è un bisogno indotto dalla presentazione di un nuovo progetto (come raccontiamo, a pagina 20, descrivendo il nuovo cimitero di Cesano Boscone). Gli enti locali “rinunciano” a una spesa ma anche a un flusso di cassa, perpetuo e continuativo, come il canone d’iscrizione all’asilo o l’acquisto degli spazi per le tumulazioni cimiteriali. I privati che finanziano un’opera pubblica guadagnano grazie ai canoni di concessione.
Il project financing, però, è un affare anche per le banche private, che in questo modo legano a sé le pubbliche amministrazioni e hanno sostituito la Cassa depositi e prestiti -l’ente pubblico che per 150 anni ha garantito l’erogazione di prestiti agli enti locali, utilizzando come canale di finanziamento il risparmio postale, trasformato in spa nel 2003 e oggi parzialmente privatizzato: il 70% delle azioni sono del ministero dell’Economia, il 30% di numerose fondazioni bancarie-.
Nel 2008, una trentina di banche hanno concesso finanziamenti al project financing per 29 miliardi di euro. 8,1 miliardi sono finiti alle sole opere pubbliche, il 60% concesso da Dexia Crediop, Banca infrastrutture innovazione e sviluppo e Depfa (vedi box sotto).
Sono banche che lavorano in Italia, sì. Ma se non avete mai visto in giro i loro sportelli non spaventatevi. Semplicemente, non ne esistono. Non ne hanno bisogno, e nemmeno di spendere milioni di euro in pubblicità: i loro clienti sono solo Comuni, Province, Regioni e lo Stato. L’approccio è “diretto”: spesso, un invito a cena o in un hotel a cinque stelle per l’assessore al Bilancio del Comune.
L’unico nome che avete riconosciuto è, probabilmente, quello di Depfa, finito sulle prime pagina dei giornali in seguito allo scandalo dei derivati del Comune di Milano (ne parliamo a p. 21). Depfa, che in Italia ha finanziato progetti pubblici in project financing per 930 milioni di euro, sopratutto nel settore dei servizi idrici e delle strade, ha la sua sede principale a Dublino. È in Italia dal 2003, e ha due uffici a Milano e Roma.
Da Depfa dipendono gli investimenti nella rete idrica di Pisa e Pistoia (l’Ato 2 toscano, vedi Ae 89) e della provincia di Latina. Questo spaventa: Depfa dall’ottobre del 2007 è controllata al 100% da Hypo Real Estate e il gruppo oggi sta affrontando una grave crisi economica, tanto che il governo tedesco sta pensando a una sua nazionalizzazione.

Il nome di Depfa compare anche nella relazione della Corte dei Conti “sulla gestione dei debiti accollati al bilancio dello Stato contratti da Fs, Rfi, Tav e Infrastrutture spa per infrastrutture ferroviarie e per la realizzazione del sistema ‘Alta velocità’”. Infrastrutture spa ha sottoscritto con Depfa un derivato da un miliardo di euro, con scadenza nel 2045, un debito che oggi grava sulle casse dello Stato. Analizzando “il caso Tav”, la Corte dei Conti pone l’accento sui rischi del project financing all’italiana: “Mentre di regola, il cattivo esito di un project ricade sugli investitori privati (come la vicenda dell’Eurotunnel, che è gravata sui risparmiatori e sulle banche), nel caso di specie (la Tav, ndr) detto onere è gravato interamente sullo Stato”. Invece di fermare la corsa, però, si studiano nuovi modelli: dietro il project financing spunta il public private partnership, anche per gli enti locali.

 

Una gara a tre
Trentatré gli istituti di credito che si dedicano al project financing in Italia, e di questi 10 sono stranieri.
Secondo la Guida agli operatori del project finance, pubblicata a fine gennaio da Finlombarda spa, la finanziaria per lo sviluppo della Regione Lombardia, la regina dei finanziamenti concessi per le opere pubbliche -che oggi pesano per il 27,9% sul totale del project financing, più 33,9% nell’ultimo anno- si chiama Dexia Crediop. La banca è anche il secondo operatore per volume di finanziamenti concessi, dopo Unicredit (che guida la classifica con 6,3 miliardi di euro). È controllata da Dexia Crédit Local, banca nata dalla fusione Crédit Local de France e il Crédit Communal de Belgique (le omologhe della nostra Cassa depositi e prestiti) e della Banque Internationale à Luxembourg.
Della compagine azionaria di Dexia Crediop spa fanno parte anche Banca Popolare di Milano, Banco Popolare (l’ex Banca popolare di Lodi) e la Banca popolare dell’Emilia Romagna (attraverso la società Em. Ro. Popolare Società Finanziaria di Partecipazioni spa).
Il secondo tra i partner privilegiati delle pubbliche amministrazioni, con 1,48 miliardi di euro, è Banca infrastrutture innovazione e sviluppo spa (Biis).
Nata nel 2008, fa capo a Intesa-Sanpaolo.
Terza viene Depfa, il cui nome, alla lettera, significa Deutsche Pfandbrief Bank.
I “Pfandbrief”, dal 1769, sono lettere di pegno che le banche emettono per finanziare il settore pubblico. Nata nel 1922, la banca è stata di proprietà del governo tedesco fino alla privatizzazione, alla fine del 1989. Nel giugno 2002, per sfuggire alle maglie del fisco tedesco ha spostato la propria sede in Irlanda, a Dublino, un Paese a fiscalità agevolata (ma ha sedi anche in un paradiso fiscale, il Jersey, secondo il sito transnationale.org). Dall’ottobre del 2007 è controllata al 100% di Hypo Real Estate Group.

 

L'acqua della banca
La favola della banca irlandese e del piccolo Comune di Itri, meno di 10mila abitanti in provincia di Latina, non ha lieto fine. I protagonisti sono Acqualatina, la società a capitale pubblico-privato che gestisce il servizio idrico integrato nei comuni del Lazio meridionale, e Depfa Bank, con cui la prima ha firmato un contratto di project financing. In cambio di un finanziamento di 114,5 milioni di euro, sottoscritto nel 2007, la banca irlandese ha preteso però un “pegno d’azioni”, pari al 67% del capitale di Acqualatina spa. Il 49% è la quota privata (in carico alla società Idrolatina), ma in pegno sono finite anche il 18% delle azioni in mano dei comuni. Come quello di Itri, che ha sottoscritto con Depfa un “atto costitutivo di pegno d’azioni”.
Il rischio, spiega Alberto De Monaco, del Comitato difesa acqua pubblica di Aprilia (Lt), è che “la governance della società passi di mano, alla banca. Perché se non ci fossero flussi di cassa, in grado di ripagare il finanziamento, Depfa potrà sostituirsi ai soci pubblici e privati nell’assemblea della società. E in una spa chi controlla i 2/3 del capitale può far passare ogni decisione”.
Info: www.acquaprilia.altervista.org

 

Nessuna letizia per le casse
Sedici avvisi di garanzia sono l’ultimo atto (registrato a metà febbraio 2009) della novella dei “derivati a Milano”. Una storia esemplare di finanza sfuggita di mano a un ente locale con la complicità di 4 banche: Deutsche Bank, Ubs, Jp Morgan e Depfa.
L’attore, non protagonista, è il Comune di Milano, che nel 2005 decise di rinegoziare vari mutui, contratti con numerose banche e con la Cassa depositi e prestiti, per un valore complessivo di 1,685 miliardi di euro.
Con l’obiettivo di trasformare 130 contratti a tasso variabile in un unico contratto a tasso fisso, da rimborsare solo nel 2035, la Giunta del sindaco Gabriele Albertini si fece guidare per mano da Deutsche Bank, Ubs, Jp Morgan e Depfa.
Secondo l’analisi di fattibilità presentata dai 4 istituti, in qualità di arranger (chi si occupa degli aspetti organizzativi di un’operazione finanziaria), il Comune avrebbe dovuto risparmiare, grazie all’operazione, oltre 50 milioni di euro. La realtà è ben diversa: gli swap sottoscritti dal Comune per l’ammortamento del debito, gli strumenti finanziari derivati che avrebbero dovuto garantire al Comune di metter da parte il capitale necessario a pagare il debito, si sono rivelati un “buco nero”. Le perdite stimate sono circa 300 milioni di euro.
Così a gennaio 2009 il Comune guidato dal sindaco Letizia Moratti ha avviato un’azione giudiziaria civile nei confronti di Deutsche Bank, Ubs, Jp Morgan e Depfa. Da arranger, infatti, erano diventati titolari dei contratti swap (in 4 parti uguali, ognuno del valore di oltre 400 milioni di euro).
I derivati sono l’altra faccia della medaglia di Depfa. La banca è arrivata in Italia nel 2003 perché -spiegò allora al Corriere della Sera il direttore generale per l’ Italia William Marrone- “la finanza locale italiana sorta dalla devolution (con la riforma costituzionale del 2001 e l’allargamento delle competenze degli enti locali, ndr) sta diventando il mercato più dinamico al mondo dopo quello Usa”. Un mercato in cui Depfa è entrata da regina: in una nota presentata al Comune di Milano come curriculum vitae, la banca spiega di esser stata “coinvolta in tutte le emissioni superiori ai 500 milioni di euro effettuate da enti locali e territoriali italiani” nel biennio 2003-2004. Dal Comune di Roma alla Regione Puglia, dalla Regione Sicilia alla Sardegna, dalla Provincia di Udine a quella di Treviso, per citarne solo alcuni: il debito degli enti locali italiani è saldamente in mano a Depfa.

 

Continua l'incubo derivati
I Comuni, anche quelli che non li conoscono e non hanno strumenti per gestirli, come i più piccoli, “amano” i derivati. È per questo che 31,9 miliardi di euro di debito delle amministrazioni locali, il 57,5% del debito complessivo, risultano “finanziati” con questi strumenti finanziari.
Ben 777 enti locali (737 Comuni e 40 Provincie in tutta Italia eslusi Piemonte, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta) hanno fatto ricorso ai derivati per “ristrutturare” (gestire) il proprio debito, e di questi 265 sono Comuni con meno di 5mila abitanti.
Il 52,5% degli enti -secondo una fotografia scattata dalla Corte dei Conti in occasione di un’audizione con la commissione Finanze e tesoro del Senato, nel febbraio del 2009- ipotizza di subire perdite dalle operazione con derivati.
La magistratura della pubblica amministrazione ha evidenziato numerose criticità nell’approccio dei Comuni italiani all’utilizzo dei derivati per “allontare” lo spettro del debito e della sua restituzione: “in alcuni casi -hanno spiegato in Senato- gli enti hanno concluso queste operazioni finanziarie senza ricorrere ad alcuna procedura selettiva ma hanno individuato direttamente l’intermediario finanziario”; inoltre, ha ricordato la Corte dei Conti, “occorre che la posizione dell’advisor e quella dell’operatore finanziario vengano distinte nettamente”, segnalando che in molti casi ciò non è avvenuto, come in quello del Comune di Milano che raccontiamo qui a fianco; “in alcuni casi (e tra questi c’è di nuovo Milano, ndr) si è riscontrato -infine- che il rapporto contrattuale era regolato da una legge e da una giurisdizione diversa da quella italiana”.