Home / Newsletter / Newsletter n. 293 - 7 gennaio 2014 / Cambiare tutto per non cambiare niente

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Cambiare tutto per non cambiare niente

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Manterrò le mie osservazioni al livello del commento ad eventi che mi sembrano degni di essere ripercorsi e ricostruiti dell’esperienza italiana di quest’ultimo decennio. Cercherò di fare una sorta di ricostruzione logica degli eventi, anche se, come tutte le ricostruzioni logiche, forse peccherà per mancanza di alcuni elementi interni.

Un punto di partenza di questa ricostruzione, forse, possiamo trovarlo in quello che, con un termine un tantino esagerato e drammatico, potremmo chiamare il capovolgimento della politica valutaria del nostro Paese nel 1979, l’anno dell’adesione al sistema monetario europeo.

Negli anni precedenti al ‘79, le autorità monetarie italiane avevano seguito la famosa linea della svalutazione differenziata, approfittando del regime di cambi flessibili (che tecnicamente consentiva questa manovra), cercando .di tenere la lira tendenzialmente svalutata rispetto all’area del marco, in maniera da favorire le esportazioni e cercando, invece, di ridurre la svalutazione nei confronti del dollaro, per ridurre il costo delle importazioni. Attraverso questa manovra del cambio, in quegli anni di cambi flessibili sul piano internazionale e di continua inflazione che le autorità sembravano disposte ad accordare, si era messa in moto una spirale di svalutazione e inflazione, di aumenti dei salari monetari, con probabile riduzione dei salari reali che, in fondo, favoriva gli esportatori e gli imprenditori in generale.

Dopo il ‘79, viceversa, con l’adesione al sistema monetario europeo, il rapporto di cambio con il marco doveva essere tenuto tendenzialmente stabile e quindi la politica valutaria si è mossa entro vincoli molto diversi. A partire dall’’80, poi, il dollaro, invece di svalutarsi rispetto al marco, aveva iniziato la sua corsa ascendente che è durata fino a poche settimane or sono.

In questo diverso contesto internazionale, però, anche le autorità italiane fanno scelte diverse. Se noi osserviamo i fatti come si sono svolti, ci accorgiamo che le autorità monetarie hanno cercato di tenere duro rispetto al marco, per cui la svalutazione della lira è stata molto inferiore rispetto al differenziale dei prezzi interni dei due Paesi e oggi la lira, in termini reali, si è rivalutata sul marco, in confronto al 1979. Viceversa, rispetto al dollaro, la lira si è svalutata come tutte le altre valute mondiali, ma si è svalutata ancora di più di quello che i prezzi monetari interni dei due Paesi non segnalassero; per cui attualmente la lira è sottovalutata rispetto al dollaro, a partire dallo stesso anno di riferimento.

Qual è il senso di questa politica? Non è, ovviamente, quello di ottenere degli scopi diretti, perché in questo modo si penalizzano le esportazioni verso l’area europea. E’ vero che si incoraggiano le esportazioni verso l’area del dollaro, però questa è un’area nella quale l’industria italiana stenta ancora ad entrare in massa, anche perché la rivalutazione del dollaro su tutte le altre valute, così come ha favorito gli esportatori italiani, ha favorito anche gli esportatori di altri paesi. Ne deriva che non c’è un vantaggio differenziale specifico portato unicamente e selettivamente all’economia italiana. Ne consegue che non ci sono elementi razionali diretti per questo capovolgimento della politica valutaria; ci sono tuttavia degli elementi razionali indiretti.

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