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Tremonti folgorato sulla via del rigore

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Chiunque guardi i dati quantitativi del decreto legge “recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti crisi il quadro strategico nazionale” non può non concordare sulla siderale lontananza tra tanto ambizioso titolo e la sostanza dei provvedimenti. Infatti di risorse aggiuntive ce ne sono veramente poche, stimabili in uno 0,3% di Pil; molte altre sono risorse già stanziate che vengono spostate da un fondo ad un altro; i 450 milioni della la social card, ad esempio, vengono di fatto finanziati utilizzando il Fondo nazionale per le politiche sociali e tagliando i trasferimenti ai Comuni per i servizi sociali (vedi Cristiano Gori sul Sole 24 Ore del 2-12). L’aumento dell’Iva su Sky finanzia un quarto dei bonus alle famiglie; come dire che alcune famiglie ne finanziano altre.

Molti economisti si sono quindi posti la seguente domanda: perché Tremonti ha scelto un intervento così ridotto, quando dalla stessa Commissione europea venivano inviti (un po’ contraddittori, a dire il vero) a perseguire politiche keynesiane espansive? Perché ha insistito sulla stessa linea che lo aveva portato a dichiarare che l’Italia sarebbe arrivata “close to balance” nel 2011 anche se l’Ecofin aveva spostato il traguardo al 2012? Perché questo rigorismo di fronte ad una situazione che si è così drammaticamente deteriorata?

 

Una prima spiegazione l’ha data Berlusconi nella conferenza stampa (guardando verso Tremonti): abbiamo la preoccupazione per la collocazione delle emissioni dei titoli di debito pubblico, cioè il rinnovo di quello in scadenza più i nuovi titoli necessari per il fabbisogno corrente (il grosso delle emissioni è dato dai titoli in cadenza). Con lo scoppio della crisi finanziaria infatti il fly to quality ha determinato un aumento dello spread tra i nostri titoli e quelli tedeschi (cioè i titoli pubblici più sicuri), che ha superato i 100 punti; in altre parole gli operatori finanziari vogliono un terzo in più di interessi da un titolo italiano rispetto ad uno tedesco (pur essendo entrambi in euro). Il governo ritiene quindi che prospettare un aumento del deficit, che nel 2009 andrà molto probabilmente oltre il 3% per via spontanea, ed un rinvio dell’obiettivo del pareggio del bilancio, possa far crescere il timore di una “deriva argentina” del nostro debito pubblico.

Se questa è la preoccupazione del governo, bisogna dire che non è del tutto infondata; i mercati finanziari non hanno certo dimenticato che il governo Berlusconi 2001-2006 invertì l’andamento del rapporto debito-pil, che dal 2004 incominciò a crescere; crescita bloccata dal governo Prodi. Ecco perché Tremonti si è affrettato ad anticipare la finanziaria 2009, per comunicare ai mercati: “siamo cambiati, vogliamo rispettare alla lettera gli impegni del Patto di stabilità”, impegni, peraltro, come ha più volte sottolineato il ministro, presi dal suo predecessore.

 

La seconda spiegazione risiede nella cosiddetta “teoria politica della politica fiscale”; in sintesi l’argomento è che i governi effettuano politiche restrittive subito dopo aver vinto le elezioni, mentre passano a politiche espansive quando si approssima il successivo appuntamento elettorale. Da questo punto di vista il timing proposto dall’Europa (espansione subito, restrizione poi) non va bene.

E’ possibile poi che il governo scommetta sul fatto che siano gli altri paesi europei (oltre a USA e Cina) a compiere manovre espansive, di cui anche l’Italia verrebbe a beneficiare; Francia, Spagna e Regno Unito hanno in effetti deciso politiche espansive, ma la Germania fino ad ora è stata molto prudente, e secondo molti osservatori ciò deriva da una storica ritrosia di questo paese a fare da locomotiva rispetto agli altri.

Ancora la ragione della prudenza potrebbe essere dovuta ad una scarsa fiducia da parte di Tremonti circa l’efficacia della manovra taglia-spese messa in campo, o nella sensazione che gli autonomi abbiano dato il via ad un aumento del tasso di evasione, interpretando in questo senso una serie di misure di rilassamento fiscale prese dal governo (nonché la promessa di revisione degli studi di settore contenuta del d.l.); maggiori spese e minori entrate porterebbero in alto il disavanzo già a bocce ferme, senza altri interventi.

Infine non si può escludere che Tremonti, così icastico nel condannare il pensiero “mercatista”, sia però convinto di uno dei capisaldi di questo stesso pensiero (che per la verità si chiama liberista): il pareggio del bilancio pubblico. Ovviamente tutte queste diverse spiegazioni non sono alternative, ma possono sommarsi.

Per concludere sugli aspetti quantitativi della manovra, va segnalato poi che i bonus alle famiglie e ai precari che perdono il posto di lavoro sono una tantum; anche ammesso che vengano spesi integralmente (la teoria economica dice di no, ma può essere che sbagli) ciò che succederà sarà qualche cosa di analogo a quello che è già successo quest’anno negli USA; una breve ripresa della domanda di consumi in primavera e un flop successivo.

In effetti gli stessi 2,4 miliardi del bonus-famiglie (una tantum) avrebbero potuto essere utilizzati in modo migliore, cioè con un intervento a carattere strutturale; ad esempio nel Libro Bianco su “l’imposta sui redditi delle persone fisiche e il sostegno alle famiglie” curato dallo scrivente e da Claudio De Vincenti, veniva proposta l’unificazione delle detrazioni Irpef per i figli e degli assegni al nucleo familiare, incominciando dai bambini da zero a tre anni; il costo del nuovo istituto, denominato “dote fiscale”, sarebbe stato di un miliardo nel primo anno (quindi per ipotesi nel 2009) e di 300 milioni negli anni successivi (senza accelerazioni sarebbe andato a regime in 15 anni); questo avrebbe lasciato un miliardo e mezzo per gli ammortizzatori sociali a favore dei lavoratori precari. La spesa per ammortizzatori sociali è poi una tipica spesa anti-ciclica, non a caso indicata dalla Commissione e da tutti i commentatori.

Ovviamente non se ne farà nulla; tuttavia voglio terminare l’articolo elogiando una misura del decreto legge: l’eliminazione della detassazione degli straordinari. Meglio tardi che mai.