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Chi paga la crisi? Le alternative civili

12/02/2009

Alla vigilia della riunione del G7 finanziario, Sbilanciamoci! e la Campagna per la Riforma della Banca Mondiale presentano un documento in 10 punti

Il primo vertice del G7 dei ministri delle finanze che si terrà a Roma il 13 e 14 febbraio 2009 apre la Presidenza italiana del G8, in un momento cruciale per le sorti dell'economia e della finanza internazionale, ma anche del nostro paese. Di fronte a una crisi economica sistemica senza precedenti, che si annuncia lunga e difficile, l'obsoleto G8 cerca di mantenere nel 2009 un ruolo che non ha più.

I ministri delle finanze discuteranno potenziali posizioni comuni da portare al prossimo vertice del G20 di Londra ad aprile. Una missione impossibile, viste non solo le diversità di vedute e di interessi tra i maggiori paesi, ma l'incapacità dei governi di comprendere la natura della crisi, le sue cause, i cambiamenti necessari per superarla. La crisi attuale non è solo una questione di finanza, nasce dalla massicia redistribuzione di ricchezza dai poveri ai ricchi, sia all'interno degli stati che a livello planetario, che è avvenuta negli ultimi trent'anni, attraverso le politiche neoliberiste che hanno ridotto il ruolo degli stati, indebolito il lavoro e "lasciato fare" imprese, mercati e capitali, portando alla globalizzazione della produzione e alla finanziarizzazione dell'economia. Affrontare la crisi significa rovesciare questi diversi meccanismi che ne sono alla radice.

Al contrario, i piani di salvataggio presentati in questi giorni da Stati Uniti e governi europei si limitano a iniettare liquidità nell'economia, a coprire le perdite delle banche private senza prenderne il controllo attraverso un'esplicita nazionalizzazione, lasciando immutati i comportamenti speculativi e i fattori d'instabilità del sistema finanziario.

L'Italia è in una situazione di particolare debolezza. Il peso del debito pubblico rende più difficili le necessarie politiche di spesa pubblica; il declino industriale del paese rende più difficile un rilancio dell'economia reale e una riconversione verso produzioni più qualificate e sostenibili in termini sociali e ambientali.

Il ministro Tremonti porterà al vertice G7 due tesi discutibili: che l'Italia è colpita limitatamente da questa crisi e potenzialmente potrà uscirne più forte (da cui si conclude che sono necessari interventi limitati dello stato ); e che a livello internazionale è necessario creare un poco definito standard legale sulla finanza. Sottovalutare la gravità della crisi per l'Italia rischia di farne una delle maggiori vittime della recessione; sottovalutare la necessità di una ricostruzione complessiva del sistema finanziario internazionale significa continuare in una situazione di instabilità destinata a portare a nuove crisi.

I governi nazionali e i poteri dell'economia e della finanza, chiusi in un “club ristretto di quelli che contano” (g8, g13 o g20 che sia) provano a scaricare la crisi, ancora una volta, su lavoratori e risparmiatori, sui soggetti più deboli, sui paesi più fragili. È la società civile di tutti i paesi che ha iniziato ad avanzare proposte alternative che mettono al centro l' esigenza di redistribuire reddito e ricchezza e ridimensionare la finanza, di tutelare l' economia reale ed espandere il ruolo della politica. Rifiutando di lasciare ai responsabili della crisi attuale il potere di decidere in modo per nulla democratico l'agenda del cambiamento, la società civile internazionale guarda alla prossima conferenza internazionale dell'ONU sulla crisi economica di fine maggio a New York, come la sede appropriata per trovare risposte adeguate, condivise e democratiche, in un autentico e riformato multilateralismo.

È tempo di agire concretamente per la giustizia economica e sociale, per la sostenibilità ambientale e per un sistema internazionale più democratico. In Italia, le organizzazioni della società civile impegnate su questi temi vogliono dare voce a chi è colpito dalla crisi, contrapporre al G7 un "P7" di sette persone reali che vivono le conseguenze della crisi ogni giorno e chiedono una politica di vero cambiamento. Da qui partono le dieci proposte che la società civile italiana vuole lanciare, le dieci alternative alla crisi finanziaria.

Ecco le nostre dieci proposte:

 

1. Disinquinare il sistema bancario da attività speculative

Negli ultimi anni si è venuto a creare un sistema bancario “ombra”, parallelo a quello ufficiale e non sottoposto ai controlli delle autorità di vigilanza , che permette alle banche di spostare fuori bilancio gran parte delle proprie attività. Soprattutto grazie alle cartolarizzazioni le banche sono riuscite a trasformare dei debiti di lungo periodo che pesavano sui loro bilanci, ovvero i mutui sulle case e quelli subprime in particolare, in titoli che sono stati rivenduti da veicoli finanziari creati ad hoc (SIV) ad altri attori finanziari. Grazie a questo passaggio, le banche portano fuori dai propri bilanci gli stessi mutui e debiti, visto che li rivendono alle SIV, dei soggetti autonomi e spesso registrati in qualche paradiso fiscale, che non sono sottoposte alla regolamentazione internazionale, e in particolare non devono sottostare a nessuno dei requisiti di trasparenza, patrimonializzazione o vigilanza previsti per le banche. È necessario dichiarare illegali tutte queste operazioni fuori bilancio. Non ha senso stabilire dei quadri di regolamentazione e degli standard per la rendicontazione, quando nello stesso momento è permesso alle istituzioni finanziarie di eluderle attraverso operazioni fuori bilancio. Come prima misura, le operazioni di cartolarizzazione andrebbero come minimo severamente limitate, richiedendo alle banche che le realizzano, dei requisiti patrimoniali e degli impegni in termini di capitali propri analoghi a quelli fissati dall'accordo di Basilea II per i prestiti. Allo stesso tempo tutte le operazioni in derivati realizzate al di fuori dei mercati regolamentati dovrebbero essere proibite. Operazioni che hanno superato i 600mila miliardi di dollari, oltre 10 volte il PIL del pianeta! Conseguentemente è cruciale la limitazione dell'utilizzo dei derivati. Questi strumenti dovrebbero essere consentiti unicamente per la copertura dei rischi (hedging) ovvero prevedere l'obbligatoria consegna del sottostante, in particolare nel caso delle soft commodity e dei prodotti energetici. In molti casi, è addirittura possibile ipotizzare dei meccanismi economici e finanziari alternativi, che renderebbero del tutto inutile il ricorso ai derivati.

Purtroppo il recente sostegno del ministro Tremonti al lancio della prima piattaforma dei derivati energetici italiani alla City di Londra va esattamente nella direzione opposta. Analogamente l'idea del governo di sostenere il credito al consumo accentuerebbe la finanziarizzazione dell'economia e dello stesso sistema bancario, invece di ricondurlo maggiormente verso il sostegno all'economia reale e locale per fini sociali ed ambientali.

2. Un nuovo sistema economico internazionale democratico e controllabile

I problemi principali dell'attuale sistema di governance finanziaria internazionale si possono ricondurre ai fallimenti nella supervisione e nella regolamentazione del sistema stesso. Le Istituzioni Finanziarie Internazionali (Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale in primo luogo) hanno promosso la necessità di lasciare liberi i mercati dei capitali e finanziari. Questo ha portato non solo a instabilità e a successive crisi, ma anche a un sistema economico globale a doppio binario, dove un'economia virtuale guidata dalla speculazione e dagli interessi a breve termine del settore privato ha preso il sopravvento sull'economia reale. Anche i supervisori, a partire dal Financial Stability Forum creato dopo le crisi asiatiche del '97-'98 e oggi guidato dal governatore Mario Draghi, hanno miseramente fallito nel sorvegliare gli aggiramenti dei controlli sulla finanza e nel garantire la stabilità finanziaria. In considerazione della natura trans-frontaliera dei mercati finanziari, invece di una competizione senza regole tra le economie nazionali, è necessario un coordinamento efficace per reintrodurre un controllo dei capitali, migliorare la cooperazione e lo scambio di informazioni tra governi in materia finanziaria e fiscale e per realizzare dei sistemi di regolamentazione, supervisione e controllo dei mercati che possano funzionare efficacemente a livello globale. Questi sistemi dovranno rispondere a delle istituzioni ad hoc che, sotto l'egida dell'ONU, abbiano come scopo fondamentale la tutela della stabilità finanziaria intesa come Bene Pubblico Globale, la redistribuzione secondo una logica di giustizia sociale e che consentano un controllo democratico e una governance che risponda all'attuale situazione geopolitica, economica e finanziaria. Un ente di regolamentazione internazionale è quindi necessario in prospettiva. Occorre potenziare fortemente le strutture dell'ONU che si occupano di cooperazione economica e sostenere il negoziato verso la prossima Conferenza Onu sulla crisi economica fissata per la fine di maggio a New York. Contrariamente alla sua impostazione storica a favore del multilateralismo e dell'ONU, il governo italiano intende rilanciare un G8 allargato alle economie emergenti come la nuova sede della governance mondiale e legittima, così come fa il G20, il nuovo ruolo che la Banca Mondiale, l'Fmi ed il Financial Stability Forum dovrebbero avere in questa.

 

3. Nuove regole per il sistema monetario e valutario

Il mercato delle valute, al 90% di natura speculativa, ha superato un volume di 3.000 miliardi di dollari al giorno. Questo significa che sul solo mercato delle valute in una sola settimana circolano più soldi di quanti ne siano legati all'economia reale transfrontaliera di beni e servizi in un intero anno (10.000 miliardi di dollari). Queste enormi masse speculative provocano una forte instabilità. A pagare il prezzo maggiore sono ancora una volta i paesi più poveri, le cui deboli valute e banche centrali non hanno i mezzi per far fronte alla forte volatilità dei mercati internazionali e per contrastare eventuali attacchi speculativi. Che senso può avere impegnarsi per anni in estenuanti accordi per la liberalizzazione del commercio – come quelli parte dell'attuale “Doha Round” in discussione nell'Organizzazione Mondiale del Commercio, per provare ad aumentare di qualche punto percentuale l'accesso ai mercati internazionali di un produttore del Sud del mondo - quando in pochi giorni, se non addirittura in poche ore, la sua valuta rischia di perdere il 20 o 30% a causa di qualche manovra speculativa? Per superare questo problema, è necessario pensare a un nuovo sistema di regolamentazione dei sistemi valutari e dei cambi. Recentemente, l'UNCTAD ha avanzato la proposta di introdurre un nuovo regime di cambio multilaterale, finalizzato a controllare e prevenire le speculazioni sulle valute e a dare la possibilità a tutti i paesi di portare avanti politiche monetarie e fiscali espansive mirate alla salvaguardia dell’occupazione e dell'economia domestica. Una misura fondata sulla possibilità, per i paesi sotto attacco speculativo, di stampare moneta per respingere lo stesso attacco, e su un sistema multilaterale di cambi, con accordi tanto a livello regionale quanto internazionale. Allo stesso tempo l'introduzione di un' imposta sulle transazioni valutarie, nello spirito della Tobin Tax, permetterebbe di contrastare le stesse attività speculative e di abbattere i rischi di cambio.

La proposta di una “de-Tax” da parte del ministro Tremonti, al contrario delle tassazioni delle transazioni finanziarie e monetarie speculative internazionali non dà affatto una risposta ai problemi strutturali del sistema monetario e genererebbe in ogni caso un gettito limitato rispetto ai bisogni della lotta alla povertà e ai cambiamenti climatici.

4. Rilanciare il Welfare. In Italia e nel mondo

Potenziare l'erogazione di servizi di base rappresenta la vera lotta contro la povertà e la vulnerabilità delle fasce più deboli oltre a rappresentare una politica economica anti-ciclica di contrasto alla crisi. In ambito globale, nelle relazioni Nord-Sud, il perseguimento degli Obiettivi del Millennio è una priorità fondamentale. La crisi economica non deve portare i paesi del G7 a ridurre l'Aiuto Pubblico allo Sviluppo, già molto modesto. In Italia il governo deve pensare a un piano di investimenti che sostenga i ceti più deboli invertendo la tendenza allo smantellamento delle politiche sociali messo in atto con l'ultima legge finanziaria. La causa prima della crisi economica in corso è da ritrovarsi nelle grandi diseguaglianze che l'attuale modello di sviluppo ha prodotto e che ha portato a un costante impoverimento delle classi medie e del lavoro dipendente di tutto il mondo. Il G7 deve determinare che non possano essere utilizzate più risorse per salvare chi questa crisi l'ha provocata di quante se ne utilizzino per rimettere in moto meccanismi di redistribuzione e per rafforzare i sistemi di welfare. È necessario stanziare almeno 5 miliardi di euro per una serie di interventi di natura sociale: per il Fondo per le politiche sociali, per la scuola dell'obbligo e per l'università pubblica, per la sanità, per l'inclusione sociale, per le pensioni al minimo e quelle sociali. Si dovrebbe anche mettere in atto un piano di costruzione e ristrutturazione di abitazioni di proprietà pubblica, da assegnare in affitto, con prezzi controllati, a giovani e famiglie a basso reddito. La domanda di beni e di lavoro attivata da un tale programma consentirebbe di evitare (e limitare) la recessione in arrivo.

5. Riduzione delle spese militari

Nel mondo si spendono oltre 1000 miliardi di euro per gli armamenti ogni anno. Si tratta di una tendenza in continua crescita che coinvolge principalmente i paesi più ricchi -quelli del G7- ma anche i paesi poveri e grandi potenze come la Cina e la Russia. Si tratta di invertire questa tendenza, in modo radicale: sia per ridurre i conflitti e le violenze nel mondo, sia per utilizzare per scopi sociali e di sviluppo questa quantità immane di risorse che va sprecata e provoca conflitti e guerre. Di fronte a questa gravissima crisi economica e finanziaria mondiale, dobbiamo dare un segnale di discontinuità. Per questo, noi facciamo una proposta -modesta e realistica - ai paesi del G7 riuniti a Roma: la riduzione del 10% della spesa militare in questi paesi. In questo modo si recupererebbe una cifra importante -quasi 60 miliardi di euro- che potrebbe essere destinata al welfare, al lavoro, all'ambiente, allo sviluppo. Anche l'Italia deve procedere in questa direzione: da anni la campagna Sbilanciamoci! propone la riduzione di 4 miliardi di euro della spesa militare italiana, che meglio potrebbero essere investiti in politiche sociali, ambientali, di solidarietà con i paesi in via di sviluppo.

 

6. Sostegno al lavoro, sostegno ai salari, lotta alla precarietà

Le linee guida proposte dal G7 finanziario dovranno evitare che gli effetti della crisi provocata dalle acrobazie della finanza ricadano in primo luogo sui lavoratori. Questo dovrebbe essere un imperativo morale di tutti i governi. Chiediamo che il G7 assuma la difesa del lavoro e dei salari come punto assolutamente prioritario. Basterebbe solo una piccola parte dei soldi destinati al salvataggio delle banche a livello internazionale per alimentare politiche del lavoro e dei redditi che salvaguardino in modo molto più efficace i cittadini da questa crisi. Mentre deve essere accentuata la pressione fiscale sui redditi alti e le rendite, deve essere ridotta l'imposizione fiscale ai redditi medio-bassi, sotto i 23mila euro. Vanno tutelati (al contrario dei provvedimenti del governo che prevedono dopo un certo periodo di tempo l'espulsione) i lavoratori immigrati in caso di perdita del posto di lavoro. In questo contesto l'Unione Europea deve subito imprimere una direzione alle politiche economiche dei governi. Anche in Italia le prime misure devono difendere quei lavoratori meno tutelati dal punto di vista contrattuale attivando un piano di ammortizzatori sociali per i lavoratori precari, che saranno i primi a cadere a causa della crisi e che in questo momento sono abbandonati a loro stessi. I provvedimenti presi dal governo Berlusconi sono sbagliati (come la detassazione degli straordinari, poi revocata) insufficienti e limitati: non c'è alcuna volontà determinata volta a salvaguardare il potere d'acquisto dei lavoratori e a prevenire che nei prossimi mesi si realizzi anche in Italia (come sta già avvenendo) una massiccia perdita di posti di lavoro. E saranno i precari a pagare il prezzo più alto: le misure del governo in questo campo sono simboliche. È necessario stanziare risorse sufficienti a garantire un reddito a tutti i lavoratori che rischiano di essere licenziati. Chiediamo il blocco dei licenziamenti, l'estensione degli ammortizzatori sociali a tutte le tipologie di imprese e di contratti di lavoro. Chiediamo di condizionare l'aiuto pubblico alle imprese alla salvaguardia del posto di lavoro. Tra gli incentivi che devono essere dati alle imprese alcuni devono essere vincolati alla stabilizzazione dei propri lavoratori con contratti di lavoro a tempo indeterminato.

 

7. L'economia della conoscenza

Contro la finanziarizzazione dell'economia che ha prodotto disuguaglianze e bolle speculative, l'apparato produttivo deve essere rilanciato puntando al sostegno di tutti gli aspetti legati all'economia della conoscenza e alla qualità delle produzioni. L'Italia è estremamente indietro in questo campo, il sistema universitario è anchilosato, la ricerca è abbandonata a se stessa e i settori in grado di innovare sono sempre più di nicchia. A differenza delle idee miopi del governo che taglia la ricerca e guarda al nucleare, auspichiamo a un reale rilancio del settore della ricerca pubblica e privata che si traduca in effettivi processi di innovazione. Questa deve rivolgersi tra l'altro a migliorare l'innovazione della nostra economia, soprattutto nel campo energetico, della mobilità, della comunicazione, delle infrastrutture. La spesa per la ricerca deve raggiungere il 3% del Pil, deve essere fermata la fuga di cervelli dal nostro paese e ridato respiro al mondo dell'università e a quelle imprese in grado di innovare.

 

8. L'economia verde

Il G7 dovrà individuare un percorso di riduzione delle emissioni che consenta di rimanere ben al di sotto di un aumento medio globale di 2 gradi centigradi della temperatura (rispetto ai livelli pre-industriali) e dovrà garantire l'applicazione del protocollo di Kyoto sulla linea anche dei nuovi obiettivi europei al 2020 (riduzione di almeno il 20% delle emissioni di Co2, traguardo del 20% di produzione energetica da rinnovabili e miglioramento del 20% nell’efficienza energetica). La riconversione ecologica delle attività produttive dovrà avere come obiettivo ottimale la riduzione delle emissioni nazionali per i paesi sviluppati tra il 25% e il 40% sotto il livello del 1990, entro il 2020. Anche in Italia appare indispensabile un massiccio piano di investimenti nelle energie rinnovabili per non rimanere dipendenti dal petrolio, per lottare contro il cambiamento climatico e per rilanciare quei settori dell'economia che guardano al futuro. Purtroppo i provvedimenti della manovra finanziaria e del decreto anti-crisi vanno in tutt'altra direzione. E anche gli interventi sulla crisi dell'auto ricalcano il vecchio modello delle rottamazioni che in questi anni non hanno prodotto una vera innovazione ecologica nel mercato privato della mobilità, almeno in Italia. Investire massicciamente nelle energie pulite è un obiettivo irrinunciabile e centrale. Investire in Kyoto fa crescere imprese e lavoro, non il contrario. Contestualmente vanno rilanciati gli investimenti pubblici per la mobilità sostenibile e per il riequilibrio modale oltre a un piano di “piccole opere” che risanino il sistema di infrastrutture del nostro paese.

9. Legalità e giustizia fiscale. In Italia

In un periodo in cui le risorse pubbliche di tutti i paesi sono state messe a dura prova per salvare le banche e per sostenere l'economia, è ancora più intollerabile l'evasione e l'elusione fiscale oltre che l'esistenza di regimi fiscali vantaggiosi proprio per quei settori finanziari che questa crisi hanno fatto esplodere. In Italia è essenziale che non venga abbandonato, come sta accadendo in questi mesi, ma al contrario rafforzato, l'impegno nella lotta all'evasione fiscale. Allo stesso tempo è necessario spostare il carico fiscale dal lavoro ai settori finanziari attraverso la tassazione di tutte le rendite (titoli di stato, utili su conti correnti bancari, azioni, ecc.) al 23% - avvicinandoci in questo modo alla media europea - stabilendo una franchigia per i titoli di stato detenuti da persone fisiche (che non superano il 12% del totale) sotto l'importo di 150mila euro. Devono essere anche rimodulate le aliquote in senso progressivo con un'aliquota massima del 48% per i redditi superiori ai 200mila euro e introdotte una serie di tasse di scopo che vadano a colpire comportamenti dannosi (emissioni di CO2, pubblicità, speculazione finanziaria, auto di grande cilindrata).

 

10. Legalità e giustizia fiscale. Nel mondo: chiudere i paradisi fiscali

Gli standard di rendicontazione internazionale, che consentono alle imprese di pubblicare nei loro bilanci unicamente dati aggregati per macro-regioni, danno la possibilità di non pagare tasse nel paese in cui queste imprese operano, trasferendo le risorse corrispondenti verso i paradisi fiscali. Una rendicontazione basata sulle giurisdizioni (paese per paese o country by country reporting) delle entrate delle imprese transnazionali è un primo passo verso la regolamentazione degli introiti di queste imprese, e quindi verso la prevenzione delle enormi fughe di capitali. Secondo le stime più recenti, i flussi illeciti che ogni anno si trasferiscono dal Sud verso il Nord del mondo e i paradisi fiscali potrebbero avere superato i 1.000 miliardi di dollari, e sono in crescita del 18% l'anno. In altre parole, per ogni dollaro che il Nord versa al Sud per la cooperazione internazionale e l'aiuto allo sviluppo, 10 dollari seguono il percorso inverso, in primo luogo a causa dell'evasione dell'elusione fiscale delle imprese del Nord che realizzano affari al Sud. Un sistema obbligatorio di rendicontazione paese per paese, adottato a livello globale, permetterebbe di migliorare in maniera determinante la trasparenza sulle attività e i profitti delle imprese transnazionali. Si tratta con ogni probabilità della singola misura più importante nella lotta contro l'elusione e l'evasione fiscale, la corruzione, la criminalità finanziaria e i paradisi fiscali. Allo stesso tempo è necessario muovere politiche chiare da subito per chiudere i paradisi fiscali, che sono utilizzati dalle persone e dalle imprese che intendono eludere o evadere il fisco e dalla grande criminalità organizzata, e sono caratterizzati dalla mancanza di trasparenza, dalla segretezza e dall'anonimato. Oltre la metà del commercio internazionale passa almeno da un paradiso fiscale, anche se questi ultimi incidono solo per il 3% sul PIL globale. È da notare che la maggior parte dei paradisi fiscali si trovano in Europa o sono strettamente legati alle nazioni europee, come avviene ad esempio per diversi territori del Commonwealth. Le conseguenze e gli impatti dei paradisi fiscali sono enormi, tanto nel Nord quanto nel Sud del mondo. Questi territori minano la giustizia e l'equità fiscale, compromettono il welfare e le politiche pubbliche, favoriscono l'elusione e l'evasione fiscale, la corruzione e la grande criminalità. Questi territori sono anche responsabili di una concorrenza sleale tra le imprese. Quelle transnazionali, con maggiore esperienza in ambito fiscale e con una produzione indirizzata all'export sono indebitamente avvantaggiate rispetto a quelle di piccola dimensione e che producono per i mercati locali. Non esiste nessun argomento economico valido per premettere ai paradisi fiscali di portare avanti le loro operazioni. Questi territori dovrebbero essere spinti ad abbandonare le proprie pratiche finanziarie e fiscali a partire da misure ad interim, che vanno dal togliere il segreto bancario alle banche sotto la loro sovranità, al prevedere delle forti imposte sulle transazioni da e per i centri offshore, fino a chiedere ai governi occidentali di impedire che le imprese dei propri paesi abbiano filiali o controllate in questi territori, in particolare se beneficiano di sostegno pubblico.

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