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I derivati dei Comuni: se la collettività paga due volte
Un mese fa la Corte dei Conti denunciò “l’uso sconsiderato di derivati finanziari da parte degli enti locali” e fece appello ad adottare un “principio di prudenza per i contratti derivati finalizzati alla ristrutturazione del debito degli enti locali”. Ma i richiami alla trasparenza, alla certificazione e a una maggiore qualifica degli operatori coinvolti non bastano per affrontare l’emergenza della crisi. I dati di fine anno 2007, riportati nelle recenti audizioni della Commissione Finanze del Senato, indicano 41 miliardi di euro in derivati su un debito totale dei comuni, delle province e delle regioni pari a 82 miliardi. Cioè il 50% -- per i soli comuni la cifra sale percentualmente al 58% del loro debito totale.
Negli anni passati molti amministratori locali di tutte le tendenze e colori politici hanno pensato di riorganizzare il debito dei loro enti anche attraverso operazioni in derivati swap, che permettevano loro di diluire nel tempo il pagamento dei debiti e, in molti casi, addirittura di negoziare un montante del debito maggiore e di incassare subito la differenza in cash.
Essi avrebbero fatto bella figura con i loro concittadini perché avevano più soldi da spendere!
Gli intermediari finanziari però non avevano detto loro cosa prevedeva il derivato. In particolare non avevano detto che negli anni a venire e per decenni i bilanci degli enti sarebbero stati soffocati dalla bolla degli interessi da pagare alle banche. In verità molti amministratori locali sono stati vittime di una vera e propria “circonvenzione di incapace”. Altri, pochi, hanno partecipato a vere e proprie truffe su cui le Procure stanno indagando. Per loro ci sarà il giudizio del voto e quello della legge.
Infatti, spesso non si tratta solamente di atti finanziari speculativi ad alto rischio, bensì di sottrazione di risorse ai servizi pubblici primari.
In una situazione di crisi finanziaria globale e nazionale ciò si traduce anche in un peggioramento della capacità produttiva, in una perdita di produzione e di lavoro delle nostre PMI e in un generale impoverimento di ampie fasce sociali.
Il Comune di Roma nel 2009 pagherà 200 milioni di euro in più di spese per ammortamento (con maggiori interessi passivi) dell’attuale debito a lungo termine che è stato sottoposto a complesse operazioni di ristrutturazione finanziaria, passando da 420 a 620 milioni di euro. Non solo. Roma infatti dovrebbe continuare a pagare altissimi interessi per questi contratti derivati capestro fino al 2048!
La Procura di Milano indaga da tempo, anche con numerosi avvisi di garanzia, per chiarire contratti in derivati per 1 miliardo e 680 milioni di euro che, secondo varie stime, potrebbero comportare una perdita tra 200 e 300 milioni di euro per il Comune. La Guardia di Finanza di Firenze starebbe acquisendo documenti per un ‘indagine su “alte commissioni e abuso di tassi esageratamente alti” che coinvolge 8 banche e 11 comuni della provincia per derivati pari a 1 miliardo e 700 milioni di euro. Poi ci sono i derivati di Napoli, Torino, fino ai piccoli comuni, e delle principali regioni a cominciare dalla Lombardia.
Naturalmente questi contratti in derivati determinano un grande trasferimento di risorse finanziarie dai bilanci degli enti locali verso le banche. Queste banche, nazionali e soprattutto internazionali, sono le stesse che sono in situazioni di grande crisi proprio per le bolle speculative create dai titoli tossici. Sono sempre le stesse banche che chiedono sostegni finanziari ai governi per salvarsi dalla bancarotta. Chiedono capitali pubblici garantiti dagli stati e quindi dalla collettività.
Come si può quindi tollerare che la collettività paghi due volte? La prima per salvare le banche dalla crisi e la seconda per pagare i derivati sottoscritti con le stesse?
A fronte di tale situazione servirebbe anzitutto bloccare immediatamente le eventuali ulteriori sottoscrizioni di derivati da parte degli enti locali. In seguito, quando le nuove auspicate regole dell’economia e della finanza verranno definite, si decideranno anche metodi e comportamenti che riguardano i vari strumenti finanziari e bancari utili alla stabilità del sistema.
Il Governo dovrebbe individuare altre fonti e altre norme per il risanamento dei bilanci degli enti locali. Intanto lo Stato dovrebbe esigere che le banche, in cambio dell’aiuto pubblico, trasformino i derivati in essere in normali prestiti a medio e lungo termine con tassi di interesse chiari ed equi. Tecnicamente non sarebbe un problema: chi è stato capace di costruire un complicato e poco trasparente contratto derivato, è certamente capace di “decostruirlo”.
Si tratta di non essere succubi dei forti poteri delle banche! E’ una decisione di politica economica che il Parlamento e il Governo possono prendere in pochi giorni e in modo condiviso, liberando in tempi brevissimi notevoli risorse per interventi di sostegno sociale e di investimento locale.
Articolo pubblicato su Italia Oggi il 18 marzo