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Viareggio, la sicurezza alla fine di tutto

04/07/2009

La prima direttiva europea sulla liberalizzazione ferroviaria è del '91, mentre la prima direttiva sulla sicurezza è del 2004. E le Fs non possono lavarsene le mani

Quando accade un incidente grave come quello di Viareggio è giusto chiedersi se ci siano delle responsabilità, sia individuali che di sistema. Sul banco degli accusati in questi giorni è finita anche la liberalizzazione delle ferrovie; sulla bontà delle liberalizzazioni si può discutere all’infinito, ma una cosa è certa: liberalizzando e aprendo ad una moltitudine di soggetti un sistema che prima era integrato all’interno del monopolista pubblico, il mantenimento di standard elevati di sicurezza richiede non meno, ma più sforzi. In particolare sono necessarie norme e soggetti del tutto nuovi: lo insegna l’esperienza del trasporto aereo dove opera un articolato sistema internazionale di controlli, ispezioni e segnalazioni.
Insomma, una volta che si decide di fare una liberalizzazione, questa va fatta per bene. E va detto purtroppo che la liberalizzazione ferroviaria – in Europa e in Italia – è stata fatta male, proprio sul versante della sicurezza. Ci sono dunque delle responsabilità politiche che vanno individuate.
Una questione su tutte sta saltando agli occhi in questi giorni: che prima si è liberalizzato e poi si è pensato alla sicurezza. La prima direttiva sulla liberalizzazione delle ferrovie europee è del 1991 ed ancora oggi non si è riusciti a dare un assetto europeo al ginepraio di norme e di responsabilità nazionali che storicamente avevano governato la sicurezza del settore. Solo di recente ci sono state delle iniziative: sono del 2004 sia l’emanazione di una direttiva europea sulla sicurezza ferroviaria, sia la costituzione dell’Agenzia ferroviaria europea che ha tra i suoi compiti anche quello di rafforzare la sicurezza del trasporto ferroviario. Ma in entrambi i casi si tratta di strumenti deboli, più di indirizzo che di intervento vero e proprio. Possiamo aspettarci dalla Commissione europea – e in particolare dal “nostro” Commissario ai trasporti Tajani – un diverso atteggiamento, ad esempio con l’emanazione di un regolamento che renda direttamente effettive norme più stringenti sulla sicurezza ferroviaria e assegni maggiori poteri all’agenzia europea? E non sarebbe un atto dovuto di responsabilità che per un numero adeguato di anni (cinque?) si sospenda la liberalizzazione delle ferrovie europee?
In Italia abbiamo esagerato nelle due direzioni: abbiamo accelerato il processo di liberalizzazione rispetto al calendario europeo (Ministro dei trasporti era allora Bersani) e abbiamo tardato ad applicare proprio la direttiva sulla sicurezza ferroviaria del 2004. Con il risultato che solo nell’agosto del 2007 sono state costituite: l’Agenzia nazionale sulla sicurezza ferroviaria, che però non ha ancora i mezzi ed il personale per operare a regime, continuando ad avvalersi – anche in posizioni apicali dell’organigramma – del supporto di personale Fs (e, sia detto come inciso, ciò è probabilmente in contrasto con la direttiva europea); la Direzione generale per le investigazioni ferroviarie del Ministero dei trasporti, che però è ancora sostanzialmente non operativa, tant’è che in questi giorni nessun organo di informazione si è ricordato di citarla. Anche sul versante nazionale si dovrebbe porre rimedio alle lentezze del passato, innanzitutto rendendo operative le due agenzie. Con l’occasione si dovrebbe spezzare ogni legame diretto tra le due agenzie e i soggetti sottoposti al loro indirizzo e controllo. Il modello potrebbe essere il settore aereo, dove dal 1997 l’Enac è un ente pubblico autonomo con compiti di regolamentazione e di controllo e dal 1999 l’Agenzia nazionale per la sicurezza del volo è un organo indipendente con compiti ispettivi sugli incidenti e sui ”mancati incidenti”. E una moratoria della liberalizzazione sarebbe un atto dovuto anche a livello nazionale.
Un’ultima notazione. L’alta dirigenza di Fs e delle principali società del gruppo (Trenitalia e Rfi innanzitutto) non può sottrarsi alle proprie responsabilità di fronte all’incidente di Viareggio. Per due ordini di ragioni. Il primo è specifico e nasce dal già citato rapporto diretto che ancora sussiste tra Agenzia nazionale sulla sicurezza ferroviaria e personale del gruppo Fs. Il secondo è di carattere generale: chi occupa posizioni di alta responsabilità in sistemi complessi, non può esimersi dal segnalare l’infrazione alle norme e agli standard sulla sicurezza, anche quando questi formalmente sono nella responsabilità di altri soggetti; lo stesso vale per la richiesta di norme e standard più stringenti (che non può essere fatta il giorno dopo l’incidente...). Si tratta di un requisito – prima morale che manageriale – che dovrebbe costituire condizione necessaria per l’assunzione di responsabilità di primo livello nelle aziende di trasporto, pubbliche o private che siano.
* Professore associato di economia applicata – Università di Sassari
Esperto di economia e politica dei trasporti

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