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Unione europea, la scommessa di Syriza

23/12/2014

Tsipras chiede che la Bce finanzi il nuovo debito greco e soprattutto ha promesso la fine dell’austerity. La Germania è contraria ma una possibilità potrebbe arrivare dalla Spagna

A quasi tre anni dall’apice della crisi, l’Europa ed i mercati mondiali si sono accorti di avere ancora un problema chiamato Grecia. Gli increduli politici di Bruxelles sembrano ancora non essersi resi conto che l’austerity non solo è fallimentare economicamente ma è anche insostenibile politicamente, e vivono ora con timore la possibile vittoria di Syriza se la Grecia andrà ad elezioni anticipate, vittoria in realtà frutto proprio delle politiche imposte dall’Europa.

Per intanto, la sola ipotesi di vedere Tsipras alla guida della Grecia ha già mandato nel panico i mercati, affondando la Borsa greca ed esasperando i banchieri londinesi che vedono una vittoria di Syriza come “peggio del comunismo”. Il programma di Tsipras, in realtà, non sembra certo così radicale, ed è in linea con quanto richiesto da autorevoli economisti come Krugman e commentatori economici come Munchau sul Financial Times. Dal punto di vista dei rapporti con l’Europa, il leader greco ha sempre detto che non vuole assolutamente lasciare la moneta unica. Vuole però che la BCE finanzi per gli anni a venire il nuovo debito greco, ed allo stesso tempo effettuerà un sostanziale haircut del debito. Soprattutto, Syriza ha promesso la fine dell’austerity, con un aumento di salari e pensioni, e riduzione del costo di cibo, elettricità, sanità contro l’esclusione sociale.

Il piano, per quanto moderato, non sembra però realizzabile, quantomeno al momento. L’haircut del debito potrebbe anche trovare interlocutori disponibili in Germania, che ha sempre sostenuto l’idea che anche i creditori sostenessero delle perdite – cosa che fu a suo tempo stoppata soprattutto dagli Stati Uniti e dalla paura, non ingiustificata, che una ristrutturazione del debito in Grecia avrebbe mandato a gambe all’aria Italia e Spagna, e tutta la zona Euro.

I veri problemi sorgerebbero, invece, davanti alla richiesta di finanziare nuove emissioni di debito greco attraverso la BCE, cosa che la Germania non sembra neanche volere prendere in considerazione. Senza questo improbabile via libera, Syriza si troverebbe davanti ad una scelta drastica. Atene ha sì ancora una parziale sovranità sulle politiche fiscali – per quanto ristretta dalle regole del Sixpack e dal patto di stabilità – e potrebbe quindi tentare di invertire la rotta dell’austerity, ma non avrebbe la possibilità di finanziare le nuove spese. Senza accesso ai mercati internazionali, e senza supporto della BCE, non rimarrebbe che stampare moneta, cosa possibile solo uscendo dall’Euro.

La scelta, dunque, sarebbe tra il rimanere in Europa e la fine dell’austerity. Syriza spera di evitare questa scelta scommettendo sul potere di ricatto della Grecia, una cui uscita dalla zona Euro metterebbe nel panico tutte le cancellerie occidentali. Tsipras sa – e lo sanno bene anche le cancellerie europee – che il suo intero capitale politico è stato costruito sulla lotta all’austerity: non sembra dunque possibile che si rimangi la parola data agli elettori, come invece fatto, ad esempio, da Hollande; né, tantomeno, pare che le pressioni della UE possano sortire alcun effetto – anzi, l’idea è proprio usare le possibili minacce europee contro la UE, mettendola con la schiena al muro: fine dell’austerity, o Grexit. L’arma sembra però spuntata: se un’uscita greca sarebbe potuta essere catastrofica nel 2011-12, la situazione è, almeno all’apparenza meno grave ora, con i tassi di interesse sotto controllo e una BCE pronta ad intervenire per evitare il panico nell’area mediterranea.

Quel che serve a Syriza è scalfire l’unità europea e sperare di incassare l’appoggio di qualche governo “importante”. Renzi e Hollande potrebbero entrambi avere qualche interesse a cavalcare l’onda greca: si tratterebbe, per uno, di cambiare davvero verso all’Europa ed aver mano libera nella difficile gestione dell’economia italiana; e per l’altro di mettere un freno alla temibile avanzata del Front National, rivendicando un nuovo ruolo per la Francia. In realtà, sembra improbabile che possa accadere: al di là della parole, i due paesi non hanno mai concretamente preso le distanze dall’austerity, ed una svolta “keynesiana” sembra andare ben al di là dell’orizzonte politico e culturale dei due leader politici – e di due partiti, per quanto complessi come il PS francese ed il PD, che hanno da tempo abbracciato ideologie conservatrici e neo-liberali.

La vera possibilità viene dalla Spagna, dove Podemos ha un programma che ricalca per vari versi quello di Syriza. Nell’autunno del 2015 si terranno le elezioni generali spagnole, ed una vittoria di Syriza nei primi mesi dell’anno potrebbe fare da volano a Podemos, che pure è in testa nei sondaggi spagnoli – e che chiede una convergenza europea su una nuova agenda, ben consci che la lotta di un singolo stato è destinata a fallire. Tsipras potrebbe dunque cercare di guadagnare tempo, iniziando una lunga contrattazione con la UE, aspettando di essere affiancato da Iglesias per un braccio di ferro che, a quel punto, rischierebbe di mettere in seria difficoltà la Germania.

Siamo nel campo delle ipotesi, e molti sono gli interrogativi – dalla paventata fuga di capitali ad Atene per destabilizzare il nuovo governo, ad una possibile grande coalizione a Madrid per respingere l’avanzata di Podemos. Si tratta di una scommessa al buio, uno scontro in bilico su un precipizio in fondo al quale c’è la conflagrazione dell’Unione Europea.

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