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La comunicazione ai tempi della Troika
I negoziati sul debito greco sono ormai un vero e proprio evento mediatico. Mai come oggi la comunicazione ha giocato un ruolo così strategico
Sachinidis, Zanias, Stournaras, Hardouvelis: i cognomi dei ministri delle finanze della Grecia dal 2012 al 2014 sono pressoché sconosciuti ai più, specialmente fuori dai confini del Paese. E alla fine arriva Yanis Varoufakis, il “Dr. Doom”, il “Motociclista marxista”, lo “champagne socialist” che con il suo stile decisamente non convenzionale per gli ambienti ingessati e incolore di Bruxelles è diventato senza dubbio uno dei protagonisti del racconto mediatico in Europa e forse il più conosciuto Ministro dell’economia della scena europea degli ultimi decenni.
Una vera e propria icona pop cui sono state dedicate pagine Facebook1 e caricature di ogni tipo, sia celebrative sia denigratorie. Una sorta di “eroe vendicatore” per tutti coloro che si oppongono alle politiche di austerity, oppure un arrogante scellerato che sta mettendo in pericolo la stabilità dell’eurozona.
Varoufakis possiede senza dubbio sia un ego importante, che un grande appeal mediatico, tanto da avere più volte oscurato per popolarità il suo primo ministro Tsipras. Tutto d’un tratto il marxismo si mette la giacca di pelle, sale in moto e affronta i negoziatori europei.
La sovraesposizione del personaggio attraverso innumerevoli interviste su quotidiani e media internazionali, spesso tedeschi, non è però una mera questione di carisma e narcisismo. Come forse mai prima nella storia delle trattative all’interno dell’Unione Europea, la comunicazione è centrale, soprattutto quella rivolta a chi in tali negoziati non prende parte, ma gioca un ruolo strategico essenziale: elettori e soprattutto i mercati finanziari. Le negoziazioni sul debito greco sono ormai un vero e proprio evento mediatico.
Vale quindi la pena cercare di capire la logica di questo show negoziale. E per far ciò occorre porsi qualche domanda sulle strategie comunicative dei protagonisti di questo braccio di ferro. Quale può essere innanzitutto l’arma negoziale di Varoufakis? L’obiettivo dei negoziatori greci è quello di rimanere nell’Eurozona facendo un parziale default concordato con i creditori e senza sottostare ai diktat dell’austerità. Come spiega Paul Mason, giornalista della BBC molto vicino al Ministro delle finanze greco, se questo non fosse possibile, la Grecia uscirebbe dall’eurozona sbattendo la porta talmente violentemente dietro di sé da far crollare l’intero “edificio Euro”2.
Ma cosa potrebbe dare alla Grecia, un paese economicamente in ginocchio, una tale forza?
Il default in sé non è una minaccia sufficiente per guadagnarsi margini di trattativa. È ormai cosa nota che le banche europee – su tutte quelle francesi e tedesche – si sono liberate della maggior parte dei titoli di debito pubblico greci che avevano in pancia allo scoppio della crisi. Ora questi titoli di debito sono stati spostati sui bilanci pubblici. Di conseguenza, vista la loro dimensione e il sostegno della BCE, non rappresentano più una minaccia “terribile.3
Tuttavia, l’Eurozona, nonostante le misure straordinarie di Draghi, dipende ancora molto dai mercati finanziari e quindi dalla fiducia che questi pongono nell’istituzione Euro. Incrinare quella fiducia potrebbe mettere a repentaglio l’Eurozona. E in questa direzione sembrano muoversi le apparizioni mediatiche di Varoufakis.
Due sono gli elementi chiave della comunicazione dei negoziatori greci. Da un lato, una chiara ma rigorosa logica economica: “Quello greco è un problema di insolvenza, non di liquidità, e come tale va trattato”, “L’austerità non ha funzionato, bisogna usare un’altra medicina”. Esprimendosi in un inglese forbito, Varoufakis si è mostrato personaggio capace di comunicare ai mercati, chiarendo in quale direzione vuole andare il suo governo. Il Ministro delle finanze ellenico, anche quando oggetto di attacchi, ha mostrato un atteggiamento di apertura e un punto di vista apertamente europeista, ponendo l’accento sul futuro dell’Europa prima ancora che della Grecia e riferendosi sempre ai suoi “partner europei”. Varoufakis ha più volte chiarito che se il suo Paese fosse cacciato dall’eurozona saranno gli altri membri ad assumersi le responsabilità di questo fallimento.
Il fine della tattica comunicativa di Varoufakis sembra dunque questo: l’uscita della Grecia non sarà un fallimento suo o dell’Eurogruppo, ma segnerà il fallimento dell’Euro. Un’eurozona non in grado di rimediare al problema “Grecia”, un problema piccolo da un punto di vista dei bilanci, è un’Europa fallimentare. E Varoufakis ha molto insistito su questo punto. La porta sbattuta in questo modo potrebbe incrinare i vetri delle finestre ed esporre tutta la casa alle intemperie dei mercati finanziari.
Questa tattica non è però priva di rischi, tutt’altro. Wolfgang Munchau pochi giorni fa sul Financial Times ha scritto che “i paesi dell’Eurozona devono accettare qualche verità economica – tutte espresse accuratamente ma non diplomaticamente da Yanis Varoufakis”. Lo stile comunicativo informale e poco ortodosso di Varoufakis, che lo rende il beniamino dei massmedia, si presta ad un utilizzo strumentale da parte delle sue controparti negoziali e rischia di ritorcersi contro la Grecia e il suo governo. Il messaggio dei negoziatori europei quando criticano il governo greco e Varoufakis per la sua arroganza è infatti altrettanto chiaro: questo governo, non la Commissione europea, non la troika, sarà responsabile del fallimento del Paese e del progetto europeo. L’attacco a Varoufakis, definito un “giocatore d’azzardo, un dilettante” dalla sua nemesi Dijesselbloem (il diligente allievo incravattato che tiene a posto i conti, rappresentante dell’economia dei numeri), sembra in qualche modo costruito ad arte. Screditare il governo Tsipras e Varoufakis, addossare loro tutte le colpe, significa disarmarli, neutralizzarne la strategia.
I creditori europei possono ampiamente fare leva sulle “linee rosse” menzionate da Tsipras, facendo apparire i loro impertinenti interlocutori greci come i responsabili del temuto fallimento dei negoziati e della Grexit. Inoltre, l’affacciarsi sulla scena europea di proposte politiche che premono per un’inversione di rotta nella teoria e nella politica – insistendo su temi come la disuguaglianza, l’occupazione e il lavoro – senza abbracciare posizioni populistiche o anti-europeiste, non è cosa gradita alle élite. Se si riuscisse a domare Syriza e a portarla sulla linea dei creditori, il suo fallimento sarebbe una lezione, dimostrerebbe che un’alternativa non è praticabile, anzi, sarebbe solo una scelta scellerata foriera di problemi.
Le varie posizioni in campo non sono portate avanti solo dalle parti direttamente coinvolte nei negoziati, ma sono riprese e amplificate da media e opinion leader. I quali – per lo più per “questioni di parrocchia” puramente ideologiche (se sei di sinistra sei per Syriza e Varoufakis, se sei neoliberale e conservatore sei “pro-Troika”) alimentano e fanno da cassa di risonanza a questo duello, spesso in maniera implicita o inconsapevole.
È dunque necessario prendere coscienza delle dinamiche sotterranee al racconto dei negoziati, riflettendo su alcuni punti cruciali. In primo luogo, occorre adottare una prospettiva storica più ampia, perché la responsabilità dell’attuale condizione della Grecia non è certo di Syriza, bensì dei governi precedenti e dei loro partner europei, i quali non sono stati in grado di – o non hanno voluto – mettere un freno agli squilibri dell’eurozona, intrinsechi alla sua peculiare architettura. In secondo luogo, l’austerità non serve a far riprendere l’economia greca, è solo un modo per tenere le cose artificialmente a galla per dirottare quante più risorse possibile verso i creditori, confidando – forse pure genuinamente, in un modo che sa di cieca adesione religiosa – che i conti pubblici in ordine saranno sufficiente a fare ripartire un’economia in ginocchio con dei problemi strutturali non trascurabili.
Infine, un’Europa dei capitali è un’Europa senza futuro. Favorire una competizione al ribasso sul fisco - per attrarre aziende straniere e sottrarre introiti fiscali (si veda il caso irlandese) - o sui salari - per conquistare domanda estera (secondo il modello tedesco) – è una strategia miope quando non addirittura deleteria, perché in nome della concorrenza scatena una lotta del tutti contro tutti in cui a farne le spese sono i cittadini europei, costretti a pagare il conto per rendere le loro economie nazionali, reciprocamente più competitive. Mentre “l’economia europea” – se mai è esista come tale – traballa sempre di più.
1https://www.facebook.com/VforVaroufakis?fref=ts e https://www.facebook.com/pages/Varoufucker/1616347065251646?fref=ts
2 http://www.truth-out.org/news/item/29196-rejecting-austerity-greece-squares-off-with-its-creditors-and-risks-future-in-eurozone#http://blogs.channel4.com/paul-mason-blog/leak-counterleak-achieve-greek-deal/3329
3 http://www.infodata.ilsole24ore.com/2015/03/04/qe-pronti-1-100-miliardi-per-lacquisto-dei-titoli-a-partire-dal-9-marzo/
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