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L’altra strada che conduce a Bruxelles

28/02/2014

Euro tunnel/8 Il 19 marzo all’Europarlamento il forum organizzato da Euro-pen Con movimenti, sindacati e partiti per presentare le alternative per un'altra Europa

È un’Europa messa in ginocchio dall’austerità quella che è chiamata a votare alle elezioni europee di maggio. È possibile che il dibattito sul voto affronti le possibilità concrete di un cambiamento di rotta? Prova a farlo "Un’altra strada per l’Europa", il forum organizzato il 19 marzo prossimo al Parlamento europeo dalla Rete europea degli economisti progressisti (Euro-pen), di cui fa parte Sbilanciamoci!, insieme a EuroMemorandum, Economistes Atterrés francesi, Transnational Institute e molti altri. Come già nel primo incontro tenutosi due anni anni fa e aperto da Rossana Rossanda esperti, movimenti e sindacati presenteranno alle forze politiche europee e nazionali le alternative per uscire dalla crisi. Fine dell’austerità e abbandono del Fiscal Compact, politiche industriali e per l’occupazione, un green new deal e la sostenibilità ambientale, più democrazia a tutti i livelli sono le proposte chiave. Insieme – per quanto riguarda euro, debito e finanza alle proposte illustrate qui sotto.

A presentare le alternative, tra gli altri, Susan George e Luciana Castellina, Elena Papadopoulou e Henri Sterdyniak, Andrea Baranes e Felipe van Keirsbilck, John Grahl e Mario Pianta, Ronald Jansen della Confederazione europea dei sindacati e Stefano Maruca della Fiom. Tra i politici saranno presenti Gianni Pittella, vice-presidente del Parlamento europeo, i socialisti francesi Liêm Hoang Ngoc e Cecilia Gondard, oltre al Pd Stefano Fassina. Per i Verdi ci saranno Monica Frassoni e Sven Giegold. Per la Sinistra (Gue) l’europarlamentare di Syriza Nicholas Chountis insieme a Willy Meier, Jurgen Klute e altri. Dall’Italia i deputati di Sel Giorgio Airaudo e Giulio Marcon. Per informazioni www.euro-pen.org e old.sbilanciamoci.info.

Responsabilità comune, eurobond e un nuovo ruolo della Bce. E una spesa pubblica europea

Annunciando che avrebbe fatto «tutto il necessario per salvare l’euro», nel 2012 il governatore della Bce Mario Draghi è riuscito a stabilizzare la moneta. Ma non ha risolto il debito pubblico dei paesi della periferia (133% del Pil in Italia) e l’enorme peso degli interessi passivi che questi continuano a pagare sul debito pregresso (in Italia 80 miliardi di euro l’anno, circa il 5% del Pil), mentre la Germania è favorita da tassi d’interesse negativi. Per correggere (lievemente) questo squilibrio, da Berlino è ora venuta la proposta di creare un fondo comune in cui i paesi con i tassi più bassi trasferirebbero una parte dei guadagni ai paesi con lo spread più alto, in cambio di programmi di «riforme strutturali». Sarebbero pochi soldi, limitati al debito di nuova emissione, senza alcuna mutualizzazione dei rischi. La soluzione del problema del debito pubblico nell’eurozona richiede invece una responsabilità comune sul debito, un nuovo ruolo della Bce e l’introduzione di eurobond. Molte le proposte: il Consiglio tedesco degli esperti economici ha proposto di mutualizzare la parte del debito dei paesi sopra il 60% del Pil.

Bofinger, consigliere di Berlino, propone la versione più leggera: l’emissione di «euro-bundles» il cui valore verrebbe ripartito in base alle dimensioni dei paesi, con tassi d'interesse differenziati. Romano Prodi e Alberto Quadro Curzio prevedono un nuovo fondo che emetta eurobond con garanzie reali (tra cui l’oro delle riserve nazionali), limitando i rischi per la Germania. Altri insistono su eurobond le cui risorse siano utilizzate per investire nella riconversione ecologica dell’economia e nella ricostruzione delle capacità produttive della periferia: una nuova spesa pubblica a livello europeo che potrebbe rilanciare la domanda e mettere fine alla depressione.

Modificare il ruolo della Bce: più politica, sotto il controllo
 del Parlamento

La disoccupazione nell’eurozona ha raggiunti livelli record e la Bce continua a nascondersi dietro al suo mandato, con l’obiettivo chiave del controllo dell’inflazione. A differenza di tutte le altre banche centrali, la Bce non è solo indipendente in termini operativi, ma è al di là del controllo di qualsiasi organo politico. Non può finanziare il debito degli stati ma distribuisce miliardi di euro alle banche private. Con le regole attuali, la Corte costituzionale tedesca ha messo in discussione perfino le misure introdotte da Draghi (finora non utilizzate) per poter acquistare in caso di emergenza titoli pubblici già sul mercato (il programma Omt).

Da Krugman a Tsipras, sono molti a chiedere un ruolo diverso della Bce, da avvicinare al modello della Fed Usa. Primo, gli obiettivi della Bce dovrebbero includere crescita e occupazione, e le politiche monetarie seguire le scelte macroeconomiche concordate dall’Unione. Secondo, la Bce, come tutte le altre banche centrali, dovrebbe diventare prestatrice di ultima istanza sul debito degli stati, in particolare sugli eurobond emessi collettivamente dall’eurozona. Vista l’emergenza della periferia europea, economisti come Charles Wyplosz hanno chiesto alla Bce di finanziare direttamente la spesa dei governi degli stati in difficoltà; questo – secondo alcuni potrebbe essere realizzato senza infrangere i trattati ricorrendo allo strumento dell’Emergency liquidity assistance previsto dallo statuto del Sistema europeo di banche centrali, che consente alle banche centrali nazionali di stampare moneta in caso di emergenza. Terzo, la Bce dovrebbe essere riformata in senso democratico, rientrare tra le istituzioni europee con una responsabilità politica, i membri del board non dovrebbero più essere espressione soltanto del mondo della finanza, e il suo operato essere sottoposto al controllo del Parlamento Europeo.

Controllare i capitali in entrata e in uscita, tassare le transazioni finanziarie

La Ue è stata all’avanguardia nel liberalizzare i movimenti di capitale: tolti i controlli nel 1990, nel 1992 la speculazione ha fatto crollare il precario Sistema monetario europeo (la lira si svalutò del 30%). Con una finanza che sposta continuamente enormi quantità di capitali da un paese all’altro, da un investimento all’altro, da una valuta all’altra, tutti i paesi – anche quelli che conservano la sovranità monetaria – sono esposti al rischio di bolle speculative – quando entrano troppi capitali, come in Islanda, Irlanda, Spagna o di una spirale fatta di svalutazione, inflazione, deficit estero quando i capitali sono in fuga (sta avvenendo ora in molti paesi emergenti).

Fmi e la Banca Mondiale parlano apertamente della necessità di ridurre l’instabilità dei flussi finanziari mondiali. Molti paesi hanno introdotto depositi preliminari per incoraggiare gli investimenti a lungo termine. Da Washington, Londra e Berlino crescono le pressioni sulla Svizzera per limitare la segretezza che circonda i capitali che sbarcano a Zurigo. La stessa Unione europea ha introdotto rigidi controlli sui movimenti di capitale quando è intervenuta per salvare il sistema finanziario di Cipro, il più recente (e dimenticato) scandalo che ha colpito un paese dell’area euro.

Su questo fronte servirebbe una riforma del sistema finanziario internazionale, che introduca forme di controllo dei capitali in entrata e in uscita, limitando i flussi speculativi; le iniziative unilaterali di singoli paesi – come nel caso del default dell’Argentina – finiscono per isolare i paesi che ne fanno uso. Naturalmente, la tassa sulle transazioni finanziarie è uno strumento importante per ridimensionare i flussi speculativi, insieme alle misure sulla finanza presentate in "Banche da legare", il n.4 di Sbilanciamo l’Europa.

 

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