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Settori ad alto rischio, lavorare nel petrolio

20/09/2013

Lavorare a estrarre e trasformare il petrolio non è mai stato particolarmente gradevole. Ma col le perforazioni in mare, le alte pressioni e l'alta acidità del petrolio, i rischi sono aumentati

Lavorare a estrarre il petrolio, a trasportarlo e trasformarlo, non è mai stato particolarmente gradevole, anche quando lo si faceva vicino a casa. Antonioni non girò Deserto rosso per sostenere che gli impianti chimici avevano abbellito Ravenna e migliorato la vita di chi ci abitava. Ma, col prevalere delle perforazioni in mare, anche in acque profonde, delle perforazioni in luoghi insalubri, con alte pressioni e petrolio ad alta acidità, i rischi sono aumentati. È anche cambiata la composizione della forza lavoro, con un aumento dei tecnici indiani, pakistani, cinesi e la presenza importante di operai locali, un po' dappertutto – in Kazkhstan, in Venezuela, in Nigeria, in Angola – meno ricattabili di quelli importati nei paesi del Golfo, senza passaporto, senza traccia.

È aumentata la varietà della composizione della forza lavoro per provenienza, anche nei paesi in cui fino a una ventina di anni fa era più uniforme. L'Eni informa di avere il 57,85% di dipendenti all'estero, dei quali il 76% sono locali, il 10% italiani emigrati, il 14% stranieri emigrati.

Se si dà un'occhiata alle legislazioni sul lavoro di alcuni paesi importanti si scoprono profonde differenze. La Ley fundamental del trabajo venezuelana, accanto alle norme che ci si aspettano, sul diritto di associazione, di rappresentanza, di sciopero, se ne trovano alcune che sarebbero impensabili nei paesi del Golfo, sulle percentuali minime di lavoratori locali. Non vogliono che il petrolio li attraversi senza portare neppure lavoro. È noto che in Arabia Saudita alcune provenienze di immigrati – dall'Egitto e da altri paesi arabi – sono state prima incoraggiate, per la somiglianza di lingua e di religione, poi bloccate perché minacciavano di diventare troppo potenti e sostituite con indiani, pakistani, filippini. Della Nigeria sono noti i conflitti del Governo – e delle compagnie – con le popolazioni più coinvolte, come gli Ogoni, fino alla fucilazione di Ken Saro Wiwa, a una cui bella poesia il Manifesto dedicò una pagina.

In Kazakhstan le legge, accessibile facilmente a proposito di una tragica controversia di cui parlerò, prevede il diritto di associazione, di manifestazione, di sciopero, salvo, a certe condizioni nei servizi pubblici – come quasi dappertutto – e nei “settori ad alto rischio”, cioè nel petrolio.

Malgrado non siano trattati con cortesia, i lavoratori locali non sembrano per niente propensi a “servire e tacer”. Nel luglio scorso erano in sciopero sia in Nigeria sia in Kazakhstan. I siti facevano giochi di parole su “oil on strike” e “strike on oil”. Difficile capire fino a quale livello gli scioperi si estendessero. Mentre i paesi, le leggi, l'aspetto cambiano molto da un paese all'altro, non cambiano le aziende che assumono e smistano i tecnici internazionali. Se si digita oil and gas jobs kazakhstan e poi oil and gas jobs nigeria compare un formulario della stessa agenzia di collocamento in cui cambiano solo le qualifiche richieste, incredibilmente numerose e settoriali. E si tratta sempre di assunzioni individuali, senza indicazione di contratto o di retribuzione, di cui si dice solo che è trattabile. Quali sono, nella realtà, le condizioni di lavoro e di vita, le retribuzioni, i diritti sindacali, nei vari paesi? E quali sono i rischi cui sono esposti? Non ho cercato di trovare una risposta dettagliata e approfondita. Non sappiamo quali siano le condizioni ambientali a Taranto o in Terra di Lavoro. Di Taranto ignoravamo fino a una settimana fa l'esistenza di una catena di comando segreta che rispondeva direttamente alla Proprietà, scavalcando i dirigenti. Figuriamoci in Nigeria e Kazakhstan! Ma sulle condizioni di lavoro in ambienti ostili, anche e soprattutto dei tecnici indispensabili, e sui conflitti sociali, si trova più di quanto non si creda, anche se non sistematicamente.

Che le perforazioni in mare, soprattutto in acque profonde, siano pericolose non è una novità. Ed è vero che gli alloggi sulle piattaforme e sulle navi hanno l'aria condizionata, ma è anche vero che i turni sono molto lunghi e che i lunghi soggiorni hanno la piacevolezza di una galera; senza le guardie, che è un bel vantaggio. Non sapevo però che fosse diventato normale fare turni di lavoro lunghi, di settimane, a profondità alte, di varie centinaia di metri, ovviamente rese più lunghe dal tempo necessario ad ambientare i lavoratori alla pressione di 30 atmosfere che c'è a 300 metri, cambiando la miscela di ossigeno ed azoto con una di ossigeno ed elio, per evitare l'ubriachezza da azoto, che ha ucciso tanti sub. Un articolo del 7 febbraio 2013 della “New York Review of Books”, leggibile interamente in archivio, racconta la storia di Hannes Keller che morì nel 1962 durante la prima immersione a 300 metri, con la miscela di ossigeno ed elio, e miscele intermedie alle varie profondità, finanziata dalla marina americana. In seguito la procedura diventò più sicura ed è usata quando e dove serve. La compressione, con la sostituzione della miscela all'aria atmosferica, può avvenire anche in una capsula agganciata alla nave appoggio, al livello del mare. Quando si raggiunge la pressione voluta, si cala la capsula e si fa uscire il sub. Naturalmente, qualunque cosa succeda, non si può abbassare la pressione senza provocare terribili e mortali embolie. È come aggiungere un paio di settimane obbligatorie al normale periodo di lavoro. Si può osservare che si tratta di condizioni di vita e di lavoro non troppo diverse da quelle degli astronauti, ma senza panorama. Anche gli astronauti non possono tornare a terra rapidamente se ne hanno bisogno. La domanda è: quanto guadagna un lavoratore in quelle condizioni? L'articolo dice 40.000 $ lordi l'anno, se non è specializzato; 100.000 o più se lo è. E i rischi? La mortalità è dell'1 per mille per anno. Del resto ci sono i collaudatori di prototipi di aerei, gli acrobati sul filo, i paracadutisti da spettacolo. Il lavoro è vario al mondo.

http://www.nybooks.com/articles/archives/2013/feb/07/diving-deep-danger/

Per i conflitti sociali è molto importante il Rapporto 2013 di Human Rights Watch sulle circostanze della uccisione di 12 lavoratori del petrolio, e il ferimento di molti altri, dopo cariche e scontri, da parte della forza pubblica nel 2011 in Kazakhstan.

http://www.hrw.org/sites/default/files/reports/kazakhstan0912ForUpload_0.pdf

Il rapporto, di 162 pagine, intitolato Striking Oil, Striking Workers.Violations of Labor Rights in Kazakhstan’s Oil Sector è interamente leggibile e merita una lettura completa, perchè la storia è molto illuminante ed anche perché la Ersai Caspian Contractor LLC, una delle tre aziende implicate, è una joint venture tra la Kazakhstan’s ERC Holdings, Lancaster Group Kazakhstan, e la Saipem International B.V, dell'Eni. Le altre due aziende sono la KarazhanbasMunai JSC e la OzenMunaiGas. Per completezza bisognerebbe citare i pasticci di cui sono accusati in questi giorni i dirigenti Saipem in combutta con la algerina Sonatrach, ma riguardano i soldi, non direttamente il lavoro.

Il rapporto di Human Rights Watch, come in altri casi, è insieme una ricognizione dello stato economico e sociale del paese, una documentata requisitoria, un elenco di richieste a tutte le parti in causa – Governo kazako, governi di Stati esteri interessati, organizzazioni internazionali, organizzazioni sindacali, aziende locali e internazionali – e un vero e proprio racconto, giorno per giorno, di una drammatica vicenda, con un suo tragico episodio centrale, con i personaggi ricorrenti ben delineati, con nomi fittizi, quando necessario, con i nomi veri, slavi e kazaki, quando possibile.

Non si può tentare un sunto globale. Chi ha scritto conosce le facce, le storie. Mostra, quando è il caso, tra le righe della cronaca e della ricognizione giuridica, una giusta indignazione. Io sono solo un lettore. Mi limito a elencare gli aspetti che mi sembrano fondamentali, di fatto e di diritto.

I fatti sono avvenuto nel 2011, a Zhanaozen, nel Mangystau, nell'estremo occidente kazako, sulle rive del Caspio. La regione è una delle più ricche di petrolio, ma era anche, ed è rimasta, una delle più povere, mentre il Pil del paese, nel suo complesso, cresceva dell'8% per anno. Raramente il petrolio rende ricche le persone e le regioni che lo producono; caso mai le classi dirigenti nelle capitali. Le rivendicazioni riguardano le condizioni di lavoro e le retribuzioni, che sono diminuite. Le leggi kazake proteggono il diritto di presentare rivendicazioni, il diritto di associazione, la libertà di eleggere i dirigenti. Ma i sindacati liberi nati dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica e associati nella Confederation of Free Trade Unions of Kazakhstan (KSPK) sono diventati tutt'uno col governo, come del resto è avvenuto in Algeria, in Tunisia, in Marocco, e altrove. Associarsi in un sindacato autonomo è diventato difficile. I delegati eletti possono essere esclusi dalle riunioni, come è avvenuto, insieme ad altri, all'avvocatessa Natalia Sokolova, poi condannata a 6 anni di reclusione per "incitamento alla divisone sociale". I lavoratori, in momenti diversi, non si riconoscono nella procedura di mediazione che la legge prevede, perchè le aziende e il governo scelgono loro i mediatori, e scendono in sciopero. Gli scioperi vengono dichiarati illegali dal tribunale del Mengystau, perchè avvengono in un settore ad alto rischio. I lavoratori vanno avanti lo stesso, per sei mesi in un caso, per un mese e mezzo in un altro. Ci sono centinaia di licenziamenti, per un totale di duemila nelle tre aziende. Ad alcuni lavoratori in sciopero viene impedito di entrare nei loro alloggi. Vengono negati spazi di riunione; ci sono pestaggi e minacce a mano armata. I lavoratori cominciano a riunirsi in una piazza, che è l'unico luogo rimasto. Ma si avvicina una ricorrenza e il Governo vuole la piazza libera. Gli operai resistono; bruciano suppellettili. La polizia spara e fa dodici morti e varie decine di feriti. Cui si aggiungono tre morti che non erano parte in causa.

Il Rapporto segnala violazioni delle leggi kazake; illegalità delle leggi kazake secondo le norme della OIL; una lunga serie di arresti e violenze illegittime. Chiede al Governo kazako il rispetto delle leggi proprie e internazionali; alle aziende il rispetto dei diritti sindacali; alle confederazioni sindacali il riconoscimento dei sindacati autonomi.

Non si tratta di richieste impotenti. Il Governo kazako aderisce ai trattati internazionali, è candidato per entrare nella OIL. Una delle aziende colpevoli di violazione dei diritti è una azienda pubblica italiana. Non è storia antica. Il tempo per fare qualcosa è ora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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