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Ecuador, i paradossi del neo-estrattivismo
La società del Buen Vivir voluta da Raphael Correa sembra intraprendere un cammino indirizzato su una strada alternativa ma con un motore per nulla nuovo
La Revolucion Ciudadana (rivoluzione di cittadinanza), il progetto politico nato dalla coalizione dei movimenti politici e sociali guidata da Rafael Correa, Presidente dell’Ecuador dal 2007, ha creato più di qualche aspettativa tra i tanti studiosi e movimenti sociali, non solo ecuadoriani, che hanno intravisto in essa un incoraggiante tentativo di introdurre un paradigma di sviluppo alternativo a quello mainstream. Del resto, l’obiettivo del progetto politico ecuadoriano si presenta piuttosto ambizioso: costruire una società del Buen Vivir prendendo ispirazione dalla cosmovisione indigena del Sumak Kawsay, una società che sia pienamente sostenibile e inclusiva. Ma quanto vi è di retorica politica in quest’ambizioso progetto e quanto vi è invece di realmente rivoluzionario? Gli ottimi risultati raggiunti in termini sociali dal Governo Correa mostrano sicuramente una rinnovata attenzione a tematiche quali povertà e disuguaglianza, ma rappresentano allo stesso tempo il risultato di un incremento delle rendite del settore estrattivo che dopo gli anni del periodo neo-liberista sono tornate principalmente sotto il controllo statale. Insomma sembra trattarsi di un cammino indirizzato su una strada alternativa ma con un motore per nulla nuovo, preso in prestito dal vecchio modello di sviluppo.
Le ragioni su cui poggia questo continuo e quantomeno ambiguo ricorso alle risorse naturali, in aperta contraddizione con il nuovo quadro costituzionale volto a implementare una relazione armonica tra uomini e tra uomo e natura, ruotano innanzitutto attorno al tema della “necessità”. Una motivazione che con tutta evidenza ha i suoi perché ma che forse ridimensiona le aspettative rivoluzionarie affidate originariamente al progetto ecuadoriano. Renè Ramirez (1) uno dei curatori del primo Piano Nazionale per il Buen Vivir (2009), difende in “Socialismo del Sumak Kawsay o biosocialismo repubblicano (2010) “l’inevitabilità dell’estrattivismo e la necessità di attraversare una prima tappa di “transizione” nella quale la dipendenza dai beni primari permetterà, insieme a una politica statale redistributiva, di porre le basi per un futuro cambio della matrice energetica del paese. Lo sviluppo del settore industriale e un incremento degli investimenti in ricerca e tecnologia consentirà all’economia del Paese di liberarsi dal peso dell’industria estrattiva e raggiungere nel lungo termine una piena sostenibilità del processo produttivo. Sempre a difesa di questa politica il presidente Correa ha affermato:“Non possiamo essere dei mendicanti seduti su un sacco d’oro ed essere in condizioni di povertà, arretratezza e immobilismo. Dobbiamo sviluppare il potenziale estrattivo” (2). Insomma, il neo-estrattivismo appare come una sorta di necessità congiunturale il cui superamento – la possibilità di raggiungere il Buen Vivir - dipenderà paradossalmente da una sua intensificazione. Uno dei problemi che questa politica può generare è però legato alla possibilità di sottovalutare i rischi derivanti dalla dipendenza del sistema produttivo dal settore primario. La probabilità che in Ecuador si assista, come già in altri paesi (Nigeria e Venezuela solo per citarne due tra i tanti), al verificarsi della cosiddetta ipotesi della maledizione delle risorse è infatti piuttosto elevata. Del resto, analizzando i fattori (3) ritenuti determinanti dalla letteratura economica di riferimento appare evidente come l’Ecuador non possieda ad oggi i requisiti necessari per potersi ritenere al riparo dai possibili effetti negativi generati dallo sfruttamento delle risorse. In particolare, i valori in continuo deficit della bilancia commerciale non petrolifera nonché il livello stazionario del tasso di partecipazione alle esportazioni dei prodotti industrializzati, registrati dall’economia ecuadoriana, non fanno altro che confermare le difficoltà del settore manifatturiero che parte della letteratura attribuisce proprio all’influenza negativa generata dal settore primario (la cosiddetta sindrome olandese). Ulteriore campanello d’allarme è il crollo registrato negli ultimi due anni dall’indicatore di sostenibilità (Adjusted Net Saving) fornito dalla Banca Mondiale che rappresenta il segnale più evidente di una cattiva allocazione dei ricavi derivanti dallo sfruttamento delle risorse. Ad avvalorare la tesi di una paradossale antieconomicità dello sfruttamento delle risorse naturali in Ecuador contribuiscono inoltre, in maniera sostanziale, il basso livello di qualità istituzionale del Paese (77/99 a livello mondiale e 11/16 a livello regionale nel 2014 per il The World Justice Project) e la recente acquisizione del controllo della quasi totalità delle esportazioni petrolifere ecuadoriane da parte delle imprese cinesi (90%). In contrapposizione ai fattori di rischio vanno comunque registrati gli sforzi del governo ecuadoriano in termini di investimenti in capitale umano. Uno sforzo che rappresenta un tassello fondamentale per un corretto sfruttamento delle risorse naturali e una concreta speranza di sviluppo. Ciononostante i fattori di rischio precedentemente citati devono far riflettere sulla “necessità” dello sfruttamento delle risorse naturali, soprattutto in considerazione dell’impatto ambientale e del ridimensionamento dell’aspetto rivoluzionario del progetto politico ecuadoriano. Attraverso il tema della “necessità” si rischia, infatti, di escludere a priori possibili strade alternative per lo sviluppo del Paese contraddicendo peraltro i principi espressi nella Costituzione di Montecristi (2008).
1) Attualmente Segretario de Educación Superior Ciencia y Tecnología e Innovación dell’Ecuador.
2) Agenzia Reuters, 6 luglio 2010.
3) La letteratura ha individuato sei differenti spiegazioni della cosidetta Resource Curse Hypothesis o maledizione delle risorse: l’effetto della sindrome olandese, la cattiva allocazione dei ricavi derivanti dallo sfruttamento delle risorse, i comportamenti di rent-seeking, il livello di qualità istituzionale, gli investimenti in capitale umano e i livelli iniziali degli indicatori di sviluppo umano.
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