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Lo sforzo dell'innovazione per uscire dal tunnel
Modificare la distribuzione o la produzione? Per uscire dalla crisi, meglio guardare a tutti i suoi aspetti, a partire dal deficit italiano in innovazione e tecnologia
Il dibattito sullo sviluppo e sulla qualità dello stesso, in particolare in Italia, è ritornato, in parte, protagonista con la crisi. Alcuni sottolineano come la distribuzione del reddito (diseguale) intervenuta in questi ultimi 20 anni sia la principale causa della recessione, altri mettono in rilievo la divergenza tra il mercato finanziario e la produzione di beni e servizi, altri la stretta relazione tra crescita economica e specializzazione produttiva, ed altri ancora sottolineano il ruolo fondamentale dell’innovazione tecnologica. Rispetto all’ultimo punto, molti economisti fanno distinzione tra ricerca (innovazione) di processo, che sarebbe labour saving, e di prodotto, che sarebbe l’unica in grado di creare nuova occupazione in ragione dell’apertura-creazione di un nuovo mercato.
Tutte le tesi hanno una certa giustificazione, ma l’uscita dalla crisi pone nuovi problemi. Sicuramente interessa la distribuzione del reddito, ma allo stesso tempo sottolinea l’importanza della specializzazione produttiva e dell’innovazione tecnologica. Infatti, l’eccesso di capacità produttiva dell’attuale produzione manifatturiera, anche qualora migliorasse la distribuzione del reddito, non cambierebbe: eccesso di capacità produttiva c’era prima, ed eccesso di capacità produttiva ci sarà dopo. Infatti, l’aumento della domanda derivante da una diversa distribuzione del reddito, molto più attenta ai redditi bassi, indiscutibilmente fa crescere la propensione al consumo, ma per quella parte di beni e servizi legata ai beni “primari”. Sostanzialmente l’azione dal lato della distribuzione del reddito interessa solo una frazione della produzione. La distribuzione del reddito attiene alla giustizia sociale in primo luogo, e solo in parte più contenuta alla dinamica della crescita economica. Infatti, il grosso della produzione industriale e specularmente dell’innovazione tecnologica interessa sempre di più i beni intermedi, strumentali ed energetici. Questo spaccato tenderà ad approfondirsi con la “scelta” internazionale di rafforzare le attività che interessano la conoscenza, l’ambiente e l’energia rinnovabile.
Lo sviluppo tecnologico nel corso di tutto il '900 consiste proprio in innumerevoli innovazioni, singolarmente molto meno importanti, ma nel loro insieme decisive per migliorare continuamente le prestazioni dei nuovi prodotti e dei nuovi processi, per ampliare il campo della loro utilizzazione, per collegare tra loro i nuovi ritrovati, per introdurne altri e più convenienti, per sfruttare meglio l’accumulazione di nuove conoscenze. Si potrebbe utilizzare S. Kuznets (Driving forces of economic growth: what can we learn from history) quando sottolinea che la società “incoraggia la produzione economica; che contiene un gruppo di imprenditori in grado di recepire queste nuove conoscenze e capace di avventurarsi in tentativi di applicarle su scala sufficientemente ampia così da rendere possibile la scoperta delle potenzialità; che ha la capacità di generare, senza dar origine a costose situazioni di collasso, quei cambiamenti istituzionali e quegli aggiustamenti sociali che possono essere richiesti per incanalare in modo efficace la nuova tecnologia”.
Lo sviluppo e l’innovazione ha comportato profonde modificazioni nella struttura della produzione, dell’occupazione e della domanda finale dei consumatori e delle imprese, cioè si è modificata la struttura settoriale dell’occupazione stessa e per questa via la “fonte” del reddito: sempre meno legata alla produzione di beni di consumo, ovvero sempre più legata alla produzione di beni strumentali ed intermedi. Questi tratti saranno ulteriormente accentuati dal prevedibile-auspicabile indirizzo di politica economica teso a rafforzare la conoscenza, l’ambiente e l’energia da fonti rinnovabili.
Lo sforzo appare enorme, soprattutto se consideriamo il target degli imprenditori italiani, ovvero una specializzazione produttiva che inibisce l’accumulazione e preferisce importare la conoscenza invece che generarla, sia essa di processo e sia essa di prodotto.
L’ambiente e l’energia rinnovabile, per non parlare dell’economia della conoscenza, non devono rimanere degli slogan o piegarsi ad inutili stimoli economici alle imprese o ai consumatori, che tra l’altro si traducono in esportazione di lavoro buono, piuttosto nella capacità di costruire un ambiente economico capace di anticipare la domanda, di prefigurare una nuova domanda che passa anche da una distribuzione del lavoro (riduzione dell’orario di lavoro).
Il successo di una politica economica sta proprio nella capacità di “organizzare” formazione e distribuzione del reddito da un lato, ma anche di anticipare i necessari adeguamenti “istituzionali” in ordine all’organizzazione del lavoro, del tempo (produttivo-riproduttivo), accompagnata da una politica di innovazione tecnologica senza la quale la sfida ambientale, energetica ed altre attività di interesse generale non possono trovare soddisfazione.
Per l’Italia i problemi sono molto più gravi della media degli altri paesi di area euro, nel senso che il nostro paese subisce la crisi internazionale da un lato e la divergenza di specializzazione dall’altro, che ha determinato una minore crescita del pil di 10 punti percentuali rispetto all’Ue. In ragione di ciò sarebbe lecito attendersi un progetto di struttura adeguato.
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