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Green jobs, ecco perché gli ecoscettici sbagliano

26/05/2010

"I lavori verdi costano troppo": secondo uno studio dell'Istituto Leoni, con gli stessi soldi si possono creare più posti in altri settori. Ma i conti sono sbagliati

Carlo Stagnaro e Luciano Lavecchia (dell’Istituto Bruno Leoni) hanno divulgato sul Wall Street Journal dell’11 maggio scorso i risultati di un loro studio sui posti di lavoro imputabili ai settori delle energie rinnovabili (si vedano i riferimenti bibliografici). Esaminando i comparti dell’eolico e del fotovoltaico, gli autori sostengono che ogni green job creato in Italia assorbirebbe una quantità di risorse (nella forma di sussidi pubblici) che, se investite in altri settori, potrebbero generare più di 6 posti di lavoro. Tali risultati sfaterebbero il mito secondo il quale investire risorse pubbliche nelle energie rinnovabili non servirebbe soltanto a combattere i cambiamenti climatici ma anche la disoccupazione.

L’operazione di Stagnaro e Lavecchia ha molte similarità con quella di Gabriel Calzada che l’anno scorso ha pubblicato, sullo stesso tema, un lavoro riferito alla Spagna. Tale studio, che ha ricevuto una discreta risonanza nei media internazionali, era stato predisposto con il dichiarato obiettivo di mandare un messaggio di allerta al Presidente Obama il quale, nel perorare la causa dei green jobs, aveva più volte fatto riferimento alla Spagna come esempio da imitare. Ma quale esempio? Investendo le stesse risorse in altri settori, sosteneva Calzada, la Spagna avrebbe potuto più che raddoppiare i posti di lavoro.

Lo studio di Calzada è stato demolito, pezzo per pezzo, da una replica dell’ISTAS (Instituto Sindical de Trabajo, Ambiente y Salud). Le accuse, solo per menzionare le principali, vanno dall’avere usato (senza citare la fonte) dati che sottostimano fortemente l’occupazione nelle energie rinnovabili, all’aver imputato a queste ultime un aumento del prezzo dell’energia e una conseguente fuga di imprese multinazionali che in Spagna non ci sono stati, all’avere impiegato procedure scorrette per la stima dei posti di lavoro che sarebbero stati “distrutti” dagli incentivi pubblici. In poche parole, quella di Calzada sarebbe una pura operazione di propaganda anti-ambientalista.

Il lavoro di Stagnaro e Lavecchia, pur adottando la stessa metodologia scorretta di Calzada (si veda più avanti), non può essere giudicato alla stessa stregua. Gli autori, ad esempio, non hanno condito il loro scritto con affermazioni fuorvianti del tipo “gli incentivi ecologici distruggono posti di lavoro”. Hanno inoltre dedicato particolare cura al reperimento dei dati relativi all’occupazione e ai sussidi pubblici riferiti ai comparti dell’eolico e del fotovoltaico. Ad esempio, nel caso dell’occupazione, Stagnaro e Lavecchia utilizzano la media di dati provenienti da diversi fonti. Relativamente ai sussidi introdotti dal provvedimento CIP 6/92, non tengono conto di quelli destinati alle fonti “assimilate” alle rinnovabili. Insomma, nulla da dire sulle basi empiriche del loro studio.

Qualche dubbio sorge sulla procedura con cui sono stati poi stimati, per l’anno 2020, l’occupazione e i sussidi cumulati alle energie rinnovabili. Ma non è su questo che mi voglio soffermare. L’aspetto maggiormente critico è che Stagnaro e Lavecchia, per verificare se tali sussidi potrebbero generare maggiori benefici occupazionali se impiegati diversamente, applicano la stessa procedura seguita da Calzada. Comparano cioè lo stock di sussidi per occupato con gli stock di capitale per occupato che, nel periodo 2005-2008, sono stati registrati in Italia nell’intera economia e nel settore industriale.

Come mostra la tabella che segue, lo stock di sussidi per occupato nei comparti delle energie rinnovabili risulta assai più alto dell’intensità di capitale che si riscontra, mediamente, in altri settori. Ergo, concludono Stagnaro e Lavecchia, con i soldi pubblici che un posto di lavoro verde richiede si potrebbero creare molti più posti in altri settori: circa 5 se prendiamo a riferimento l’intera economia e 7 se consideriamo l’industria. Ne conseguirebbe che l’equazione maggiore tutela dell’ambiente = maggiore occupazione è, a ben vedere, falsa. La lotta ai cambiamenti climatici può essere un obiettivo meritorio ma, per favore, evitiamo di illudere l’opinione pubblica che tutto ciò produca vantaggi anche dal punto di vista occupazionale.

Il punto da mettere in evidenza è che queste conclusioni sono del tutto fuorvianti in quanto derivano da una procedura scorretta che Calzada e Stagnaro-Lavecchia adottano con incredibile leggerezza.

Nei corsi di base di economia insegniamo agli studenti che occorre sempre calcolare il costo opportunità di qualsiasi decisione economica, ma spieghiamo anche che quelle che vanno confrontate devono essere alternative credibili. Se ho il problema di come organizzare il trasporto di merci in una zona completamente sprovvista di infrastrutture posso valutare se è più conveniente una strada o un tratto di ferrovia. Ma non è che vado a valutare se con le stesse risorse posso produrre calzature o frigoriferi oppure fornire servizi ricreativi o commerciali. Allo stesso modo, se ci occupiamo di energia e se l’Italia ha un determinato fabbisogno da coprire autonomamente, le alternative che vanno messe a confronto sono le diverse fonti energetiche che può attivare. Se, quindi, rinunciamo ad investire nelle energie rinnovabili (cosa, tra l’altro, impossibile visto che il nostro paese, come tutti quelli della Ue, ha assunto determinati impegni per il 2020) dobbiamo investire nelle centrali nucleari o in quelle a combustibili fossili.

Se questo è vero (e lo è), la domanda corretta che ci dobbiamo porre è quanti posti di lavoro guadagneremmo se invece di incrementare la produzione di energia da fonti rinnovabili aumentassimo il peso delle fonti non rinnovabili e del nucleare. Per operare questo confronto possiamo utilizzare l’intensità media di capitale delle diverse fonti. Non avendola a disposizione, l’alternativa può essere quella di ricorrere a dati riferiti ad un settore che abbia a che fare con la produzione di energia.

Le tavole statistiche allegate alla pubblicazione Istat da cui Stagnaro e Lavecchia hanno ottenuto i valori aggregati del capitale per occupato (si vedano i riferimenti bibliografici) consentono di ottenere dati disaggregati e, in particolare, per la branca definita “Produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua” (limitatamente agli anni 2005-06). Non è l’ottimo in quanto consideriamo anche settori (gas, acqua) o fasi (distribuzione) diverse dalla produzione di energia elettrica. Ma è di gran lunga più opportuno e corretto che prendere come riferimento l’intera industria o l’intera economia!

Nell’ultima riga e nell’ultima colonna della tabella ho riportato, rispettivamente, il capitale per addetto della branca sopra menzionata e il confronto con l’intensità di capitale delle due fonti rinnovabili. Il rapporto tra intensità di capitale è pari a 0,88 per l’energia solare e 0,66 per quella eolica. Ciò indica che, trasferendo le risorse per le rinnovabili nella branca “Produzione e distribuzione di energia elettrica, ecc.”, l’occupazione diminuirebbe. Mediamente, la flessione sarebbe pari al 26% dei 130 mila occupati nella branca suddetta, vale a dire circa 34 mila posti di lavoro. Non pochi, di questi tempi.

In conclusione, se dall’esperienza spagnola e, più modestamente, da quella italiana il presidente Obama volesse trarre qualche indicazione, il messaggio è di continuare, anzi di impegnarsi di più a sostenere le energie rinnovabili, anche in vista di benefici occupazionali. Questo è quello che emerge se i dati (certamente approssimativi) di cui attualmente disponiamo vengono utilizzati nel modo più corretto possibile. E non per ottenere qualche titolo altisonante sui mezzi di comunicazione.


 

 

 

 

 

Stock di sussidi o capitale per occupato (€)

 

 

Confronto intera economia

 

 

Confronto industria

 

 

Confronto produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua

 

 

Energia solare (2020)

 

 

900,547

 

 

5.5

 

 

8.0

 

 

0.88

 

 

Energia eolica (2020)

 

 

684,436

 

 

4.2

 

 

6.1

 

 

0.66

 

 

Intera economia (2005-08)

 

 

163,250

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Industria (2005-08)

 

 

112,525

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua (2005-06)*

 

 


 

1,035,761

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

* Per questa branca le unità di lavoro totali sono tratte da Istat, Conti Economici Nazionali (Anni 1997-2008).

 

 

 

Riferimenti

Calzada Alvarez G., Study of the effects on employment of public aid to renewable energy sources, March 2009, Universidad Rey Juan Carlos; www.juandemariana.org/pdf/090327-employment-public-aid-renewable.pdf.

ISTAS, Verdades y mentiras sobre las renovables, Mayo de 2009, www.istas.net (per la versione in inglese http://switchboard.nrdc.org/blogs/paltman/media/ISTAS%20_ENG.doc).

Lavecchia, L. e C. Stagnaro, Are Green Jobs Real Jobs? The Case of Italy, Istituto Bruno Leoni, May 2010; www.brunoleoni.it.

Istat, Investimenti fissi lordi per branca proprietaria, stock di capitale e ammortamenti (con allegate tavole statistiche), 24 luglio 2009, Istat; www.istat.it.

Stagnaro, C. e L. Lavecchia, Clean Jobs, Expensive Jobs, The Wall Street Journal, May 11th, 2010.

 

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