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Creare lavoro, subito. Sì, ma come?

14/06/2013

L'Europa riunita al capezzale dell'occupazione, cerca un piano per creare posti di lavoro per giovani e donne. Le riforme dell'accesso al mercato del lavoro possono essere una strada?

“Non ho visto da molto tempo un grafico sul mercato del lavoro più deprimente di questo”: è il commento del blogger Brad Plumer ad una coppia di grafici tratti da un recente rapporto dell’Ilo (International labour organization), intitolato World of Work. I grafici, riportati qui sotto, mostrano la relazione riscontrata, separatamente, nei paesi “avanzati” e nei paesi “emergenti e in via di sviluppo”, fra due indicatori, “Qualità del posto di lavoro” e “Prestazione del mercato del lavoro”.La “qualità” è misurata dalla variazione dei salari medi, inclusi i guadagni accessori, e dalle ore lavorate per lavoratore fra il 2007 e il 2011. La “prestazione del mercato del lavoro” è rappresentata dal numero di posti di lavoro creati nello stesso periodo. In questi anni, osserva l’Ilo, in pochissimi paesi “avanzati” (Korea del Sud, Polonia, Norvegia, Repubblica Ceca) si è assistito a un simultaneo aumento del numero dei posti di lavoro e della “qualità” del lavoro. Invece, nella maggior parte di questi paesi, si è avuto o l’uno o l’altro: un peggioramento della “qualità” del lavoro e un aumento dell’occupazione, oppure un miglioramento della “qualità” e una riduzione dei posti di lavoro. Il grafico dei paesi emergenti mostra una tendenza molto meno evidente: i paesi considerati si distribuiscono in modo più uniforme fra i quattro quadranti. Fra i paesi che sembrano riuscire ad associare elevata crescita dei posti di lavoro e “qualità” del lavoro troviamo Brasile, Perù, Cile, Paraguay, Uruguay. Concentriamoci per il momento sui paesi “avanzati”. A prima vista, il grafico sembra convalidare l’idea, molto diffusa in Europa, che riforme del mercato del lavoro (generalmente definite ‘strutturali’) orientate a far accettare salari e guadagni accessori minori (cioè posti di lavoro peggiori) conducano ad un aumento dell’occupazione. Questa interpretazione, tuttavia, non è l’unica possibile: essa deriva dall’aver proiettato sul grafico una precisa direzione causale, da sinistra a destra, cioè dalla variazione del salario medio (considerato un misuratore indiretto della variazione della qualità del lavoro) all’aumento dell’occupazione. I conti però non tornano se guardiamo ai due paesi in cui il più elevato miglioramento della “qualità” del lavoro si associa alla più elevata riduzione dei posti di lavoro, cioè Irlanda e Spagna. Come lo stesso blogger e altri hanno rilevato, l’aumento dei salari riflette in realtà un mutamento di composizione. La riduzione dell’occupazione (dovuta alla caduta della domanda in questi paesi) ha inciso di più sui lavori temporanei e precari: l’aumento dei salari medi è quindi l’effetto contabile dell’eliminazione di posti di lavoro sottopagati associati all’aumento della disoccupazione. La direzione causale va in questo caso da destra a sinistra: dalla variazione negativa dell’occupazione all’aumento “statistico” della “qualità” del lavoro. Ne derivano due implicazioni. La prima è che anche per i paesi che hanno associato aumento dell’occupazione e peggioramento della “qualità” dei posti di lavoro (Germania, Israele, Belgio, Svezia, Canada) vi può essere stato un effetto composizione: in questo caso, l’aumento dei posti di lavoro ha riguardato relativamente di più i posti di lavoro temporanei e precari. La seconda implicazione è più generale: se abbandoniamo l’idea che siano i salari a determinare la creazione di posti di lavoro, rimane aperto l’interrogativo su cosa di fatto determini la creazione di nuovi posti di lavoro. Su questo, le variabili selezionate dall’Ilo non riescono a fornire alcuna indicazione, e rinviano ad analisi più complicate: l’analisi della variabile latente che influenza sia la variazione dell’occupazione sia l’andamento dei salari, cioè il tasso di crescita dell’economia, non si presta a facili generalizzazioni. Tuttavia, alcune informazioni di geografia economica possono fornire utili indicazioni, qualora si rifiuti l’illusione ottica che porta tacitamente ad attribuire lo stesso peso ad ogni paese, e a considerare la prestazione di ciascun paese “atomisticamente” indipendente da quella degli altri. Si può osservare allora che l’associazione fra aumento del numero dei posti di lavoro della Germania e peggioramento della “qualità” del lavoro (riconducibile alle riforme Hartz del mercato del lavoro, che hanno inciso relativamente di più nei servizi, con salari inferiori alla media) deve essere collegato ad un modello di sviluppo fondato su più pilastri: include, accanto a moderazione salariale all’interno, la crescita delle esportazioni di beni di investimento verso i paesi asiatici, e riduzioni dei costi di produzione associati ad un’estesa delocalizzazione di fasi di lavorazione manifatturiera in Austria, Slovacchia, Polonia, Repubblica Ceca. Non è quindi un caso che in questi paesi dell’Europa Centro-Orientale si osservi, nel grafico dell’Ilo, un’associazione fra aumenti dei salari (cioè della “qualità del lavoro”) e aumenti dell’occupazione.

Un’analoga interpretazione può essere estesa ai paesi emergenti e in via di sviluppo: troviamo che la crescita del Brasile, in parte dovuta all’aumento dei prezzi delle materie prime agricole e all’aggancio con i paesi asiatici emergenti, trascina verso l’alto salari e occupazione anche nei paesi vicini. Da un rapido confronto fra America Latina ed Europa, emerge che il limitato ruolo di locomotiva svolto in questi anni dalla Germania si è esercitato esclusivamente nei confronti dei paesi dell’Europa orientale, pur traendo vantaggi rilevanti (in termini di minori tassi di interesse e di più vantaggioso tasso di cambio) dall’appartenenza all’Unione monetaria europea.

tratto da www.ingenere.it

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