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Scuola statale, supplente regionale
Con la norma "salvaprecari" i supplenti licenziati vengono messi, di fatto, a carico delle Regioni. Che dovranno scegliere se destinare parte del Fondo Sociale Europeo per ammortizzare i tagli della politica scolastica. Uno scempio istituzionale, alla faccia dei proclami sul federalismo, che non tutela chi ha perso il lavoro ma impedisce il buon uso dei fondi europei
Un pasticcio davvero immangiabile la norma cosidetta “salva precari” introdotta qualche giorno fa in tutta fretta nel decreto Ronchi dal ministro Gelmini. Immangiabile prima di tutto per i 18.000 insegnanti e i 7.000 tra tecnici,ausiliari,amministrativi che nel 2008-2009 hanno lavorato tutto l’anno e che oggi si ritrovano senza lavoro a causa dei tagli operati dal governo (42.500 solo per gli insegnanti, ed è solo la prima tranche dei 130.000 previsti per il 2011-2012 ).
Ma l’intervento si configura anche come una clamorosa forzatura sulle Regioni, anzi un vero e proprio ricatto considerata l’ormai prossima scadenza delle elezioni amministrative: non meno grave, nel suo profilo istituzionale, per il fatto che alcune tra le più allineate (a partire dalla Lombardia) hanno già ingoiato il rospo e che altre si apprestano a farlo.
Ma come si salverebbero, secondo Gelmini, i 15-16.000 insegnanti precari di lungo corso di cui si parla nelle stanze di viale Trastevere? La soluzione sarebbe in contratti definiti “di disponibilità” che implicano l’accettazione di ogni possibile supplenza breve – indipendentemente, sembra, dalla distanza dal luogo di residenza - pena la decadenza dal godimento di un’indennità di disoccupazione costituita da un contributo Inps e – questa è la novità – da un’integrazione eventualmente erogata, appunto, dalle Regioni: a carico, ovviamente, del solito Fondo Sociale Europeo che sta diventando la bisaccia a cui attingere per gli obiettivi più diversi. In sintesi, una bufala dal punto di vista di chi ha perso il lavoro: perché l’indennità di disoccupazione Inps (860 euro per 8 mesi, che salgono a 12 per gli over 50 ) è un dispositivo già previsto e perché i precari che l’anno scorso hanno lavorato tutto l’anno sono già in pole position nelle graduatorie di istituto da cui pescano i presidi per le supplenze brevi. E per di più una bufala peggiorativa perché i punteggi che tradizionalmente derivano dalle supplenze non dovrebbero più avrebbero valore – e questa è l’altra novità – ai fini della collocazione nelle graduatorie esistenti o di nuovo conio per la stabilizzazione in ruolo di quelli che ne hanno titolo. Un provvedimento, dunque, di ulteriore precarizzazione – di definitiva epurazione ? – di chi, secondo la finanziaria 2007, avrebbe già dovuto ottenere l’incarico a tempo indeterminato .
Non è assolutamente scontato, d’altra parte, che tutte le Regioni vogliano/possano attingere da un Fondo Sociale Europeo già pesantemente defalcato di oltre 2 milioni di Euro, in base all’accordo Stato-Regioni del febbraio scorso, per integrare il sostegno al reddito dei lavoratori in cassa integrazione con incentivi per la partecipazione a corsi di sviluppo e riconversione professionale. E’ probabile che potrebbero farlo di più le Regioni del Mezzogiorno, che ricevono una quota maggiore delle risorse comunitarie e assai meno invece quelle del Centro-Nord, e che la cosa risulti comunque tecnicamente impraticabile per quelle più efficienti che hanno già impegnato i fondi a vantaggio del sistema scolastico. Una regione come il Piemonte, per esempio, che ha già destinato 40 milioni di euro alle scuole del suo territorio dovrebbe, a questo punto, revocare i bandi, sospendere i programmi, interrompere i progetti già avviati? Il rischio concreto è che il finanziamento dei contratti di disponibilità per le supplenze tolga fondi ad altri impieghi del Fse: gli interventi di contrasto della dispersione scolastica, di potenziamento dell’insegnamento della lingua italiana per gli allievi stranieri, di sostegno economico a istituti scolastici ridotti dalle politiche del governo a non disporre più neppure del necessario per le fotocopie o per i materiali di laboratorio.
E’ evidente, inoltre, che una soluzione di questo tipo porterebbe a trattamenti dei “disponibili” fortemente differenziati sul piano territoriale: un personale statale, impiegato in funzioni necessarie alla scuola statale, può essere retribuito in modo diversificato secondo che operi in Lombardia o in Campania? Sono questi i primi frutti del federalismo nel campo dell’istruzione? E’ così che ci si avvia a quella gestione regionale del personale scolastico a cui anni fa ha dato un via – tutto teorico – la solenne pronuncia della Corte Costituzionale ? Non è un caso che da diverse Regioni venga, in questi giorni, la richiesta di un tavolo nazionale per una definizione dell’intera materia. Anche per quelle più disponibili, o comunque più interessate a non disturbare il manovratore, infatti, deve risultare evidente il rischio di trovarsi sul collo anche per gli anni a venire – perché come è noto i tagli non finiscono qui – un numero imprecisato di insegnanti, e forse anche di altri tipi di personale scolastico, da supportare economicamente e da utilizzare in qualche modo.
Non vi è dubbio che, se non fossimo ormai diventati un paese in cui diritto e buon senso vengono quotidianamente calpestati, una norma come quella inserita nel decreto Ronchi porterebbe inevitabilmente a terremoti politici e istituzionali. Ma ci stiamo abituando a tutto, e perfino il mondo sindacale di fronte a questo mix inaudito di improvvisazione politica, cinismo sociale, prevaricazione istituzionale è riuscito nella splendida impresa della consueta divisione tra le diverse sigle. Gelmini, intanto, va avanti per la sua strada. E in un’intervista al Corriere della Sera nel giorno della riapertura delle scuola si produce nell’ennesimo attacco ai dirigenti scolastici e agli insegnanti che non condividono le sue decisioni. Un altro oltraggio alle regole democratiche - e anche a molto di altro- quando si confonde l’autonomia organizzativa e didattica degli istituti scolastici sancita dal testo costituzionale, con la sovversione politica.
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