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Prendi i soldi e spara
La finanza incontrollata continua a dominare la vita economica e politica. C'è poca speranza di uscire dalla crisi, finché non si riformano i meccanismi che governano il settore finanziario. Qualcosa è stato fatto, ma è troppo poco
La crisi scoppiata nel 2007-2008 ha spinto politici, economisti ed esperti di varie discipline a interrogarsi su come uscirne. Con il tempo si è fatta strada una linea di pensiero che, partendo dalla constatazione che essa aveva origini sia di tipo finanziario che “reale”, puntava a individuare interventi rilevanti su ambedue i piani.
In estrema sintesi, per quanto riguardava il piano dell’economia reale, i rimedi individuati miravano ad avviare un grande processo di redistribuzione del reddito tra le varie classi sociali da una parte, a indirizzare grandi investimenti in direzione dell’economia verde dall’altra; sul piano finanziario si trattava di intervenire in profondità per ristrutturare un sistema ormai fuori controllo.
Ma interventi efficaci sui due fronti non sono stati almeno sino a oggi neanche immaginati dai vari governi interessati e questo dovrebbe contribuire a spiegare, insieme alle specifiche questioni dell’euro, perché oggi ci troviamo ancora immersi nelle difficoltà.
I problemi continuano
Per quanto riguarda in particolare il settore finanziario, a riprova della necessità di un intervento deciso ricordiamo intanto che abbiamo dovuto constatare, nella tragedia greca e in quella spagnola, come le grandi banche internazionali abbiano dapprima inondato di denaro i due paesi, alimentando la speculazione selvaggia e spingendo alla crescita ipertrofica del settore immobiliare, mentre successivamente, vista la mala parata, abbiano cercato di abbandonare precipitosamente la nave, creando ulteriori e gravi scompensi.
Recentemente, poi, una serie di scandali finanziari sui due lati dell’Atlantico ha contribuito a ricordare che negli ultimi anni non è cambiato nulla nella sostanza. Si va così dall’accusa di riciclaggio del denaro della droga avanzata nei confronti di diverse banche internazionali, ai comportamenti giudicati incresciosi da parte di Goldmann Sachs verso la sua clientela, alla crisi della Peregrine Capital. Negli Stati Uniti si è scoperto che una delle banche più decise nella lotta contro la riforma del sistema finanziario, la JPMorgan, ha perso una cifra indeterminata – si è parlato all’inizio di 2 miliardi di dollari, ma successivamente il buco è stato stimato sino a 9 miliardi – praticando il vecchio gioco dei derivati. Successivamente, in Gran Bretagna, si è saputo che un’altra grande banca, la Barclays, un’altra istituzione fortemente contraria a riformare il sistema, truccava i dati necessari a fissare il livello del Libor. Ma collaboravano all’impresa ben dodici grandi banche di molti paesi.
Alla fine, come ha scritto un giornale britannico (Wolf, 2012), l’idea che l’intero sistema finanziario occidentale sia invischiato in una gigantesca frode di tipo sistemico – e che gli attori principali del gioco, le banche, i politici, gli organismi di regolazione, lo sappiano bene e comunque tacciano – appare una conclusione inevitabile.
Si è, tra l’altro, preferito, nei momenti di crisi, correre in soccorso del sistema bancario senza mettere in campo delle misure per evitare in futuro un nuovo contagio. Così si sono stanziate somme enormi per il salvataggio degli istituti in Europa come negli Stati Uniti. Parallelamente, tutti hanno potuto constatare che invece i soldi vengono negati per la scuola, la sanità, la ricerca, le pensioni, sotto il pretesto che le risorse non ci sono.
Si è mostrato in questa occasione il forte potere di condizionamento che il sistema finanziario riesce a esercitare sul potere politico.
Le misure comunque avviate
Dopo lo scoppio della crisi, comunque, i vari governi occidentali e i partecipanti all’accordo di Basilea hanno varato dei provvedimenti sul tema della riforma del sistema finanziario.
Così negli Stati Uniti l’amministrazione Obama ha approvato nel luglio 2010 il Dodd-Frank Act. La legge prevede la creazione di nuove agenzie pubbliche (tra le quali una per la tutela dei consumatori), nonché la ristrutturazione di altre già esistenti, nel tentativo di migliorare il sistema di supervisione sul mondo bancario. Si affermano regole apparentemente più stringenti per quanto riguarda la capitalizzazione delle banche, la liquidità, il livello del rischio, la remunerazione dei dirigenti, il governo dei prodotti derivati. La parte più impegnativa della normativa riguarda la cosiddetta Volckler rule, che prevede una rilevante limitazione nelle attività speculative delle banche ordinarie; esse non possono investire più del 3% dei loro mezzi propri in transazioni di borsa, in prodotti derivati, in partecipazioni in hedge funds e fondi di private equity.
Le norme a suo tempo decise, senza essere pienamente adeguate alla bisogna, rappresentavano comunque un passo avanti rilevante nello sforzo per mettere sotto controllo il settore finanziario. Ma esse erano farraginose e richiedevano l’approvazione di un grande numero di regolamenti di attuazione, processo che ancora non è stato completato. I repubblicani, poi, spinti anche da una grande opposizione alla legge da parte del sistema bancario, hanno cercato di boicottarla, facendo mancare le risorse necessarie per operare ai vari enti, bocciando vari candidati proposti dall’amministrazione per riempire le cariche degli vari organismi e così via. Intanto sono slittati i tempi di messa in vigore di varie norme. Mancano comunque, anche nel testo originale della legge, interventi su un certo numero di fronti critici.
In Gran Bretagna il governo ha istituito nel giugno 2010 una commissione indipendente che nel luglio 2011 ha presentato un rapporto, noto come Vicker’s report dal nome del presidente della commissione istituita ad hoc. Tra le proposte avanzate, merita ricordare soprattutto quella di separare le attività di banca commerciale (retail banking) da quelle di banca di investimento (wholesale banking). Ma tale separazione non è totale, perché i due tipi di attività possono essere comunque svolte all’interno di uno stesso gruppo. Il rapporto prevede inoltre il rafforzamento dei coefficienti di capitale, in particolare per le banche più grandi, al di là di quanto individuato da Basilea3. I tempi di attuazione piena della riforma arrivano, come per il regime di Basilea, al 2019. I provvedimenti toccano soltanto alcune delle questioni in gioco.
A livello di Unione Europea negli ultimi mesi del 2010 è stato approvata la messa in campo di un sistema di vigilanza finanziaria comprendente tre nuove autorità, una per il settore bancario, un’altra per quello delle assicurazioni e delle pensioni, l’ultima, infine, per le società che prestano servizi di investimento; è previsto anche un comitato con funzioni di vigilanza macro sul rischio sistemico nel settore finanziario.
Ma gli organismi individuati mancano di risorse e di poteri adeguati, in relazione in particolare alla volontà dei singoli stati di non perdere alcune delle loro prerogative. Peraltro, per quanto riguarda l’autorità per il settore bancario, il varo nel giugno di quest’anno di un organismo di controllo delle banche europee in seno alla EBC pone ulteriori dubbi sulla questione. Sono in corso di messa a punto altre normative, in particolare in tema di derivati.
Nel settembre del 2010 è stato pubblicato il piano di Basilea3, modificato poi in alcuni punti nel giugno del 2011. Il nuovo regolamento innalza i livelli di capitale proprio richiesti agli istituti bancari; introduce inoltre dei criteri per proporzionare il capitale all’andamento del ciclo economico; prevede anche degli standard in tema di liquidità. Sebbene il progetto rappresenti un passo avanti rispetto a Basilea2, i livelli di capitale e le misure relative alla liquidità previsti appaiono ancora troppo modesti rispetto alle necessità e la data di entrata in pieno vigore della normativa (gennaio 2019) troppo distante nel tempo: nel frattempo potrebbe succedere di tutto. Nulla di sostanziale è stato deciso per quanto riguarda inoltre il governo del rischio sistemico.
Conclusioni
Una normativa adeguata dovrebbe in linea di principio mirare a ridurre drasticamente il peso complessivo e le dimensioni del settore finanziario e metterlo sotto controllo perché esso, tra l’altro, ritorni al servizio dell’economia reale e non abbia più i mezzi per condizionare pesantemente il potere politico. Per fare questo sarebbe necessario intervenire in modo incisivo su molti fronti contemporaneamente.
Rispetto a questi obiettivi di fondo, le decisioni degli stati e degli organismi internazionali sono state, come si è visto, complessivamente molto deboli e frammentarie. Di fronte a un sistema finanziario che opera su scala internazionale, quando non mondiale, è mancato inoltre il necessario coordinamento tra i provvedimenti varati dai singoli stati, ciò che permette, tra l’altro, un facile arbitraggio alle banche e altri organismi finanziari per schivare le normative poco gradite. Anche le ulteriori decisioni che sono qua e là annunciate da vari governi non basteranno certo a riempire i buchi attuali nella normativa.
Resta alla fine la sensazione, come già accennato, che il sistema finanziario sia ormai una macchina truffaldina e che i governi siano nella sostanza impotenti o comunque scarsamente vogliosi di rimediare, pronti soltanto a coprire con le casse pubbliche gli eventuali errori delle banche. Un quadro molto oscuro.
Testo citato nell’articolo
Wolf N., This global financial fraud and its gatekeepers, www.guardian.co.uk, 14 luglio 2012
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