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Narrare le grandi crisi

19/01/2015

Fine anni sessanta dell’ottocento. Il Secondo Impero toccava il culmine della sua potenza. E Parigi si mostrava sempre più quel luogo prescelto della modernità che Baudelaire aveva scoperto. Scrivendo L’Argent, Émile Zola, tracciava di quel mondo un affresco denso di contrasti. La sensualità veniva realisticamente a confondersi con il potere seducente del denaro; e l’eccesso di avidità creava un sovrapporsi di scopi e mezzi, un intreccio di quanto diciamo razionale con ciò che poi risulta irrazionale.1

In un ambiente fosco e rumoroso come la Borsa era a quel tempo, vediamo muoversi l’affarista Saccard, tanto pieno d’immaginazione quanto privo di scrupoli, che crea dal nulla una banca dal nome altisonante cui vorrebbe affidare gigantesche operazioni a livello internazionale. Molti i punti di confronto e di somiglianza con i nostri giorni; ma certamente colpisce anche la differenza fra l’ambiente dei giochi finanziari descritto da Zola e quello degli Anni Duemila. Tanto risuonante di grida era allora la piazza d’affari di Parigi, tra rue Montmartre e rue Richelieu, quanto tecnologicamente filtrato e poco rumoroso, ma non certo meno inquietante, appare, nell’era globale, l’ambiente delle contrattazioni a Wall Street, a Tokyo, alla City.

Non solo nel palazzo della Borsa parigina ma anche nel marciapiede antistante, si udivano le voci affannate dei rialzisti e dei ribassisti. Dopo un periodo d’euforia, dopo l’intensificarsi della relazione tra affari, politica, informazione, a un certo punto la tendenza mutava. E cominciava una serie di contrastanti annunci, che preludeva al crollo del gigante bancario che Saccard aveva creato in modo molto inventivo e poco corretto. Per un po’ aveva ben funzionato l’accanimento nell’ostentare, nel comunicare anche mostrando lussuosa opulenza, nel presentare alla ribalta una fortuna sicura; mentre il retroscena celava non solo intrighi luridi e oscuri ma anche spazi d’incertezza da cui il panico sarebbe infine scaturito trascinando nel baratro l’avventuriero (che poi si sarebbe in qualche modo salvato) e con lui un bel numero di azionisti (che invece sarebbero stati rovinati).

Incidentalmente, si può notare l’ambiguità del vocabolo money, usato nelle traduzioni in inglese del libro di Zola; e ricordare che la differenza tra moneta e denaro diviene oggi ancor più acuta grazie alle versioni digitali del “mezzo di scambio universale”.2

La Parigi di allora stava per illuminarsi con le luci dell’Esposizione. Lo spettacolo della civiltà capitalistica raggiungeva il suo massimo splendore. Dopo qualche anno però la città sarebbe stata travolta da eventi tremendi. Come la sconfitta di Napoleone III. E come la breve, tragica vicenda della Comune. In altre opere di Zola notiamo l’impressione che in lui avevano suscitato i crudi eventi della Comune, inducendolo, da un lato a provare solidarietà con chi insorgeva contro il dominio altoborghese, d’altro lato a scorgere nel proletario in rivolta un tipo umano umiliato dallo sfruttamento, degradato dagli stenti, minato dai danni dell’alcolismo, ma anche predisposto a momentanee esplosioni di barbara violenza. In questa seconda rap- presentazione, che emerge in talune pagine di Germinal (dove lo sguardo è turbato ma anche affascinato), vediamo trasparire qualche traccia dell’influenza esercitata su Zola dal poi criticato maestro Hippolyte Taine.3

Nella gigantesca opera di Taine, le masse rivoluzionarie, emerse dall’o- scurità in successivi momenti storici, erano state presentate come paurosi branchi di belve feroci. E in quella visione ansiosa e sprezzante veniva in qualche modo anticipata, come vedremo in seguito, una serie di studi e di scritti come quelli di Gabriel Tarde e di Gustave Le Bon, dedicati tra otto e novecento alla psicologia collettiva.4 Dove l’entusiasmo così come la paura e il panico apparivano quali emozioni contagiose; stati d’animo che si diffondono; sentimenti collettivamente provati e al tempo stesso provocati.5 (Sappiamo peraltro che analoghe emozioni potevano segnare anche meccanismi psicologici collettivi di diversa natura: come l’euforia dei mercati, il diffondersi di allarme, gli inquieti movimenti del capitale e delle borse.)

1 E. Zola, Il denaro (l’Argent 1891), intr. A. Lolini, trad. L. Collodi, Roma, Newton & Compton 1996.

2 In proposito, v.: M.G. Turri, La distinzione fra moneta e denaro, Roma, Carocci 2009, introd. M. Ferraris. Il concreto e l’astratto nelle due nozioni (sia per l’abolizione della convertibilità, sia soprattutto oggi, per la virtualità indotta dalle nuove tecnologie) emergono pienamente.

3 E. Zola, Germinal (1885), Milano, RCS 1997; H.Taine, Les Origines de la France contemporaine (1875-1893) trad. it. La rivoluzione, I, l’anarchia, Milano, Treves 1921. Vedi: D. Palano, Volti della paura: Figure del disordine all’alba dell’era bio-politica, Milano-Udine, Mimesis Edizioni 2010. Questo interessante saggio, sulla rappresentazione delle folle ci ricorda come Zola, allievo di Taine prima di allontanarsene politicamente, non fosse riuscito a ripudiare del tutto l’interpretazione psico-patologica delle rivoluzioni, poi sviluppata a modo loro anche da Sighele e da Le Bon.

Alessandro Casiccia, Narrare la grande crisi. Tempeste finanziarie, paure e rovine sociali nella letteratura e nel cinema, Mimesis, 2015

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