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L’Expo che ci riguarda

10/02/2015

Nelle stesse ore delle celebrazioni ufficiali si è svolto a Milano un altro incontro: “Nutrire il pianeta o nutrire le multinazionali?” Un'occasione per ricordare a Renzi e agli altri potenti gli impegni presi. Perchè produciamo alimenti in grado di nutrire 2 miliardi di persone più di quante abitano il pianeta e abbiamo un miliardo di affamati

L’Expo di Milano incombe ed è utile dare conto di quanto sta succedendo. Dalla grande stampa emerge un problema: il dissenso dell’orchestra della Scala a suonare il primo maggio, giorno dell’Expo ma anche dei lavoratori, manda a gambe all’aria la Turandot dell’Inaugurazione. Matteo Renzi vuole riconquistare il palco per essere lui a cantare “Stasera vincerò”. Tutto questo rischia di fare del famoso Teatro l’unico punto di resistenza contro l’Expo dei ricchi.

Milano è una città ben strana. Lo era già ai miei tempi, e si è mantenuta così ancora oggi in pieno XXI secolo. Proprio di fronte al Teatro della Scala c’è ancora – in effetti c’era da prima, dal sedicesimo secolo – Palazzo Marino, la casa dei cittadini. Qui nelle stesse ore dei discorsi ufficiali si è svolta un’altra riunione Expo: “Nutrire il pianeta o nutrire le multinazionali?” Era l’occasione per leggere, insieme, la lettera inviata, da un piccolo gruppo di persone, a Renzi e agli altri potenti per ricordare loro l’impegno “nutrire il pianeta”, di ridare “energia per la vita”, un impegno disatteso dal Protocollo mondiale per il cibo, affidato alla Fondazione Barilla. Erano presenti a Palazzo Marino molte centinaia di persone; moltissime ragazze dai 18 agli 80 anni, tutte sicure che, tutto considerato, dovunque nel mondo sono le donne a coltivare e a mettere in tavola. (nell’altro campo, tra i renziani dell’Hangar, se ne è ricordata Marta Dassù). L’impegno di tutte e di tutti era quello di ottenere, anche attraverso l’Expo, molto criticata, ma anche l’unica Expo che abbiamo a disposizione, che il cibo fosse considerato come un diritto universale e non una merce.

Le relazioni sono state di Piero Basso dell’Associazione Costituzione Beni Comuni che ha tracciato l’accorata storia dell’Expo 2015, tra costruttori, cooperative, giochi d’acqua, fiumi artificiali, sprechi, affari loschi. Un decennio di storia milanese e lombarda che abbiamo l’obbligo di non dimenticare. L’altra introduzione è stata di Curzio Maltese, parlamentare europeo eletto con la lista Tsipras che si è ripromesso di orientare in modo fattivo le future iniziative del Gue (Gruppo della sinistra europea). Sono seguiti quattro piatti o portate principali, e possiamo ben scriverlo, visto che di cibi si tratta. Susan George del Transnational Institute ha mostrato la presa del potere finanziario sulla produzione alimentare, tanto quella organizzata in modo capitalistico e industriale che sull’altra quella dei poveri, costretti ad abbandonare le terre ormai insufficienti per campare. Emilio Molinari del Contratto mondiale dell’acqua ha trattato, come si conviene, il tema dell’acqua imprigionata dalle multinazionali nonostante il nostro referendum vinto nel 2011; ha poi ripetuto il paradosso: produciamo alimenti in grado di nutrire 2 miliardi di persone più di quante abitano il pianeta e abbiamo un miliardo di affamati. Flavio Valente segretario generale del Fian Internazionale è tornato sul tema della sovranità alimentare e sul diritto a un cibo sano, i temi che aveva già svolto in sede Fao in autunno. Infine Vittorio Agnoletto anch’egli della Ong Costituzione Beni Comuni ha spiegato, anzi ha fatto vedere, la forza e gli intrecci delle multinazionali alimentari, delle connessioni con le banche, i collegamenti e le linee di forza che compromettono il nostro futuro se non ci daremo da fare per informare le popolazioni, per impedire che la rete si stringa ancora di più.

Hanno infine concluso Basilio Rizzo, presidente del consiglio comunale di Milano e Moni Ovadia attore scrittore drammaturgo. Rizzo ha toccato, tra gli altri, il tema del che fare dopo. A Expo digerito, si deve demolire tutto, riaffidando le aree ormai fabbricabili alla speculazione privata, oppure si può, si deve, applicare le tecniche del riuso, chiedere ai paesi partecipanti di non andarsene, ma di fare dell’Expo milanese un bene comune durevole? Moni Ovadia ha parlato del papa, destando qualche mormorio, al primo momento. Poi la sua capacità di attore e di narratore ha conquistato l’attenzione. Parlava con il suo copricapo, segno di un’altra religione e al tempo stesso di grande tolleranza. La parola di oggi l’ha detta il papa – così ha cominciato – ed è “iniquità”. Il cibo e chi se ne appropria, chi lo toglie ai bambini e ai poveri e lo trasforma in denaro, compie un delitto che non può avere scusanti. Conclude Moni Ovadia che abbiamo eletto parlamentare europeo, ma che si è dimesso prima ancora di cominciare. Il suo breve intervento è servito non solo a riportare nel luogo che gli era proprio – il Palazzo Marino, l’assemblea dei cittadini liberi ed uguali, sotto lo stendardo del comune – le giuste parole di Bergoglio, rilette da Ovadia, capaci di accusare l’iniquità dei ricchi della finanza e l’invito a stare uniti, nella forma del bene comune, dell’intelligenza comune, della lealtà nei confronti degli altri fratelli e sorelle del mondo.

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